giovedì 26 luglio 2012

Marina Berlusconi si sfoga: io alla gogna mediatica. Marina Berlusconi

Sulle vicende palermitane che mi riguarda­no e che hanno trovato ampia eco sulla stampa avevo deciso di mantenere quello che consideravo un doveroso e rispettoso silen­zio. Ma proprio il modo in cui la stampa si è occu­pata della mia deposizione di ieri a Palermo mi spinge a non tacere più. Vorrei racconta­re una storia che qualcuno chiamerà di giustizia ma che rappresenta l’esatto con­trario­di quella che io ritengo dovrebbe es­sere la giustizia. Niente di nuovo, per cari­tà e purtroppo, ma può forse essere utile apprenderla direttamente da chi l’ha vis­suta sulla propria pelle, per capire che questa degenerazione non è un problema di singoli, pochi o tanti che siano, ma un problema di tutti, un problema che mina le fon­damenta del vivere civile. Ecco il ri­sultato di vent’anni di teoremi giu­diziari: un veleno che intossica da troppo tempo l’intero Paese. La storia è questa. Il 9 luglio ven­go convocata dalla Procura di Pa­lermo come «persona informata dei fatti». Peccato che i presunti fatti su cui dovrei essere informa­ta li apprendo solo, qualche gior­no dopo e con grande abbondan­za di dettagli, dai giornali. Ma par­lare di «fatti» è totalmente fuori luogo: paginate e paginate di falsi­tà e insinuazioni per qualificare le quali è perfino difficile trovare gli aggettivi giusti. Ma perché la Procura di Paler­mo è interessata a sentire proprio me su questo cumulo di assurdi­tà? Sempre dai giornali apprendo che si parla di un conto cointesta­to mio e di mio padre, da cui sareb­bero partiti due dei bonifici indi­rizzati a Dell’Utri e a suoi famiglia­ri. Io però di questo conto non ri­cordo neppure l’esistenza. Faccio le verifiche, e in effetti emerge che è esistito fino a sette anni fa, anche se non ne ho mai avuto la disponi­bilità e a mia memoria non l’ho mai utilizzato. Che cosa devo andare a dire allo­ra alla Procura di Palermo? Che di questo conto non ricordo assolu­tamente nulla, dei bonifici alla fa­miglia Dell’Utri tantomeno? Che peraltro non trovo nulla di strano nel fatto che mio padre senta, di­rei, il dovere etico, oltre che il desi­derio, di sostenere un prezioso col­laboratore il quale, all’apice del successo professionale, è improv­visamente sprofondato in un incu­bo che da quasi vent’anni lo co­stringe a trascinarsi da un tribuna­le a una Procura, un incubo che gli ha rovinato non solo la carriera ma anche la vita, un incubo che è guarda caso comparso in contem­poranea con la discesa in campo di mio padre? È la pura verità. Ma per dire que­sto è necessario che io debba an­dare a Palermo, per sentirmi chie­dere informazioni che senza alcu­na fatica e con molto minor di­spendio di energie avrebbe potu­to d­omandarmi un incaricato del­la Guardia di Finanza di Milano? È necessario che venga interrogata da un gruppo di pm antimafia, e soprattutto che debba espormi a quell’efficientissima gogna me­diatica che non riposa mai? Co­munque vado non appena possi­bile, addirittura in anticipo. Con­testo, su indicazione dei miei lega­li, la possibilità di essere ascoltata, per svariate e rilevanti ragioni. Successivamente rispondo a tutte le domande (una ventina di minu­ti complessivamente), riparto sen­za dire nulla- rispettosa del segre­to di indagine - alla stampa che qualcuno mi ha fatto trovare schie­rata in forze all’uscita. Risultato? Nel giro di poche ore mi vedo precipitata nell’inferno mediatico. Nei tg della sera la mia foto si mescola con quelle dei boss e di orribili stragi, tutto tenuto in­sieme da una parola che mi mette i brividi solo a pronunciarla: ma­fia. Peggio avviene con i giornali di stamane. Ben forniti dai soliti noti «ambienti giudiziari» di mez­ze verità e bugie intere, mi descri­vono come una teste evasiva o che aveva l’unica preoccupazione di evitarsi problemi. Naturalmente, basta leggere il verbale della mia deposizione (a quando le fotocopie da parte degli «ambienti giudiziari»?) per ren­dersi conto che non è vera né l’una né l’altra cosa. Ma intanto il marchio è impresso, la trappola infernale è scattata: ovviamente non puoi dire di sapere cose che non sai, ma se dici di non saperle ecco che diventi sulla stampa una teste «vaga», con tutti i peggiori sottintesi possibili.Eccola qui l’al­ternativa folle, assurda, inaccetta­bile: o menti, raccontando quello che da te si vorrebbe sentire an­che se non è vero, o dici la verità e allora cominciano a circondarti il sospetto e le insinuazioni. E ricor­diamoci che stiamo parlando di quanto c’è di più terribile, la ma­fia. È evidente che anche questa storia, come tutte quelle che ci scagliano addosso da vent’anni, finirà nel nulla.Con l’unico risul­tato possibile: nessun collega­mento con le cosche, assoluta correttezza e trasparenza. Ma non è questo che interessa.L’uni­co processo che interessa è quel­lo che viene fatto ogni giorno sul­la stampa, convocando testimo­ni­buoni a ingolosire i telegiorna­li della sera, trasformando penti­ti veri e falsi in icone, facendo fil­trare quello che fa comodo, e po­co conta se è totalmente falso. Un processo dal quale è impossi­bile difendersi, perché neppure la verità più conclamata in un’au­la può eliminare completamen­te il fango che ti hanno tirato ad­dosso. Che cosa ha a che vedere tutto questo con la giustizia? A che cosa servono le regole e le norme approntate proprio per evitare soprusi se, anche quan­do vengono formalmente rispet­tate, basta di fatto un articolo di giornale ad aggirarle e vanificar­le? E questa mostruosa macchi­na è compatibile con il funziona­mento della democrazia? Tutto ciò che è accaduto e sta ac­cadendo dovrebbe­trovare oppor­tune valutazioni nelle sedi compe­tenti. Ah, un’ultima precisazione: naturalmente io non ero e non so­no accusata di nulla, i pm di Paler­mo mi hanno convocato come «persona offesa», come presunta vittima. Insomma, per «tutelar­mi ». Si è visto come. (il Giornale)

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Quello che non capisco è come si fa ad avere un conto cointestato e non averne la disponibilità

Anonimo ha detto...

misteri della fede

Anonimo ha detto...

Nel 1982 inizia come dirigente la sua attività in Publitalia '80, la società per la raccolta pubblicitaria della Fininvest, una società fondata nel 1979 da Silvio Berlusconi, di cui diventa Presidente e Amministratore Delegato.

Un anno dopo (1983), nell'ambito di un blitz di arresti compiuti a Milano contro la mafia dei casinò, viene trovato nella residenza del boss mafioso catanese Gaetano Corallo.

Nel 1984 viene promosso ad amministratore delegato del gruppo Fininvest.

minchia signor tenente

Anonimo ha detto...

TREMENDI QUESTI PIDIELLINI...

Ci hanno provato. Ancora una volta. Perché è più forte di loro. E perché le elezioni si avvicinano. E con lo "spettro" delle preferenze, da quelle parti, all'ombra del Vesuvio, non si va tanto per il sottile. Ci sono 60 mila abbattimenti di costruzioni abusive nella sola Ischia, e centinaia di migliaia in tutta la Campania, da evitare, eludere, impedire.

Al grido di "esiste la sofferenza in Emilia, ma c'è anche una sofferenza in Campania", un gruppo di 19 senatori di quella regione (pidiellini e "responsabili") il blitz lo ha tentato, proprio nel decreto sul terremoto in Emilia in via di approvazione al Senato. Con il solito emendamento di soppiatto. Stavolta a stopparlo è il governo Monti, costretto a porre la fiducia per evitare rischi e stravolgimenti. Così, quando questa mattina sarà messa ai voti, il "partito degli abusivi" minaccia di disertare, assentarsi o addirittura votare contro.

Primo firmatario Carlo Sarro, da Piedimonte Matese (Caserta), poi Gennaro Coronella, da Casal di Principe, poi l'ex Guardasigilli berlusconiano Francesco Nitto Palma e altri 16 targati Pdl e Coesione nazionale, c'è anche Sergio De Gregorio. Tutti schierati dalla parte dei loro conterranei "abusivi" che non erano riusciti a usufruire del condono edilizio del 2003 (...)