giovedì 14 marzo 2013

E se si istituisse l’Albo d’oro degli antiberlusconiani teologici? Dino Cofrancesco


A beneficio, soprattutto, delle future generazioni, non sarebbe una cattiva idea quella di istituire un albo d’oro dell’antiberlusconismo teologico. I nomi dei firmatari potrebbero, in seguito, essere scolpiti a caratteri di bronzo sui monumenti dedicati alle vittime dell’antifascismo e ai caduti della Resistenza e qualche targhetta-ricordo potrebbe essere fatta pervenire a Treblinka e agli altri Lager in cui si è consumata la più immane tragedia della storia occidentale.
 
E’ vero che gli antiberlusconiani teologici non hanno rischiato la vita, è vero che vivono in splendidi appartamenti, è vero che collaborano ai maggiori (e paganti) quotidiani, è vero che spesso sono parlamentari o ex parlamentari con pensioni d’oro come l’albo proposto, ma queste sono considerazioni dettate dal materialismo più volgare e qualunquistico. A farle, si ignora la macerazione interiore, i ribollenti sdegni, il dolore insanabile degli indignados, «irati ai patrii numi» e non rassegnati al consenso di massa che continua a riversarsi sul Cavaliere – ‘l’autobiografia della nazione’, come diceva il povero Gobetti! Non ci sono solo i danni fisici (le camere a gas), ci sono anche quelli morali e, in una civiltà post-materialistica come la nostra, questi ultimi dovrebbero venir presi in considerazione come, se non più dei primi.
 
C’è solo un piccolo problema, non del tutto irrilevante: l’antiberlusconismo teologico non solo non paga ma è controproducente. Lo ha sperimentato, a sue spese, Mario Monti che, nella sua disastrosa campagna elettorale, invece di rivolgersi agli elettori ‘moderati’ (però che brutto termine!) ha strizzato l’occhio alle sinistre, nel tentativo (patetico) di accreditarsi come un avversario irriducibile del Cavaliere e non da meno rispetto a Bersani. Lo ha sperimentato, altresì, l’improvvido Oscar Giannino che, per avvicinarsi troppo al sole dell’antiberlusconismo teologico, ha fatto la fine di Icaro – per fortuna non ha perso la vita ma si ritrova nei guai più seri con i suoi debiti di gioco (elettorale). Non parliamo poi dei casi Fini e Casini giacché si tratta di affidabili concorrenti al Gran Premio Masoch e, nel caso dell’ex Presidente della Camera, altresì, di un aspirante al Guinness dei Primati (mai, nella storia d’Italia, una tale mediocrità politica* era riuscita a diventare la terza carica dello Stato!).
 
Premetto che non sono un elettore di Silvio Berlusconi: non mi hanno mai convinto i suoi alleati (ahimè, sono allergico alla Lega!) ma, soprattutto, non mi ha mai convinto il suo stile doroteo (un doroteismo pragmatico e “ateo” non riscattato da quei disegni sui tempi lunghi che pure ispiravano il gesuitismo curialesco democristiano). Ritengo, tuttavia, con Luca Ricolfi – non un ‘intellettuale militante’ ma un fine studioso di sinistra – che, nel programma del Cavaliere ci fossero ‘elementi di liberalismo’ che andavano presi in seria considerazione e che della loro rimozione – dettata dalla necessità di tenere uniti gli alleati del PDL – dovesse venir chiamato a rispondere il governo di centro-destra. Paradossalmente, se si eccettuano i riformisti del PD, quasi nessuno è sceso su questo terreno: il livore antiberlusconiano (profuso persino da Giannino) è stato alimentato dalla privacy dissoluta dell’ex premier, dal discredito all’estero, dalle inchieste della magistratura, persino dalla cifra iperbolica alla quale è stato condannato per il mantenimento di Veronica Lario (per un’articolista di ‘Repubblica’, vittima del Cavaliere perché da lui abituata a una vita di lusso – a volte la stupidità dei giornalisti è più profonda della Fossa delle Marianne!).
 
Se l’Albo d’oro viene istituito, uno dei primi posti tocca a Federico Orlando, già vicedirettore del ‘Giornale’ della ‘famiglia’, quando a dirigerlo era Indro Montanelli. Il giornalista, già curatore del volume La cultura della resa (Edizioni dello Scorpione, 1976) in cui si sparava a zero, più che sugli intellettuali comunisti, sui loro ingenui (?) fiancheggiatori, si è ritrovato a braccetto con gli avversari ideologici dell’altro ieri. Nulla quaestio e, per carità, nessuna accusa di voltagabannismo (questi moralismi alla Nino Tripodi mi hanno sempre dato sui nervi). Libero Orlando di preferire (ora) Stefano Fassina a Francesco Forte e Rosy Bindi a Ida Magli: un liberale non scruta le coscienze – compito che lascia al confessore – ma esamina fatti e comportamenti. Ma sono proprio questi ultimi a consacrarlo come princeps degli antiberlusconiani teologici. Negli articoli fielosi (per il Cavaliere ma mielosi per Bersani), che viene scrivendo per ‘Europa’, si può leggere, malinconicamente, la cancellazione di ogni residuo liberale dalla «Mente di Federico Orlando». Esemplare l’ultimo, Ma il futuro presidente può sciogliere il Senato, in cui la (assai) discutibile, ma pacifica, dimostrazione dei deputati del PDL sul Palazzo di Giustizia di Milano, viene bollata come «una richiesta al Quirinale di imbavagliare i giudici», in pieno accordo con la linea (‘liberale di sinistra?’) di quegli amici della ‘società aperta’ che sono Antonio Di Pietro e Antonio Ingroia, ‘partigiani della Costituzione’. Per Orlando, a parte qualche eccesso di zelo – ma forse non è disposto neppure a riconoscere questo irrilevante ‘neo’ – nella magistratura italiana, «madama la marchesa va tutto ben va tout très bien» e non è certo colpa dei PM se conflitto d’interessi e violazione del segreto di ufficio siano reati commessi soltanto da Berlusconi.
 
Comunque nell’articolo in questione, c’è qualcosa che non riesco a capire. Giustamente Orlando stigmatizza il porcellum (non ho votato Berlusconi soprattutto per questo bel regalo fatto alla Lega!) anche se non ricorda che le critiche mosse da sinistra alla legge elettorale non sono mai state troppo convinte e non hanno mai attivato lo sdegno e l’«ira funesta» che ancora oggi gli storici progressisti – i nuovi amici di Orlando – riservano alla ‘legge truffa’ del 1953, una misura saggia e opportuna proposta dal più grande statista italiano del Novecento, Alcide De Gasperi. Un PD uscito malconcio dalla prova elettorale – allearsi con l’estremismo vendoliano non è stato diverso dall’allearsi con Di Pietro – ha ottenuto un numero di seggi alla Camera che nessun’altra legge maggioritaria proposta in passato avrebbe potuto assegnargli. Che Bersani intenda avvalersene è naturale (Berlusconi avrebbe fatto diversamente?) sennonché c’è un altro problema, e non dappoco. Se la Camera, infatti, non rispecchia la volontà dell’elettore, il modo di reclutamento del Senato è egualmente infedele ma, in questo caso, non consente al PD, con la sua esigua maggioranza di voti, di fare l’asso pigliatutto. E allora qual è la proposta geniale di Federico Orlando, edotto dall’imparziale costituzionalista Alessandro Pace? Vediamolo con le sue parole: «Il segretario del PD è il capo della maggioranza assoluta alla camera, che gli concede fiducia, e di quella relativa al senato, che forse gliela nega. Dopo di che, nell’eventuale situazione di stallo, il nuovo presidente della repubblica, nella pienezza delle sue funzioni, può sciogliere una sola camera, appunto il senato». Se le parole hanno un senso, chi, grazie a una porcata elettorale, ha ottenuto una quantità di deputati che nessuna etica pubblica potrebbe giustificare, ha diritto ad avere quanto non gli spetta (sotto il profilo morale, s’intende, non sotto quello giuridico) non solo al tavolo della Camera ma anche all’altro tavolo da gioco, quello del Senato, dove la stravittoria (truffaldina) non c’è stata.
 
Insomma la metà del Parlamento più delegittimata sotto il profilo etico-politico (in quanto eletta con l’infame porcellum) rimane al suo posto, mentre l’altra, in cui la slot machine elettorale truccata ha funzionato male, deve sottoporsi nuovamente alla prova delle urne! Come si vede, l’antiberlusconismo teologico non solo allontana dai verdi pascoli del liberalismo ma fa uscire di senno sicché anche per esso è il caso di dire: «tantum potuit religio!».

In realtà, se non si riesce a formare un nuovo governo, se il collante giustizialista e illiberale, che accomuna oggettivamente Bersani a Grillo, non fa il miracolo, è giocoforza tornare al voto per entrambe le Camere, a meno che nel frattempo non sia spuntato dal cilindro del Quirinale un altro coniglio di governo tecnico. La situazione sarebbe già di per sé molto difficile ma se si votasse solo per il Senato – ma con quale legge elettorale? – ci ritroveremmo in piena guerra civile: una metà degli Italiani, infatti, vedrebbe nella chiamata alle urne un tentativo di metterla definitivamente fuori gioco e potrebbe persino accadere che, per il disgusto di una manovra così di parte, molti elettori del centro-sinistra e del Movimento5Stelle potrebbero riversarsi sul centro-destra. In tal caso, si avrebbe un ramo del legislativo di centro-sinistra e un altro di centro-destra, l’un contro l’altro armati, e l’unica carta a disposizione di Orlando e dei suoi amici giustizialisti resterebbe quella di chiedere l’arresto dei neo-eletti per una qualche violazione della Costituzione antifascista (Robespierre non lo fece, forse, con i deputati della Gironda, per difendere lo spirito della Rivoluzione e la sovranità del popolo?).
 
Se si votasse, al contrario, per le due Camere (sempre con una legge diversa) le cose potrebbero mettersi anche peggio, giacché non sarebbe improbabile una spaccatura della sinistra e una vittoria (oggi sfiorata) del centro-destra, specialmente dinanzi ai furori giustizialistici ed ecologici di Beppe Grillo.

Il momento più patetico dell’articolo di Orlando è costituito, però, dal suo attacco finale ai grillini (‘sciacquette’,’marziani’ etc.) e dal minaccioso avvertimento finale «che l’albero della Costituzione è stato protetto con anticrittogamici molto efficaci, da piantatori che previdero le infestazioni» di grilli e cavallette «e le prevennero». Nel momento in cui Bersani si è messo in un cul de sac da cui potrebbero farlo uscire solo i cinquestellati, l’ex collaboratore di Montanelli fa la voce grossa col rischio di scombinare i giochi e senza avere nessuna proposta alternativa in tasca. Al segretario del PD non mancavano i guai: ci voleva pure la rana di Fedro!
 
* «Mediocrità politica» solo politica, s’intende, non vorrei dover rispondere a un magistrato per il reato di diffamazione.(il Legno storto)

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