giovedì 14 marzo 2013

La sorte del Cav e lo squilibrio dei poteri. Arturo Diaconale


A piazza Montecitorio, di fronte a all'ingresso del Parlamento , è stata delimitata con apposite transenne un'area dedicata alle manifestazioni di protesta. E nelle ultime legislature non è passato un giorno senza che quest'area non fosse occupata da manifestanti che il più delle volte contestavano i rappresentanti del potere politico presenti nella Camera dei Deputati . Molto spesso , inoltre, rappresentanze dei manifestanti hanno chiesto ed ottenuto di entrare a Montecitorio per portare la propria protesta nel luogo fisico dove si celebra il rito della formazione delle leggi. E non non sono mancate le volte in cui la richiesta non è stata neppure avanzata e si è tentato di forzare l'ingresso con la violenza per rendere la protesta più clamorosa possibile. Di fronte ad un fenomeno del genere nessuno si stupisce o si lamenta per i tentativi di “ condizionamento improprio della funzione “ legislativa . Al contrario, è opinione generale che la protesta contro il Parlamento, il potere legislativo, la classe politica non solo sia legittima ma addirittura sacrosanta.

“Questa è la democrazia, bellezza. E tu non puoi farci niente !”. Nello stato di diritto fondato sulla tripartizione dei poteri il diritto dei cittadini alla critica dovrebbe avere la possibilità di esprimersi liberamente nei confronti non solo dei poteri esecutivo e legislativo, come avviene regolarmente e sacrosantamente, ma anche nei confronti del potere giudiziario. Nel nostro paese, invece, le sentenze non si possono discutere e ai magistrati non si può muovere alcun genere di appunto perché ogni forma di dissenso nei confronti del rappresentanti del potere giudiziario diventa una sfida inaccettabile, un attentato alla indipendenza ed alla autonomia , una prevaricazione illegittima ed indebita alla funzione giudiziaria. Per il potere giudiziario, quindi, non vale la regola del “ questa è la democrazia”. Vale , al contrario, la regola della deroga alla democrazia. Cioè il principio che , a differenza per quanto accade per i poteri esecutivo e legislativo, nei confronti del potere giudiziario non si applica il diritto costituzionale della libertà d'opinione. Di conseguenza, l'eguaglianza dei poteri che è alla base dello stato di diritto fondato sulla tripartizione salta.

Ed il potere giudiziario diventa automaticamente il primo di una scala gerarchica che altera la natura stessa della democrazia italiana. Come ben sa lo stesso Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per aver toccato con mano come anche il Capo dello Stato debba subire le conseguenze di questa nuova gerarchia entrata a far parte in maniera prepotente ed incontrollata della Costituzione materiale del nostro paese. Il problema, allora, dopo la manifestazione del Pdl di fronte al Tribunale di Milano e dopo gli interventi del Presidente della Repubblica, non è quello di assicurare il legittimo impedimento a Silvio Berlusconi per tutta la durata della crisi di governo e dell'ingorgo parlamentare per l'elezione quasi contemporanea dei Presidenti di Camera e Senato e del nuovo Capo dello Stati. Il problema è lo squilibrio dei poteri che , in questa particolarissima e drammatica fase della vita pubblica del paese, rischia non solo di liquidare personalmente il leader della seconda forza politica italiana ma di espellere dal circuito democratico i dieci milioni di elettori raccolti alle recenti elezioni dal centro destra. I dirigenti del Pd che puntano proprio a questo obbiettivo nella speranza di liberarsi una volta per tutte dal concorrente naturale e quei magistrati che applicando ottusamente la legge sperano di intestarsi il merito dell'abbattimento del caimano dovrebbero capire che stanno segando il ramo su cui sono seduti. Perché se un terzo degli elettori italiani viene messo fuori gioco a causa dello squilibrio dei poteri e dell'interesse di una precisa parte politica, a saltare non è Berlusconi ma ciò che ancora rimane del sistema democratico. (l'Opinione)

Nessun commento: