giovedì 20 marzo 2014

L'ipocrisia del Cavaliere Augias. Giampaolo Rossi


Corrado Augias è stato netto e perentorio: dal salottino tv di Daria Bignardi ha dichiarato, con il suo solito stile british con il quale dissimula le prediche, che “Berlusconi è un interdetto e un condannato quindi non può tenersi il titolo di Cavaliere”. Augias è uomo di grande morale, anzi di grande moralismo; è da sempre un fustigatore del berlusconismo, che osserva con la solita superiorità antropologica degli intellettuali radical-chic. Da moralista dell’Italia migliore, a Corrado Augias non basta che Berlusconi si sia autosospeso: vuole che gli venga tolto con ignominia quel titolo di Cavaliere del Lavoro che si è guadagnato grazie alla sua straordinaria attività di imprenditore di successo.

D’altro canto anche Corrado Augias è un Cavaliere; per la precisione è Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana, onorificenza e titolo che condivide con un altro illustre Cavaliere al Merito: tale Josip Broz, meglio conosciuto come Maresciallo Tito. Eh sì, perché Augias, che si scandalizza perché Berlusconi è Cavaliere, non si scandalizza del fatto che l’onorificenza di cui lui si fregia sia la stessa conferita, nel 1969, ad uno dei più feroci dittatori comunisti della storia, responsabile delle foibe e della pulizia etnica di decine di migliaia di italiani in Istria e Dalmazia.

Ora, la prima questione è capire come sia possibile che la Repubblica Italiana abbia conferito la sua più importante onorificenza ad un massacratore di italiani. La seconda questione è che, come tutti i moralisti, Augias tende a moralizzare la vita degli altri per non affrontare la moralità della propria. Nell’intervista alla Bignardi lui stesso ha cercato di banalizzare, ridendoci sopra, una storia emersa quattro anni fa da un interessantissimo libro del giornalista d’inchiesta Antonio Selvatici e costruito studiando scrupolosamente gli archivi della StB (la polizia segreta cecoslovacca); la storia riguarda un intero dossier, ritrovato negli archivi, dedicato all’informatore italiano Corrado Augias, nome in codice “Donat”.
In 135 pagine si elencavano gli incontri, i rapporti, i resoconti che tra il 1963 ed il 1967 interessavano il giovane Augias, allora funzionario Rai.

Ovviamente all’inizio Augias ha negato, annunciando querele mai presentate e dovendo poi ammettere che quei contatti c’erano stati sotto forma di “blande frequentazioni”. Rimane sorprendente la capacità camaleontica di molti intellettuali e corposi pensatori della sinistra italiana di nascondere la propria storia e le proprie responsabilità rispetto ad un passato ingombrante. Coloro che hanno giustificato gulag, Pol Pot, foibe, dittature caraibiche, rivoluzioni proletarie, che sono stati “frequentatori” di apparati stranieri non certo alleati dell’Italia, sono riusciti a cambiarsi d’abito alla velocità della luce, inserendosi tranquillamente nei gangli del potere. È la stessa capacità camaleontica che consentì a Berlinguer di denunciare la “questione morale” in politica, dimenticando la “doppia morale” del PCI. Il caso del cavalierato di Berlusconi va oltre la miseria della polemica politica e riguarda l’ipocrisia di un paese che non fa mai i conti con la propria storia.

Ora ci aspettiamo due cose: primo, che la Presidenza della Repubblica revochi la vergognosa onorificenza di Cavaliere al Maresciallo Tito. Secondo, che Corrado Augias, il grande moralizzatore, si autosospenda da Cavaliere al Merito in attesa di spiegarci per filo e per segno chi era l’agente Donat. Se, come lui ha detto, “uno che è condannato per frode fiscale non può essere Cavaliere”, allora non lo può essere neppure uno che “frequentava” i servizi segreti nemici.

(il Giornale)

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