venerdì 14 marzo 2014

Liquidazioni. Davide Giacalone


Non lasciatevi distrarre dalla coreografia, per sdilinquirvi in piaggeria o allenarvi nella supponenza, e guardate la sostanza: Matteo Renzi ha posto in liquidazione sindacati e Confindustria; messo la mordacchia al suo partito; mentre guida un governo privo di opposizione politica. Il che gli consente di affrontare anche il tema della copertura finanziaria delle cose annunciate.

La più impressionante inversione a U è quella della Cgil, con Susanna Camusso che, per tenere il volante, è costretta a far finta di gioire. Ma non è che la Uil di Luigi Angeletti e la Cisl di Raffaele Bonanni siano messe meglio. Tutti stringono i denti e dicono: ha fatto quel che chiedevamo. Non ci credono minimamente, ma non hanno scelta: da molti anni il sindacato rappresenta gli interessi di una ridottissima minoranza di lavoratori dipendenti, ovvero dei soli beneficiati dall’operazione fiscale impostata dal governo. Che volete che dicano? Solo che non è una loro vittoria, bensì la dimostrazione della loro inutilità. La maggioranza degli iscritti al sindacato sono pensionati, inoltre, esclusi dall’operazione, ma singolarmente ricompresi per un taglio ipotizzato dal commissario Cottarelli che, però, è basato sul livello della pensione e non sulla differenza fra quel che è generato dai contributi versati e quel che è stato regalato nel tempo. Il sindacato chiede che la soglia sia più alta, ma togliere a chi incassa in ragione di quanto ha versato si chiama solo in un modo: furto.

La Confindustria tace, ma con quali sponde potrebbe porsi all’opposizione di un governo che promette la possibilità di contratti di lavoro triennali senza motivazioni e vincoli? E se è vero che sull’Irap c’è un’elemosina è anche vero che una parte degli industriali era favorevole all’operazione Irpef. Diciamo che si sono presi il lusso di potere star zitti. Il loro quotidiano, Il Sole 24 Ore, è dovuto andare di cerchio e di botte, al più dubitando.

Forza Italia ha un accordo di ferro, sul terreno di riforme elettorali e istituzionali che si danno per già fatte laddove sono sì e no avviate. Solo il tempo e le delusioni potrebbero portare ruggine, al momento pare oro. La destra di governo è riuscita a definirsi “sentinella delle tasse” e assistere alla presentazione di un programma che da una parte esclude gli autonomi da ogni beneficio, dall’altro porta la tassazione delle rendite finanziarie al top europeo. Che volete che facciano? Se rompono il problema non è perdere i posti, che già intristisce, ma le elezioni, che getta nella disperazione. Abbozzano, sorridendo per la foto. L’unica opposizione che nasce dal cuore è quella della gran parte del Partito democratico, maggioritaria nei gruppi parlamentari. Ma dove possono andare? A dire che vogliono il sistema elettorale proporzionale, che rifiutano gli sgravi fiscali per i dipendenti e inorridiscono per la tassazione delle rendite? (A me resta il dubbio che l’esclusione del titoli di Stato sia illegittima, però).

Ma i conti non tornano, si osserva da diverse parti. E perché? I soldi dell’edilizia e dei debiti ci sono, come qui descritto (da tempo). Gli sgravi porteranno a far salire il deficit, questo è sicuro, ma il governo potrà scaricare sul Parlamento l’onere di tenere fede agli impegni europei, barattando elasticità con riforme (è questa la logica dei contratti bilaterali). Che fanno, i signori parlamentari, non votano? Così non solo vanno a casa, ma con la colpa di avere affondato il Paese. Non vota il Pd? Per vedere il proprio segretario sostenuto dall’odiato nemico? Va loro ancora bene se Renzi non avverte l’impellente e berlusconiano bisogno di cambiare nome al partito, affinché sia chiaro che il passato è stato tumulato.

Tutto bene e alla grande, allora? La cosa più scombiccherata è la partita elettorale e costituzionale. Quella più pericolosa è l’eventuale scarto delle autorità europee (ieri la Bce ha fornito un assaggio). Ma attenti a non sottovalutare la liquidazione di forze un tempo considerate imprescindibili. Altro che concertazione di stampo ciampista, qui siamo a un passo da quel che non osò sognare neanche un illuso liberista. Posto che il confine con l’incubo è ancora labile.

Pubblicato da Libero



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