Il cambio dell’euro determina stagnazione o crescita
Carlo Pelanda
Tra i tanti indicatori di andamento economico delle nazioni, il “superindice” elaborato dall’Ocse è uno dei migliori per capacità di anticipare le tendenze. Questo sta segnalando l’inversione della stagnazione che colpisce l’Italia da un più di un biennio. Non solo per l’Italia, ma anche per la Germania. Sono dati positivi, ma sorprendenti perché né in Italia né in Germania vi sono state particolari manovre stimolative dell’economia. La seconda, anzi, è in preda all’incertezza politica per l’ipotesi di governo pasticciato o di ritorno alle urne. Quindi il giro di boa registrato dagli indicatori dipende da un qualche fattore poco influenzato dalle politiche nazionali. Quale?
Le analisi mostrano con chiarezza che vi è un’alta correlazione tra andamenti del valore di cambio dell’euro e crescita. Tale correlazione è più marcata per Italia e Germania perché sono due nazioni in cui l’esportazione ha una più alta incidenza sul Prodotto interno lordo (Pil). Cosa è successo? Quando, nel 2002, il dollaro ha iniziato a picchiare verso il basso e l’euro a prendere valori eccessivi in alto, le esportazioni si sono ridotte per perdita di competitività valutaria, cioè sul piano dei prezzi nei mercati che comprano in dollari. L’Italia ha ceduto qualcosa come il 25% della sua quota esportativa globale. La creazione dell’euro le ha tolto la competitività valutaria intraeuropea dal 1999 in poi. Le aziende italiane hanno reagito aumentando rapidamente la quantità di esportazioni verso l’area del dollaro, ma questo, crollando, ne ha tagliato i volumi. L’andamento del cambio, in sostanza, è il motivo principale della crisi competitiva italiana che ha causato la stagnazione. Controprova, quando il dollaro, all’inizio del 2005, ha cominciato a risalire, l’export italiano ha ripreso a tirare e, con esso, anche l’economia complessiva, pur lentamente. La Germania ha aumentato l’export anche nei momenti di cambio più penalizzante, ma in una misura non sufficiente a compensare l’andamento piatto, e periodicamente recessivo, degli investimenti e consumi interni. Ambedue le nazioni, mettendoci dentro anche il Giappone per similarità, mostrano lo stesso modello: il sistema economico interno è a crescita piatta per stagnazione demografica e troppi costi diretti ed indiretti del protezionismo sociale e pertanto il grosso della crescita potenziale è affidato alle esportazioni. Ciò rende tali Paesi molto dipendenti dal cambio. Poiché Italia e Germania fanno insieme circa il 50% del Pil dell’eurozona, e la seconda ha un effetto locomotiva, la loro stagnazione ha avuto una moltiplicazione intraeuropea che ha depresso l’intero sistema. Infatti l’eurozona è l’unica area del pianeta a non crescere mentre il mercato globale è in boom: questo è stato l’effetto dell’euro alto.
Tale analisi dirime una polemica tutta italiana: la sinistra dice che la nostra stagnazione è dovuta all’incapacità specifica del governo e questo ribatte che la crisi ha motivi esterni. Evidentemente ha ragione il secondo: non ha avuto grandi colpe per la stagnazione ora in via di soluzione. Ma non avrà grandi meriti per la ripresa. Il punto è che l’Italia, cedendo la sovranità monetaria, dipende massimamente da scelte esterne che non può influenzare. Questa consapevolezza dovrebbe trasferire le attenzioni dalle banalità politichesi alla “grande politica” che potrebbe portare eurozona e Stati Uniti a concordare un rapporto di cambio euro/dollaro meno penalizzante per la prima. Sarà possibile? Vedremo, ma il punto di sostanza è che con un cambio euro/dollaro 1 a 1 l’Italia potrebbe puntare ad una crescita del 2,8% nel 2006, la Germania di più trainando meglio anche noi e gli altri.
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1 commento:
Questo punto di vista è condiviso da par3ecchoi esperti di economia. Péccato che all'opposizione continuano a fare gli "gnorri" e a negare qualunque responsabilità. E' pur vero che col passaggio all'euro si doveva prevedere questo e cercare di modernizzare il nostro sistema economico, troppo dipendente dalla svalutazione della lira", ma è anche vero che un sistema economico nazionale non si cambia in pochi giorni, per cui bisognava pensarci prima.
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