mercoledì 14 giugno 2006

Un governo lento. Una leadership latitante. il Riformista

Alla fine di questa settimana il governo Prodi festeggerà il suo primo mese di vita. Per allora se ne sarà andato quasi un terzo di quei cento giorni che, nei propositi di campagna elettorale, avrebbero dovuto essere spesi dal nuovo esecutivo per dispiegare la propria azione d’urto attraverso un prontuario di formule e ricette su economia, esteri, sociale. Ecco, prontuario non è proprio il termine più azzeccato. Perché, come ormai ammettono persino voci ufficiali da palazzo Chigi, questo governo non è nato pronto. È partito lento, ad andatura magari non «sciancata» come vorrebbe Eugenio Scalfari, ma certo rigida, legnosa, involuta. E qui non c’entrano le attenuanti invocate da più di un esponente dell’Unione (il successo risicato, l’ingorgo istituzionale) né vale l’obiezione che, ottenuto l’incarico, la lista dei ministri è stata portata da Prodi al Quirinale a tempo di record.
Attenzione, però, il debito di questo governo non è nemmeno quello rivendicato da certa critica, e cioè la proliferazione di ministri e ministeri, la moltiplicazione dei sottosegretari e la superfetazione degli staff. Il tema esiste, ma è tutt’altro che centrale e l’impressione è che venga brandito con uno spirito pericolosamente contiguo a quell’antipolitica patologica in una parte consistente dell’opinione pubblica nazionale.Il punto è il merito. Cos’ha deliberato finora il governo? Su quali materie c’è stato un intervento diretto, concreto dell’esecutivo che non sia solo una linea d’indirizzo, una cornice di intervento, una parola d’ordine? Sull’Iraq è stato confermato un ritiro di cui non si conoscono ancora tempi certi e modalità. In economia, la verifica sullo stato dei conti pubblici ha paralizzato per tre settimane ogni attività e, pure una volta sciolto il dubbio sulla necessità della manovra bis, il mandato del «rigore» ha mascherato il disordine di proposte e competenze, complicato per giunta dalla contraddittoria gestione del rapporto con le parti sociali, sindacati in testa.
Un esempio su tutti: a tutt’oggi del cuneo fiscale - provvedimento sui cui l’Unione ha giocato buona parte delle sue carte in campagna elettorale e che quindi doveva in teoria essere varato in scioltezza- non si sa in che misura e forme sarà tagliato in questo primo anno e la coniazione di formule come «cuneo a rate», «cuneo selettivo» (e chi lo dice a imprese e lavoratori che il taglio dei contributi non valeva per tutti?) è spia di una confusione ingiustificabile. In questo contesto, nonostante il susseguirsi di specifici vertici, seminari e workshop, la politica del governo continua a vivere di annunci, secondo un metodo molto censurato quando il centrosinistra stava all’opposizione, ma che al momento pare l’unico modo con cui i rappresentanti del governo riescono a mandare al paese segnali di vita.E Prodi? Dopo essere incappato nel vizio rimproverato ai suoi ministri, rilasciando una avventurosa (e inutile) intervista a Die Zeit, non ha ancora trovato il modo di prendere in mano la situazione. Ora, sebbene con un ritardo inatteso sui cento giorni, per il premier sta arrivando il tempo delle decisioni concrete. E nessuno, perlomeno non noi, dubita che Prodi saprà scegliere con chiarezza le vie da prendere.
Il fatto è che a questo governo, alla sua capacità di incidere davvero, di riformare il paese, di durare una legislatura, non basterà nemmeno deliberare. Quel che serve, e finora latita, è una leadership politica che accompagni ed esalti ogni mossa. Prodi è un decisionista sui generis, che ama fare di testa sua ma che spesso preferisce aggirare gli ostacoli che gli si frappongono piuttosto che affrontarli con la armi della politica. Ma un decisionismo senza leadership è inutile. Perché è la leadership, a proposito anche delle critiche di certi giornali amici, che fa la differenza tra un capo politico e un semplice «amministratore».

1 commento:

Anonimo ha detto...

Prodi è una mortadella andata a male.