venerdì 9 maggio 2008

Femminismo e basaglismo, ruderi del sinistrese. Luigi De Marchi

Si è tenuto in questi giorni a Firenze un grande convegno intitolato “Donne in rivolta tra arte e memoria” che ha mobilitato molte delle leader femministe italiane e internazionali ma che, forse proprio per questo, non è andato oltre i luoghi comuni con cui, dagli anni ’70, queste leaders hanno prima distorto e poi seppellito la liberazione della donna. Quest’incapacità autocritica emerge anche dalla relazione introduttiva di Nadia Fusini dedicata ai personaggi femminili del romanzo ottocentesco e pubblicata da “Repubblica”.

“Non c’è dubbio – ha detto la relatrice – che nella seconda metà dell’Ottocento esista una quantità di opere, assai simili per tematica e struttura, che vanno a comporre un unico grande romanzo, definibile “femminista” se non altro perché ne sono protagoniste indiscusse le donne: Emma Bovary (1857), Anna Karenina (1877), Nora di “Casa di Bambola”, Giovanna di “Una vita” (1883), Hedda Gabler (1890), Effi Briest (1895 e Marta nell”Esclusa” (1901).

“Sono tutte donne colte nella posa dell’adultera. E’ altrettanto indubitabile che, nel corso dell’opera noi assistiamo all’eliminazione fisica delle protagoniste e che, ove volessimo accertare la responsabilità della loro morte e comprendere se si tratti di suicidio o di omicidio, dovremmo concludere che ad uccidere Anna Karenina sono insieme il marito Karenin e l’amante Wronsky; che ad uccidere Effi Briest sono insieme il marito Von Innstetten e il maggiore Crampas; e che ad uccidere Hedda Gabler sono insieme il noiosissimo marito Tessman, il demoniaco Loevborg e il volgare Brack”.

Non proseguo la citazione perché questo paio di paragrafi mi sembra dimostrare già a sufficienza la distorsione paranoidea che Nadia Fusini esprime nella sua relazione, allineandosi del resto al femminismo prevalso nel mondo dagli anni ’70 ad oggi. E’ un femminismo che ho definito “androfobo” non solo perché esso tende a vedere nel maschio il colpevole di ogni umana nefandezza (esattamente come ha fatto con la femmina, per secoli, il clero cristiano e come fa tuttora il clero islamico) ma anche perché fa rima con “idrofobo” e bene esprime l’aggressività patologica di certe femministe nei confronti del maschio.

Ciò che, senza neppure accorgersene, Nadia Fusini trascura o rimuove è un piccolo particolare, e cioè il fatto che gli autori di quei romanzi e di quei drammi erano, vedi caso, tutti maschi: maschi che amavano e ammiravano le loro eroine trasgressive e appassionate e che hanno testimoniato ed esaltato la nobiltà morale in aperta sfida ai pregiudizi correnti. E in questo fatto silenziosamente sottaciuto o rimosso sta l’errore storico del femminismo androfobo, che ha condannato al fallimento quella che poteva essere la più grande rivoluzione della storia. Fu un errore imposto dal femminismo segregazionista americano arrivato in Italia all’inizio degli anni ’70, che impresse una rovinosa svolta androfobica al Movimento Radicale di Liberazione della Donna, ove donne e uomini libertari lavoravano e lottavano insieme. Come forse ricordate, già nel ’68, nel quadro del Movimento Radicale di Liberazione della Donna, con Adele Faccio, Guido Tassinari, Gianni Tibaldi e pochi altri, avevamo fondato un periodico “La via femminile” il cui primo editoriale dichiarava: “Se il mondo ha qualche speranza di salvezza, questa speranza sta nelle mani delle donne”. Ma l’apartheid sessuale americano travolse quella nostra intelligente e realistica impostazione ficcando il movimento delle donne in un vicolo cieco e facendone solo, o soprattutto, un trampolino per alcune dirigenti in cerca di potere e di successo.

Sul piano di massa, infatti, quella politica androfobica non poteva avere un futuro, e non l’ebbe, perché era impossibile varare una rivoluzione sociale (come pretesero di fare le femministe “americane de Roma” all’Alberto Sordi) basandola sull’odio tra i sessi, cioè sulla negazione d’un istinto biologico fondamentale qual’è l’attrazione reciproca tra il maschio e la femmina. Così, dopo un successo effimero, la massa delle donne abbandonò il movimento femminista che, divenuto spesso una sorta di mafia lesbica, anziché approdare alla più grande rivoluzione di tutti i tempi, scomparve nella sabbia come certi fiumi asiatici.

In questa miniaturizzazione del movimento femminista credo si possa leggere anche un’altra conferma dell’approccio psicopolitico al sociale. Come accennavo testè, il movimento femminista androfobo finì per scimmiottare inconsapevolmente la rabbiosa misoginia del clero cristiano e islamico, che aveva per secoli indicato nella donna il “demonio dipinto”, la “porta del diavolo” o il “vaso d’ogni corruzione”. Il sessismo dei preti maschilisti e delle pretesse femministe, il razzismo nazista o il classismo comunista commettono tutti lo stesso errore: credere che il valore o il disvalore d’una persona dipenda dalla sua appartenenza all’uno o all’altro sesso, all’una o all’altra razza, all’una o all’altra classe sociale. Esso invece dipende solo dalla sua struttura di carattere, dalla sua personalità, dalla sua mentalità. Per questo ci sono donne meravigliose e donne detestabili, uomini meravigliosi e uomini detestabili, neri meravigliosi e neri detestabili, operai meravigliosi e operai detestabili. Ricordo un bellissimo articolo pubblicato nel 1977 sulla rivista dell’Istituto Reich da una mia indimenticabile compagna e collaboratrice, Daniela Napoletano, che avevo conosciuto nella lotta comune presso il Movimento radicale di Liberazione della Donna:

“Insieme ad altre donne – scriveva Daniela – ascolto anch’io il discorso di una leader femminista. La voce al microfono alterna una sequela di luoghi comuni: “Tremate, tremate, le streghe son tornate! Il cazzo è fascista…” In pochi minuti le parole svaniscono nella noia, ma resta il timbro della voce: aspro, violento, carico di odio, sopraffattorio. Penso tra me: “Basta! Questa è il peggior maschio della specie…Qui bisogna muoversi, bisogna reagire!” Clemenceau diceva che la guerra è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai generali. Io dico che la liberazione della donna è una cosa troppo seria per lasciarla fare alle sue generalesse. E’ tempo di convincere la donne a riprendersi la loro rivoluzione, a fermare quest’ondata di rancorosa violenza che viene da certi gruppi femministi”. Parole di 31 anni fa ma ancora attualissime.

Sono passati più trent’anni ma, mentre le dirigenze comuniste e fasciste hanno riconosciuto i loro rovinosi errori, quelle femministe restano spesso inchiodate ai loro dogmatismi arroganti come fanno, in questi giorni di celebrazione della legge 180, le dirigenze basagliane. I ruderi pseudo-femministi e basagliani del sinistrese sopravvivono, a quanto pare, al crollo delle loro cattedrali. (il blog del Solista)

1 commento:

Anonimo ha detto...

quello che stavo cercando, grazie