Basta dire “palazzinari”, o “piano regolatore”, magari “cementificatori del paesaggio” e la mente, allenata al luogo comune, corre ai concetti gemelli: abusivismo, intrallazzi, sfregio ambientale. Il tutto ad opera, naturalmente, degli amici e sodali del potere, contro cui la sinistra ha condotto dure e coraggiose battaglie. Bene, ora usciamo dalle filastrocche e veniamo alla realtà, nella quale gli uomini di Calce e Martello hanno lasciato tracce profonde, che ancora attendono d’essere raccontate ed entrare nella mente di molti. In quanto a cemento, i compagni non si sono fatti mancare nulla, compresi architetti pazzoidi, osannati come artisti e pagati come star. Una storia talmente taciuta da consentire, ancora nei giorni scorsi, di far finta che l’intero capitolo dell’edilizia debba considerarsi una nefandezza, naturalmente ascrivibile agli altri.
L’archetipo è un film: Le mani sulla città. Correva l’anno 1963 e Rosi scelse Rod Steiger, fresco d’avere interpretato Al Capone, per mettergli addosso i panni di uno speculatore edilizio, naturalmente del sud, naturalmente democristiano. Gli fece fare sia il costruttore che il consigliere comunale. Per essere più convincente, ad incarnare l’opposizione allo scempio chiamò, naturalmente, un comunista. Ma uno reale, l’onorevole Carlo Fermariello. Eroe positivo, amico del popolo, oratore infuocato. Il realismo aiuta, perché essendo veramente comunista e veramente parlamentare, il nostro personaggio militava davvero nel partito la cui sede centrale, le Botteghe Oscure, era stata regalata dai Marchini. Costruttori partecipanti al “sacco di Roma”, acquirenti e speculatori sui terreni vaticani, lottizzatori di quartieri come Prati e realizzatori delle palazzine della Magliana, allocate sotto il livello del Tevere.
Quando uno dei fratelli Marchini finì in carcere, coinvolto nello scandalo Italcasse e dei suoi fondi neri, l’allora Presidente della Camera dei Deputati, Nilde Jotti, gli spedì un telegramma di solidarietà. Allora sull’Unità non scrivevano persone pronte a lanciare l’accusa di volere “delegittimare la magistratura”. Il palazzo, poi, fu venduto dai liquidatori della storia comunista, in modo da finanziare l’attività dei comunisti sopravvissuti.Quando i partiti democratici furono spazzati via dalle inchieste giudiziarie, interessate a sapere come si finanziavano, nessuno volle indagare troppo su un curioso particolare: nel mondo Italstat, il cuore della cementificazione statale, il motore appaltante la ricchezza investita per realizzare edifici pubblici, il 25% dei lavori era riservato alle cooperative, per la gran parte aderenti alla Lega, quindi organiche al Partito Comunista. Considerate in termini aggregati, quelle erano il principale appaltante. Hanno indagato tutti gli altri.
Due sarebbero state le cose da chiedere: a. perché c’era quella percentuale riservata? b. che fine facevano i soldi incassati? Risposte: era il modo per dare la quota di spettanza ai comunisti, secondo una regola consociativa e spartitoria di cui erano parte costituente, ed i soldi finivano nella casse del partito. Gianni Donegaglia, presidente della fallita Cooperativa Costruttori di Argenta lo ha raccontato con dovizia di particolari, ove mai ci sia bisogno che qualcuno lo racconti.
A questo punto, il luogocomunismo vuole che si dicano due cose. La prima: i dirigenti comunisti non si arricchirono personalmente. Ah no? Abitavano le case elargite dai compagni costruttori, spesso figurando come soci fasulli delle cooperative. La seconda: gli uomini di calce e martello non hanno scempiato le città ed influito sui piani regolatori, per speculare sui terreni. Che gli rispondiamo? Non ci sono più le mezze stagioni, la roba non ha la qualità di una volta, c’è un crollo dei valori. E del senso del ridicolo.
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1 commento:
"confido nel senso estetico degli Italiani", ha detto berlusconi...sì...
ma si guardi intorno, guardi lo scempio di questa nostra povera Italia. E' l'evidenza dei fatti, purtroppo, che smentisce le sue menzogne propagandistiche...
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