martedì 29 dicembre 2009

Odio da fantozziani. Giuliano Ferrara

I faticoni dell’odio ci si mettono d’impegno. Si riuniscono e decidono di costruire un grattacielo di cartapesta, in cima al quale fissano una gigantografia di Silvio Berlusconi con la faccia insanguinata. Poi sfilano nel freddo e cantano le nenie solite, sicuri del fatto loro, uniti intorno al totem.

Altri introducono avventurosamente nello stadio striscioni con scritte cubitali inneggianti all’eroismo e alle virtù di Massimo Tartaglia, il deficiente (sarà permesso dire pane al pane…) che ha sfasciato il grugno del presidente del Consiglio con un Duomo d’alabastro, poi ha detto di averlo fatto perché lo odia, poi di essersi pentito, poi di ammirare Antonio Di Pietro e infine di «voler vivere senza televisione» (e così la sua ossessione è rivelata appieno).

Bisogna specificare bene un’evidenza, a scanso di equivoci. La psicologia dell’odio può avere una sua maestà, una sua dignità fosca e terribile, e d’altra parte le guerre civili sono state forze motrici nella storia, per quanto sangue e per quanta crudeltà abbiano generato, ma non è questo il caso. Qui siamo a un livello decisamente più basso. L’odio verso Berlusconi nell’Italia contemporanea ha il timbro del riflesso condizionato, della stupidità a comando, di un ribollente crogiolo di emozioni farlocche macerate nel succo dell’ideologia e dello spirito di branco.

Di più. Il pubblico in quanto tale, che si tratti di un talk show, di un reality, di un festival di letteratura, della rubrica delle lettere ai giornali, del blogger collettivo online, il pubblico in quanto tale tende a qualificarsi come soggetto largamente inferiore all’individuo demassificato, solidale ma solitario, intellettualmente ed emotivamente autonomo. Il pubblico, diciamocelo senza indulgenza, è per sua natura un po’ scemo.

Si può essere molto stupidi anche quando si ama collettivamente, quando si venera o si adora l’Indispensabilità di un carisma. Ma nel caso in questione bisogna fare due conti. Odio e amore sono in qualche misura prodotti dello scambio, in ogni caso non possono essere giudicati solo con il metro della gratuità, qualcosa deve passare tra chi odia e chi è odiato, tra chi ama e chi è amato.
Chi ama Berlusconi, per esempio, delle ragioni le ha: l’uomo ha fornito tre canali generalisti gratuiti all’intrattenimento familiare, giovanile, alla satira, alla chiacchiera, all’immaginazione emotiva dei consumatori di fiction, rompendo il monopolio Rai di un’Italia un po’ plumbea, in bianco e nero; eppoi ha procurato all’orgoglio pallonaro un inverosimile numero di coppe e trofei nel mondo appassionato del calcio italiano e internazionale; eppoi in politica ha provocato nientedimeno che l’alternanza di forze diverse alla guida dello Stato, costituzionalizzando leghismo ribelle e secessionista, integrando i fratelli separati della storia civile del Novecento, i neofascisti che con lui diventano postfascisti, antifascisti e ora con il nuovo Gianfranco Fini campioni di repubblicanesimo perfetto.

Non è poco, per tralasciare tante altre cose e cosette, compresi i suoi modi, la sua sincerità di riccone e di generoso, il suo talento liberale naturale, il suo sorriso, la bonomia, ma anche le scenatacce, le incursioni ardite in ogni campo, e perfino le celebri, portentose gaffe senza le quali ci annoieremmo tutti mortalmente.
A odiare Berlusconi che cosa ci si guadagna, a parte il fremito e il parossismo che ogni odio gratuito comporta? Niente. Le ragioni sono fiacche.

Sono legate a una versione favolistica della sua personalità, una versione nera, intrattabile, che non ha radici nella realtà percepibile. Bisogna credere ciecamente nei sottofondi della storia, nella doppiezza di tutto quel che si vede, e bisogna pensare che tutto il mondo di Berlusconi sia inquinato dalla cattiveria. Bisogna, in una parola, essere «fantozziani», invidiosi di un Paese che non si conosce e che non ti conosce; bisogna essere larve sentimentali, fascine che prendono fuoco in modo grossolanamente sproporzionato. Bisogna essere esageratamente fantozziani, per odiare Berlusconi. Mediocri. (Panorama)

6 commenti:

Acchiappabufale ha detto...

I «fantastici 4» alleati per abbattere Silvio

I fantastici quattro dell’antiberlusconismo militante quando si mettono insieme si esaltano, si magnificano, si irrobustiscono.
Diventano, se possibile, ancora più supereroi.
Come i personaggi del fumetto creato da Stan Lee e Jack Kirby hanno sèguito, si presentano come onnipotenti forze del bene, a fronte di un sacco di nemici. Come Mister Fantastic, la Donna Invisibile, la Torcia Umana e la Cosa combattevano contro Diablo, Dragon Man, il Pensatore Pazzo, Silver Surfer, Dottor Destino e Galactus, allo stesso modo Travaglio, l’Unità, Annozero e Repubblica guerreggiano quotidianamente contro una lunga schiera di avversari: Berlusconi, il Cavaliere, l’uomo di Arcore, il premier, il presidente del Consiglio, il patron di Mediaset e persino il presidente del Milan.

Mister Fantastic-Travaglio, leader del gruppo, scienziato che può allungare il proprio corpo, è senza dubbio il genio scientifico-giustizialista del quartetto.
È l’asso di picche del poker che si fa jolly, ed è gommoso nell’eloquio quanto lo sono le sue membra nel dilatarsi su tutti i media disponibili: edicola, web e tv, dove picchia come un fabbro ma con toni gentili, dove rivendica il diritto a odiare e vedere al Creatore le persone, dove afferma di volere i nemici dietro le sbarre e dove per i suoi scopi utilizza brandelli di Montanelli ma soltanto quelli che gli fanno comodo.
Scaltro e capace, in televisione riesce a farlo quasi sempre senza contraddittorio, salmodiando veleni con i quattrini del canone Rai in saccoccia.

Così come il suo compare Torcia Umana-Santoro, star dal pelo rossiccio, in grado di prendere fuoco come nei fortunati episodi in cui cantava «Bella Ciao» o incendiava il suo datore di lavoro di viale Mazzini, Massimo Liofredi. Arde spesso e volentieri ma sempre e soltanto a senso unico.

Poi c’è la Donna Invisibile-Unità, capace di creare campi di forza indistruttibili come piazzare una foto del suo acerrimo nemico Berlusconi, incerottato perché gli hanno appena spaccato la faccia, accanto a quella di Mussolini, anch’esso bendato perché vittima di un attentato nel lontano 1926.
Silvio uguale Benito, insomma, e chissenefrega se il primo è stato eletto democraticamente dalla maggioranza degli italiani.

E che dire della Cosa-Repubblica?
Ha una resistenza sovrumana: è capace di cantilenare per mesi dieci domande per dipingere il nemico come noto pedofilo e puttaniere ed è in grado di infarcire le proprie pagine di scatti scippati dalla casa dell’avversario. È un vero e proprio esperto nella guerra del gossip ma soprattutto possiede una forza gigantesca, enorme, praticamente debenettiana.

Non sempre affiatati l’un con l’altro, i quattro supereroi ogni tanto si fiancheggiano, si aiutano, si soccorrono.
Come nell’ultima puntata: Mister Fantastic dà voce alla Cosa, la Cosa riprende Mister Fantastic; la Donna Invisibile solidarizza con la Cosa, la Torcia Umana e Mister Fantastic; la Torcia Umana difende Mister Fantastic.

Tradotto: il Fatto di Travaglio intervista Ezio Mauro di Repubblica il quale dice che Travaglio ha ragione, che Berlusconi semina odio, che Berlusconi è regista dei propri scandali, che la democrazia sta degradando.
Repubblica dice che Travaglio ha ragione, che Berlusconi semina odio e che Berlusconi è regista dei propri scandali. L’Unità esprime solidarietà a Repubblica, ad Annozero e al Fatto «sottoposti a un duro e intimidatorio attacco» da parte di Berlusconi che semina odio.
Ad Annozero Santoro difende Travaglio «attaccato e sottoposto a un vero e proprio massacro mediatico», critica Berlusconi che semina odio e fa gli auguri di Natale a Spatuzza e a chi odia Berlusconi.

Acchiappabufale ha detto...

Insomma, la combriccola dei fantastici quattro serra le file e sogna la vittoria finale avvalendosi del loro vero super potere: quello di rappresentare la realtà fino a trasfigurarla nei loro più intimi convincimenti. Certi di aver ragione, di interpretare il bene e il giusto senza mai un’ombra di dubbio, di essere missionari di salvezza del Paese, dipingono il presidente del Consiglio come mafioso, mostro, male assoluto, dittatore e megacriminale.
Un personaggio da abbattere, eliminare, distruggere.
Dimenticando, però, che il Dragon Man di Arcore è soltanto un italiano che s’è presentato alle elezioni.
Tre volte a vinto e due volte a perso.
Così, democraticamente.

di Francesco Cramer

Acchiappabufale ha detto...

Il bruto, il dandy, i cattivi: volti dell’odio anti-Cav

Tra i crociati dell’antiberlusconismo si registrano non secondarie differenze. Un «bruto» come Antonio Di Pietro non abbassa i toni neanche subito dopo l’aggressione a Silvio Berlusconi. Il «dandy» Marco Travaglio, mentre mantiene sul Fatto inalterato il livello d’insulti al premier e seguaci, sviluppa parallelamente una campagna vittimistica sull’attacco alla libertà di stampa di cui sarebbe oggetto. I «cattivi» della Repubblica piangiottano sugli attacchi «ingiustificabili» di Fabrizio Cicchitto ma correggono la linea, riportando perfino dichiarazioni berlusconiane con una qualche neutralità.
Di Pietro tiene insieme un’area del rancore a cui, tramite un vecchio leader dell’estremismo cigiellino, Maurizio Zipponi, cerca di dare un carattere anche «classista». Un coacervo di avventurieri capaci solo di una rozza protesta e di risentiti che non stanno insieme senza una costante esasperazione. Di Pietro non ha spazi di manovra se non ricatta il Pd, se non offre alle varie anime morte di quel partito, tipo Dario Franceschini e Walter Veltroni, terreni per differenziarsi da Pierluigi Bersani. Se non utilizza le elezioni regionali, quando il centrosinistra non può rinunciare a quel 4-6 per cento di voti che l’Italia dei Valori porta, per farsi spazio. La sua brutalità è inevitabile.
La posizione di Travaglio è in parte differente, pur essendo nella sostanza non più raffinato dell’ex pm, il suo successo è frutto anche di un rapporto con settori di intellettualità, insofferenti per il primitivismo dipietresco, con personaggi che un tempo erano in qualche modo nell’establishment come Furio Colombo, già letterato d’avanguardia e cocco di Gianni Agnelli, Antonio Padellaro, qualche secolo fa «promessa» del Corriere della Sera, fino a Gian Carlo Caselli, un tempo largamente influente nell’opinione pubblica. Lo stile simil-dandy di Travaglio (in realtà scadentemente centrato su giochettini da terza elementare sui nomi e i cognomi di chi attacca) riflette questa voglia di stare in società, impostagli in parte dalla «compagnia» e dal pubblico che vuole raggiungere con i suoi libri. Proprio queste caratteristiche gli impongono di fronte al caso aggressione Berlusconi, di cercare una via non solo di scontro, ma anche «presentabile» in società. Da qui la chiamata alle armi di presentabili (da Barbara Spinelli a Ezio Mauro a Lucia Annunziata) per «difendere» il suo diritto a insultare Berlusconi.
Rispetto agli altri «odiatori» La Repubblica ha un problema più complicato: non rappresenta posizioni marginali, bensì centrali. Con le sue «campagne» ha imposto all’opposizione di non cercare convergenze sulle riforme e preparato il clima a settori della magistratura per iniziative attivamente antiberlusconiane. L’area repubblican-debenedettiana, però, ha perso il controllo sul Pd e ha dato spazio a un troppo autonomo Pier Ferdinando Casini, con il risultato di indebolirsi politicamente. In parte Carlo De Benedetti ha cercato di rimediare sostenendo Francesco Rutelli e Bruno Tabacci in un’iniziativa che condizionasse Udc e Pd. Ma il clima creato dall’aggressione a Berlusconi ha indebolito ancora di più la posizione del quotidiano romano. Da qui il tentativo di rimediare al parziale isolamento con qualche ritirata.

Acchiappabufale ha detto...

In questo contesto la denuncia fatta in Parlamento da Cicchitto del ruolo politico del quotidiano di Largo Fochetti è stata decisiva. Certo sono comprensibili le preoccupazioni di chi teme si attenuino le funzioni da cane da guardia del potere della libera stampa e quindi chiede alla politica di non interferire con i contenuti dei giornali. Ma non è «interferire», cogliere la funzione politica esercitata da un giornale con raccolte di firme, manovre internazionali, organizzazione di manifestazioni, interventi a gamba tesa nei congressi di partito (non votate chi non vuole rompere con Berlusconi) e campagne contro i giornali che non si allineano. Iniziative legittime, però «politiche». Che se nel luogo che discute degli indirizzi politici del Paese non sono affrontate, si rischia di trovarsi con uno «Zittamento» al posto del Parlamento.

di Lodovico Festa

Acchiappabufale ha detto...

Segnalo anche questi video :

TRAVAGLIO MENTE, BORSELLINO DICE LA VERITA

http://www.youtube.com/watch?v=qFGswy75Smk&feature=player_embedded

Le verità sull'intervista a Paolo Borsellino - 1 - by Segugio

http://www.youtube.com/watch?v=Pa4e1QqG0lg&feature=channel

Le verità sull'intervista a Paolo Borsellino - 2 - by Segugio

http://www.youtube.com/watch?v=_XMnjVGXqR8&feature=player_embedded

maurom ha detto...

Da qualche tempo il nostro blog non è più "allietato" dalle visite della concorrenza...
Devo ammettere che ogni tanto i sinistri mi mancano.