lunedì 7 dicembre 2009

Spatuzza e il suo padrino. Davide Giacalone

Non mi hanno colpito le parole di Gaspare Spatuzza, semmai le reazioni politiche e giornalistiche. L’ho ascoltato in diretta, riconoscendo quel che guidava il suo dire. Faccio fatica, invece, a capire chi ne discetta senza cognizione di causa. Ci sono cresciuto, a Palermo, una grande città le cui pietre sanno di avere una storia incancellabile, sentendosi ciascuna pezzo di una trama indistinguibile. Puoi studiarla una vita, la Sicilia, ma se non ne conosci lo sguardo quando ha gli occhi chiusi, se non ne hai respirato l’apnea, non c’è verso di capirne nulla.
I mafiosi sono dei disonorati, degli uomini da niente. A scuola li riconoscevi: somari e cacasotto. I candidati perfetti. Se avevano un problema correvano da “‘u parrinu”, per invocarne la copertura. Mi domandavo, ascoltando quella bestia ben nutrita che deponeva in tribunale, chissà quanti se ne sono accorti, che sta manifestando devozione al suo “parrinu”? Già, il “padrino” di Mario Puzo, poi film di successo, la figura d’origine religiosa, poi incarnazione della subordinazione. Il mafioso è un essere inferiore, fa quello che dice il padrino, che è inferiore pure lui, ma ha fatto carriera. Non c’è motivo, però, di volerli battere in deficienza. Magari credendo a roba come la conversione. Suvvia, quello è un killer in servizio, e sebbene solo chi ha molto peccato, eccetera, c’è un limite antitrust anche in quel settore.
Rispettiamo la nostra, però, d’intelligenza. Quindi, i mafiosi votarono, nel 1986, per quei “crasti” dei socialisti, che, però, non fecero niente in loro favore. Questa demenzialità è ripetuta spesso, ma tale rimane. I socialisti furono quelli, assieme ad Andreotti, che diedero ospitalità ad uno sconfitto Giovanni Falcone, fatto fuori da Luciano Violante e dal corporativismo insabbiatore. Nel mentre a Palermo imperversava Leoluca Orlando Cascio, che attaccava Falcone in nome dell’antimafia, e prendeva i voti nei quartieri mafianti. Quanto si deve essere deficienti per credere che i mafiosi s’aspettassero d’essere aiutati dai socialisti di Milano? Prima di votare per quelli del garofano, votarono per gli andreottiani, sempre in cambio di protezioni. Lucide, queste mezze seghe che mettono la coppola sul niente, visto che fu il governo Andreotti a varare un decreto legge (spudoratamente incostituzionale e liberticida) destinato ad allungare la carcerazione preventiva dei mafiosi che sarebbero stati, di lì a poche ore, scarcerati. Poi, sempre dotati di tanta ficcante intelligenza, fecero l’accordo con Berlusconi, per il tramite di Dell’Utri. Roba grossa! Strategia raffinatissima, tanto che se la dicono al bar, raggianti. Abbiamo l’Italia in mano, proclamava un presunto capo, parlando con un picciotto che aveva all’attivo sette stragi e quaranta omicidi. La persona adatta cui fare confidenze, uno che non sarebbe mai stato arrestato.
Ma che volevano? Cosa avrebbero fatto, se avessero avuto l’Italia in mano? Attenti, perché le due risposte che seguono sono decisive: avrebbero “aggiustato” i processi ed avrebbero utilizzato gli appalti pubblici per arricchirsi e riciclare denaro. Queste sono le cose di cui Spatuzza non parla, che, se ne parlasse, sarebbe un pentito, non un soldato. Per “aggiustare” i processi ci vuole la complicità dei magistrati, non dei governanti. Certo, questi ultimi possono cambiare le leggi, ma sono decenni che lo fanno solo per inseguire l’emergenza e consegnare alla giustizia armi utili a combattere il “fenomeno” della mafia. Ad opporci siamo in pochini, solitamente fraintesi, più spesso ignorati. Per scappare alla carcerazione dura, per continuare a mafiare, e, magari, approfittare di qualche smagliatura giudiziaria, occorre avere sponde efficienti nei palazzi di giustizia. La politica può servire da copertura ed entratura, ma l’eventuale complice veste la toga. Di questo, del resto, cominciò a parlare Angelo Siino, identificato come il ministro dei lavori pubblici di Totò Riina. Diceva la verità? Domanda sciocca, perché questi non sanno dove stia di casa, la verità. Diceva cose che vanno capite.
Poi ci sono gli appalti, e la politica serve a quelli. Un tempo il rapporto era rovesciato: il capo politico si appoggiava alla rete mafiosa, in modo che i lavori arrivassero agli amici, alimentando finanziamenti e clientele, senza che ci fossero mancanze di rispetto o di parola. Per un assegno a vuoto si va in tribunale, e ci si perdono gli anni, per un mancato pagamento a questi sgherri si va al cimitero, sempre che trovino il cadavere. Oggi le cose vanno peggio, perché di soldi ce ne sono tanti, in mano pubblica, e la politica partorisce uomini e partiti di transito. Questo, pertanto, è il settore più inquietante e delicato, perché vivo.
Attenti, però. Quando sento dire che Paolo Borsellino fu ammazzato perché contrario alla trattativa (che non c’era) fra mafia e Stato, penso subito che è in atto un depistaggio. Quando vedo che non si parla dell’inchiesta mafia appalti, sulla quale s’incaponì, convinto di trovarvi la ragione della morte di Falcone, e ci si dimentica come nacque, come progredì e come morì (perché morì, nei palazzi di giustizia), allora penso che il depistaggio ha raggiunto l’obiettivo.
Ecco, Spatuzza è una comparsa, sanguinolenta e coerente, che riscuote il premio della protezione. Assegnato non dalla politica, ma dalla magistratura. Che altro aggiungere? Che in un Paese normale, dopo l’esibizione torinese, ci sarebbero due sole vie: o l’incriminazione del dichiarante per calunnia, oppure quella del capo del governo per mafia. Vedo che tutti i giornali s’affrettano a voler scongiurare la seconda, senza neanche prendere in considerazione la prima. Eccola qui, l’Italia che ignora le regole ed il diritto, quella, appunto, in cui ancora può esistere un’associazione di disonorati e cornuti, la mafia.

3 commenti:

Acchiappabufale ha detto...

De Benedetti ci ripensa : querelare i giornali è bello

Quando Silvio Berlusconi annunciò una causa civile contro "La Reubblica" per le insistenti insinuazioni sulla sua vita privata e sessuale oltre che politica, si aprì un finimondo.
Il quotidiano si scatenò in una colossale battaglia a difesa della libertà di espressione e di informazione, mobilitando il popolo e gli intellettuali di sinistra di tutta Europa. Raccolsero cinquecentomila firme, fu indetta una manifestazione di piazza a Roma trasmessa in diretta tv, Berlusconi fu messo alla berlina al Parlamento europeo che sul tema fu convocato in seduta straordinaria.

L`editore di La Repubblica, Carlo De Benedetti tenne una lezione all`università di Oxford raccontando come in Italia i giornali non fossero più liberi.

Bene, ieri Io stesso professore-editore De Benedetti, padrone di la Repubblica ha querelato me e Il Giornale: causa civile, come quella intrapresa da Berlusconi all`origine della rivolta.

All`Ingegnere non è andato che gli abbiamo ricordato che fu arrestato per tangenti e condannato per falso in bilancio. Non ha gradito che abbiamo sottolineato come il suo giornale stia trasformando in eroe il pentito Gaspare Spatuzza (quaranta omicidi e tre stragi sulle spalle) pur di infangare Berlusconi e far cadere questo governo .
O forse non voleva che si (ri)sapesse di quella tessera numero uno del Pd cha spiega tante cose.
Sta di fatto che si è comportato, lui democratico, progressista, illuminato e paladino della libertà, come un Berlusconi qualsiasi.

Come la prenderanno i suoi fans? Applaudiranno, perché l`ipocrisia e Ia doppia morale sono ponti cardine del loro pensiero.

Tranquilli, noi non raccoglieremo firme nè mobiliteremo piazze, Ci difenderemo in aula come conviene a gente seria, liberale e coerente. Liberi noi di scrivere e criticare, libero lui di querelare.

maurom ha detto...

Acchiappa, per favore, cita la fonte, altrimenti sembra che proprio tu sia l'oggetto della querela.

Grazie e ciao.

Acchiappabufale ha detto...

Hai ragione !!

è un articolo di Sallusti del "Giornale".

grazie a te e complimenti.