sabato 3 marzo 2012

Droga in banca. Davide Giacalone

La Federal Reserve ha pompato dollari nel mercato statunitense, che si è ripreso e ora cresce. La Banca Centrale Europea pompa euro nel mercato continentale, ma questo arranca, sbuffa, s’accascia. La ripresa, prevista per la seconda metà dell’anno, sarà cosa debole e lenta. Al netto di tutte le altre, la grande differenza consiste nel fatto che i soldi americani sono finiti, per il tramite delle banche, a produttori e consumatori (difatti: le indebitate famiglie statunitensi hanno ripreso a indebitarsi, consumando), mentre i soldi europei finiscono, per il tramite delle banche, agli stati. Calano gli spread, certamente, ma si stringe il cappio cui stiamo impiccando il sistema produttivo.

La Bce ha sifonato 1000 miliardi nel corpo stracco di un’Europa aggredita dalla speculazione sui debiti sovrani. La seconda ondata è di 529 miliardi, di cui 139 finiti alle banche italiane. La Bce fa bene, e questa, fin qui, è l’unica risposta seria alla crisi che ancora rischia di travolgere sia l’euro che l’Unione. Ma non è sufficiente. Intanto perché tale scelta, tipicamente di politica economica, quindi di fonte normalmente governativa, è stata adottata fuori da ogni chiara volontà politica, delegandola ad una presunta sede tecnica. Vorrei ricordare che contro scelte di questo tipo si dimise il rappresentante tedesco nel board della Bce, e dal punto di vista formale aveva anche ragione. La Bce fa bene a produrre soldi, mascherandoli da prestiti alle banche, ma è una decisione impropria, presa nella sede sbagliata. Il che è rilevante sotto l’aspetto istituzionale. Poi c’è quello concreto, che è bene chiarire.

Le banche statunitensi ricevettero quattrini statali per portarli al mercato. Subirono critiche dure, dal governo, per averne trattenuto una parte per sé stesse, non cessando il cattivo costume di pagare a peso d’oro amministratori che s’erano dimostrati incapaci. Ma al mercato arrivò molto, e gli effetti si vedono. Le banche europee, invece, ricevono prestiti all’1% per poi investire quei soldi in acquisto di titoli del debito pubblico, che rendono tre o quattro punti in più, quindi per consegnarli agli stati. Quegli stessi titoli, poi, vengono messi a garanzia di emissioni obbligazionarie fatte dalle banche stesse, ad un tasso inferiore a quello applicato a chi chieda soldi in prestito. Il risultato è che 1000 miliardi escono dalla Bce e vanno in gran parte ai titoli del debito pubblico. La parte residuale finisce ai grandi gruppi, a quanti vengono tenuti in vita artificialmente, per non ammettere che i crediti nei loro confronti non sono esigibili e alle banche, sottopatrimonializzate. Al mercato produttivo solo teste e lische. Ecco perché quello statunitense ha inalato l’ossigeno, mentre il nostro boccheggia. E se ne trova dimostrazione anche in Borsa: mentre da loro a tirare sono i titoli dell’economia reale, da noi sono le banche. Nel bene e nel male.

Le banche sono potenti, ma non godono di gran popolarità. Colpisce che il governo abbia decretato dispiacendo le banche con una regolazione centralistica e dirigistica relativa alla pezzatura dei servizi, per giunta chiamando quest’operazione con un termine che significa l’opposto: liberalizzazione. Colpisce che le banche siano portate a ribellarsi su un punto, quindi, sul quale hanno ragione. Piuttosto che inseguire il consenso popolare con misure demagogiche sui conti correnti gratis (idea davvero singolare), varrebbe la pena usare Bancoposta, che è statale, per agevolare i piccoli correntisti, o la Cassa Depositi e Prestiti per il bisogno di fondi per l’innovazione. Se tutti i soldi vanno al debito pubblico il mercato implode.

La cosa incredibile è che si continuino a fare titoloni sugli spread. Come se fosse saggio esultare per la velocità con cui s’abbassa la febbre, tacendo d’avere ingurgitato sette taichipirine e d’essere in procinto di collassare. Non ci vuol molto a capire che gli spread scendono per forza se la Bce, anziché comprare direttamente titoli, quindi in modo necessariamente limitato, lo fa per il tramite della banche, potendo largheggiare. E ci vuol poco a capire che quegli stessi soldi non andranno a chi produce ricchezza, allargando e diffondendo il male che ci affligge, ovvero l’idea che la finanza possa sostituire l’industria. Che si possa campare di titoli, laddove non sono commestibili. Male che, oltretutto, arricchisce ogni giorno che ci punta la pistola alla testa.

Sarebbe questo il successo? Questa è droga. Ed è grave che ci si possa assuefare senza neanche avere avvertito il sovrano: il popolo.

1 commento:

Anonimo ha detto...

IL PADRONE VUOLE CAMBIARE IL NOME AL SUO PARTITO

OSANNIAMO IL PADRONE