giovedì 21 giugno 2012

L'assalto alla diligenza degli esodati. Federico Punzi

La vicenda dei cosiddetti "esodati" è paradigmatica del caso Italia: da una parte un governo in confusione, incapace di difendere le proprie decisioni; dall'altra, forze politiche e sociali irresponsabili, portatrici della stessa cultura che ha spinto la Grecia, e rischia di spingere anche noi, nel baratro del default. Complici i media, i sindacati sono riusciti a far passare gli esodati come vittime cui viene improvvisamente negato un diritto acquisito.

Proviamo a vedere il problema da un'altra prospettiva. In realtà, dietro la pratica dello "scivolo" si nasconde una vera e propria truffa ideologica, escogitata tra impresa, lavoratore e sindacati, ai danni dello Stato, dei contribuenti. Al lavoratore che accetta la risoluzione consensuale del rapporto viene riconosciuto dall'azienda un incentivo economico che, sommato o meno alla cassa integrazione o alla mobilità, lo accompagna alla pensione garantendogli una sostanziale continuità di reddito. Attraverso questo escamotage l'azienda può ristrutturarsi, in pratica diminuire il numero dei propri dipendenti, alleggerendo così il costo della componente lavoro, senza conflitti, anzi con la benedizione dei sindacati; i lavoratori dal canto loro ottengono di fatto un prepensionamento.

Ecco, dunque, la prima truffa: sussidi concepiti per accompagnare il lavoratore da un posto di lavoro ad un altro, o aiutarlo nel periodo che lo separa dal reinserimento nello stesso, in ogni modo per salvaguardare i livelli di occupazione, vengono invece utilizzati per incentivare l'uscita anticipata dal mondo del lavoro, cioè l'inoccupazione, uno dei mali che più affligge la nostra economia. Se l'età di pensionamento slitta in avanti, alcuni anni non sono coperti né dal cosiddetto scivolo né dalla pensione, e si crea il "dramma" degli esodati. Ma la riforma delle pensioni non cambia i termini dell'accordo tra azienda e lavoratore, bensì il contesto normativo che ha reso conveniente ad entrambi quell'accordo: la vicinanza della sospirata pensione. Nell'affrontare il problema, bisognerebbe partire dal fatto che gli esodati non sono vittime, semmai privilegiati o aspiranti tali, la cui figura tipo è quella del cinquantenne che la mattina se ne va al circolo sportivo mentre i suoi coetanei, ormai la maggior parte di essi, per non parlare dei giovani, dovranno lavorare dieci anni in più di lui.

E non si può rivendicare come diritto un'escamotage che ha prodotto intere classi di privilegiati. Il buon senso impone tuttavia di trovare una soluzione per coloro che abbiano già stipulato accordi di questo tipo con le loro aziende, che siano molto prossimi all'uscita dal lavoro concordata e alla pensione. Il governo ha fatto di più, garantendo nel decreto salva-Italia risorse per tutti coloro che avrebbero raggiunto, con le vecchie regole, i requisiti di pensionamento entro i prossimi due anni (circa 65 mila). Non contenti i sindacati - e qui c'è la seconda truffa - hanno strumentalizzato il problema, cercando di far passare per "esodati" anche tutti quelli che, lungi dall'aver sottoscritto un accordo, nutrono semplicemente l'aspettativa di andare in pensione prima degli anni previsti, magari solo perché l'azienda ha prospettato loro questa comoda modalità d'uscita. Il dato di oltre 390 mila fatto trapelare dall'Inps (bisognerebbe poi chiedersi se l'Inps abbia interesse a "gonfiare" il fenomeno, magari per ottenere maggiori trasferimenti) non riguarda solo gli esodati, ma i disoccupati cinquantenni che anziché cercarsi un altro lavoro hanno in qualche modo "scommesso" che avrebbero raggiunto l'età pensionabile nell'arco di pochi anni. Un problema di welfare, dunque, non di previdenza. Riempire questo vuoto di reddito semplicemente staccando un assegno pensionistico significherebbe continuare ad usare la pensione come ammortizzatore sociale. E allargare la "salvaguardia" ai 400 mila di cui si parla equivarrebbe, conti alla mano, a sabotare la riforma delle pensioni. Insomma, quello in corso è un vero e proprio assalto alla diligenza, cioè alle casse dello Stato.

La colpa del ministro Fornero (e del governo) è quella di mostrarsi intimidita, sulla difensiva. Invece di piagnucolare e irritarsi, dovrebbe far emergere la realtà del privilegio che si vuole perpetuare, portare a conoscenza dell'opinione pubblica i casi concreti: l'età degli esodandi, gli anni che li separano dalla pensione, le aziende che usufruiscono di questi accordi (di solito partecipate dallo Stato, le Poste, le banche, i grandi gruppi industriali). E spiegare che permettere a 400 mila cinquantenni di andarsene in pensione anticipata in deroga alla riforma appena approvata, che vale, invece, per milioni di loro concittadini - dipendenti di piccole imprese, artigiani, commercianti, precari senza lavoro o che stanno per perderlo, senza alcuno scivolo - questo sì, sarebbe scandaloso, immorale. (l'Opinione)

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