martedì 26 giugno 2012

L'assurda Tobin Tax. Nicola Porro

Le cattive idee davvero non muoiono mai. E una di esse ci perseguita da più di un secolo. Si chiama tassa sulle transazioni finanziarie. Praticamente tutti la attribuiscono al Nobel per l’economia, Tobin. Questa tassa è tra le più assurde che ci si possa immaginare. Tanto per servire l’antipasto diciamo subito che il suo massimo successo equivale alla sua morte. La Tobin tax, ideona che hanno spolverato i quattro dell’Ave Maria nel vertice di Roma, è infatti un’imposta etica. Essa viene per lo più propagandata e proposta per colpire l’orribile speculazione, i banchieri che la alimentano, e i commercianti finanziari che ne godono. È una sorta di tassa sulla prostituzione finanziaria. Bene. Anzi male. Essa si applicherebbe (le formule come le fantasie erotiche sono molteplici) a tutte le transazioni finanziarie: allo 0,1 per cento su azioni e obbligazioni e allo 0,001 sui derivati, secondo alcune vecchie proposte europee. Dicevamo che è un’imposta suicida. Il suo massimo successo, debellare l’orribile speculazione, ne ucciderebbe il gettito. Trovate un’imposta simile, e vincerete un premio: mica si tassano i consumi e i redditi per farli sparire.

Oltre a questa contraddizione metodologica (è imposta finanziaria o regola morale?), essa è del tutto inutile. È da almeno cento anni che lo sappiamo. Alla fine del ’900 gli americani si inventarono una tassa sulla compravendita dell’oro, per bloccarne la speculazione: il prezzo del metallo andò alle stelle. La Francia a inizio secolo introdusse il droit de transmission: le società scapparono dal suo mercato borsistico. Gli esempi possono continuare, ma la sostanza resta. Vediamola.

Pensare di tassare la finanza in un’area geografica definita è irrazionale. Le transazioni si sposterebbero verso quelle piazze finanziarie che avrebbero tutto il vantaggio di fare concorrenza fiscale. Londra ha già detto (da quelle parti oggi si fa il 36 per cento del mercato all’ingrosso) di non pensarci un istante alla tassa. Come spesso avviene in questi casi, l’effetto paradossale di una Tobin tax continentale sarebbe quello di pizzicare solo i patrimoni più sottili, che avrebbero inizialmente maggiori costi di transazione nell’andare in piazze fiscalmente a loro più convenienti. Da tassa sui ricchi speculatori assumerebbe i contorni di imposta sul risparmio dei più poveri.

L’alternativa, oggi meno probabile per la diffusione della tecnologia, sarebbe paradossale. Lo Stato di New York nel 1905 introdusse una piccola tassa sulle transazioni azionarie. I trader nel giro di un anno decuplicarono le loro operazioni finanziarie. Il motivo era semplice: per mantenere il livello di commissioni dovettero aumentare i volumi speculati. Si ottenne il risultato opposto a quello per cui era stata pensata la tassa. Dubito che ciò avverrebbe oggi, sarebbe più semplice andare a fare affari dove costa meno.

Ma perché i politici di mezzo mondo insistono allora su questa tassa per loro miracolosa, ma concretamente assurda? Non sono pazzi, sono furbi. L’indice di popolarità della Tobin tax è direttamente proporzionale alla crisi della politica. È il modo migliore per attribuire ad altri colpe proprie. Gli altri sono sempre gli speculatori, i banchieri, i trader e baggianate del genere. Non che non abbiano le loro colpe. Ma le regole le fa la politica. E l’introduzione di una tassa che li vada a colpire è il modo più semplice per individuare un nemico, colpirlo e lavarsi così la propria cattiva coscienza. L’America di Obama ha accarezzato la Tobin tax quando i ragazzi di Occupy si presentavano, oltre che al lussuoso Bowery hotel, anche a Wall Street. E l’Europa la rispolvera quando è costretta a salvare se stessa e le banche. Un’ultima modesta obiezione. Come pensate si possano distinguere le transazioni fatte dal vostro fondo comune di investimento o dal vostro gestore da quelle di Gordon Gekko?

Semplice, non si distinguono: tassate entrambe. Quando quattro politici si mettono intorno a un tavolo e pensano che l’unica soluzione ai nostri problemi sia un po’ di spesa pubblica in più e una tassa nuova, è il momento di preoccuparsi: non hanno un’idea in croce. (il Giornale)

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