martedì 19 giugno 2012

Voto europeo. Davide Giacalone

Greci e francesi hanno reso un servizio all’Europa. Il loro voto è stato saggio, ora tocca a noi. Con il prossimo 28 giugno termina la missione del governo presieduto da Mario Monti. Non è un problema di partiti o di fazioni, di simpatie o antipatie, prevale la necessità di comprendere il cambiamento dello scenario e che l’Italia, Paese fondamentale nella costruzione europea e decisivo per la sorte dell’euro, non resti l’unico commissariato, l’unico irresponsabile, l’unico malato che preferisca la corsia d’ospedale al riprendere la vita.

I greci non hanno ceduto all’ultima provocazione di Angela Merkel (cui la storia riserverà un posto d’onore, fra i nemici dell’Europa), non hanno reagito alle sue battutacce e alle sue ingerenze votando quanti promettono di mandare al diavolo lei con tutta l’Europa e l’euro. Hanno dato la maggioranza relativa ai conservatori e consegnato una quota consistente di voti ai socialisti, indicando la via per l’immediato futuro: una coalizione che ribadisca l’intenzione di restare nella moneta unica. Questo voto toglie un alibi a quanti hanno creduto possibile dividere la moneta dalla sorte politica e storica dell’Unione europea. I greci non hanno annunciato di volere uscire dall’euro, anzi, all’opposto, hanno confermato la loro opinione di ieri (e noi confermiamo la condanna per quanti impedirono il referendum popolare, che avrebbe fatto risparmiare tempo e denaro). I greci non escono, semmai si deve buttarli fuori. Ma se li si butta fuori l’Europa è finita. Dobbiamo loro un grazie, di cuore.

I francesi non hanno indebolito il presidente appena eletto, consegnandogli la maggioranza assoluta degli eletti in Parlamento. In questo modo anche loro cancellano un alibi: non vince l’indecisione o la frammentazione politica, non prevalgono i pur forti movimenti di rifiuto e di protesta, la Francia ribadisce la propria posizione europea: avanti con il processo d’integrazione, ma che non sia e non sarà un processo germanico d’annessione. Il voto socialista non parla al futuro, perché il programma di Hollande è un residuato del passato, ma mette le cose in chiaro per il presente: l’asse franco-tedesco, che ha accompagnato la storia degli ultimi decenni europei, potrà reggere se cambierà la politica tedesca.

Francesi e greci fanno da sponda alle forze politiche e ai leaders tedeschi che hanno ben visto la trappola in cui il governo del loro Paese, con arroganza e senza senso della storia, s’è andato a cacciare. Il voto di domenica scorsa apre la campagna elettorale in Germania. Il prossimo 28 giugno sapremo se la Merkel intende giocarla su una linea anti-europea, così facendo da gemella ai movimenti cui ha tirato la volata, scassando la politica di altri Paesi europei, o se residua la voglia d’incarnare un ruolo da statista, correggendo la linea e aprendo la stagione di un euro più politico, premessa di un’Unione più potente.

Il governo Monti è nato per assecondare le pretese tedesche. Che non erano e non sono infondate. Le critiche alla nostra spesa pubblica e al nostro debito pubblico sono serie e condivisibili, ma non possono essere utilizzate per accrescere il vantaggio indebito della Germania. A Monti si sono offerti due compiti: a. segnalare ai mercati che l’Italia avrebbe rispettato gli impegni presi con la Banca centrale europea; b. riformare il Paese annientando l’inconcludenza e l’incapacità dei partiti. La prima cosa è riuscita nell’immediato, ma si è indebolita subito dopo, quando è stato chiaro (e come poteva essere diversamente?) che la seconda era una pretesa impossibile, oltre che antidemocratica. Da mesi il governo non fa che parlare a vuoto, spesso dicendo anche sesquipedali castronerie. Si attenda il 28, poi basta.

E dopo? Non credo il Quirinale sia disposto a concedere il voto, da tempo preso in ostaggio da una visione assai personalistica delle istituzioni, né le forze maggiori lo reclamano, per paura. Sarebbe la via maestra, come i greci hanno dimostrato, e prima di loro gli spagnoli. La partita europea è politica, non può essere affidata a personale autoreferente e democraticamente debolissimo. Si può cambiare compagine ministeriale: resta Monti, entrano i tre partiti e, mettendoci uomini e faccia, chiudono in sei mesi le riforme che contano, lasciando quelle costituzionali alla prossima legislatura. Temono, mettendosi assieme e vincolandosi per il futuro (il patto deve essere esplicito), di perdere la forza per contrastare il voto di rifiuto, di protesta e di generale “vaffa”. Spero capiscano che è proprio tale loro viltà, tale totale mancanza di visione del futuro e di senso di responsabilità, ad alimentarlo.

Nessun commento: