giovedì 31 ottobre 2013

L'avido. Davide Giacalone


Carlo De Benedetti e Marco Tronchetti Provera hanno deciso di dimostrare che il presunto “salotto buono” è, in realtà, un saloon dove ci si tira le sedie in testa, dando luogo a una rissa in cui i torti abbondano e le ragioni scarseggiano. Intanto l’oggetto del vecchio contendere, ovvero Telecom Italia, procede verso la sua infausta sorte. Il governo l’accompagna condolente, degno continuatore di una lunga condotta indolente. Tornerò a occuparmene. Oggi m’intrigano le sputacchiate in doppiopetto.

Sono affascinato da Carlo De Benedetti. Il quale, in realtà, forse neanche pensava di scatenare una rissa con Tronchetti Provera, ma ce l’aveva con Roberto Colaninno, che gli soffiò l’affare e la società e che, saggiamente, se ne sta zitto. Dell’altro ha solo detto che continuò lo sfascio avviato dal suo vecchio ragioniere. Siccome Tronchetti Provera ha risposto (per le rime), sono volate le sedie. Calma, portate da bere al pianista: Tronchetti Provera ebbe il merito di riportare la proprietà di Telecom in Italia (incredibile, ma a Colaninno fu permesso di scalarla con una società lussemburghese!) e di riavviare gli investimenti; ebbe il demerito di indebitarla ulteriormente, per reincorporare Tim, e di portarle via gli immobili, per metterli in un’altra sua società (Pirelli Real Estate). I guai cominciarono ben prima, e De Benedetti ne sa qualche cosa. Oggi dice: se questi sono i capitani coraggiosi (Colaninno e Tronchetti Provera), “preferisco le partecipazioni statali”. Certo, che le preferisce. Vediamo perché.

Di quel sistema, retto da quelli che allora erano chiamati “boiardi” e che, a paragone dei successori, si deve dire che avevano un altissimo senso delle aziende e dell’interesse generale (ma, inevitabilmente, erano nominati dalla politica), scrivevo allora che andava aperto al mercato. In tal senso lavorammo, con successo. Credo fosse giusto. In realtà fu subito saccheggiato dai mercanti, talché condivido il rimpianto debenedettiano. Purtroppo, per me, non ne condivido i soldi che ci fece.

In breve: nel 1994 il governo Ciampi assegna alla Omnitel di De Benedetti la vittoria della gara per il secondo gestore della telefonia cellulare. La cosa interessante non fu la vittoria, ma la gara. I concorrenti erano tre: Ominitel, Pronto Italia (gli americani di Pacifc Telesis, che assistevo, più imprese italiane) e Finitel, una cordata facente capo a Fininvest, quindi Berlusconi. L’ultima era esclusa, dato che il capo s’avviava verso Palazzo Chigi. Quando si dice il “conflitto d’interessi”. Il primo incorporò il secondo. A proposito di chi fa da terminale degli americani, per italianizzarne i costumi. Definirla “gara”, pertanto, è ardito. Ma questo è niente.

Nel 1997 Olivetti (di cui De Benedetti resta presidente fino al 1999, anche se tende a dimenticarlo) acquista la rete di telecomunicazioni delle Ferrovie dello Stato (e Lorenzo Necci pagò cara la sua opposizione), per 700 miliardi di lire, rateizzati in 14 anni. Dopo un anno rivende tutto a Mannesman, alla modica cifra di 14mila miliardi di lire, da pagarsi sull’unghia. E volete che l’ottimo Ingegnere non rimpianga il mondo che gli consentiva queste cose?

Una sola cosa mi lascia pensieroso: De Benedetti ha definito Tronchetti Provera “avido”. Sarà che al saloon hanno chiamato il solito medico dei western, per curare i feriti, e quello, avanzando con passo incerto, il colletto della camicia caduto di lato, il cappello sulle ventitré e la bottiglia stappata in mano, diagnostica: sciono sbrrionzii.

Pubblicato da Libero

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