lunedì 30 dicembre 2013

Mezzo secolo di gesso ideologico. Lorenzo Matteoli


Galli della Loggia nella sua risposta di ieri a Scalfari si è finalmente accorto dell’errore ideologico che da più di mezzo secolo ha campo in Italia: qualificare, più o meno esplicitamente, come “fascista” chiunque non sia omologo e organico al pensiero unico della sedicente sinistra di potere. O chiunque sia sospettato di non essere omologo e organico. O chiunque faccia comodo sospettare di non essere omologo e organico. Questo errore ideologico, ma talvolta voluta malversazione dialettica, si manifesta in genere in modo implicito, con furbizia e… nascondendo la mano, ma spesso anche senza nessuna malizia come conseguenza di una condizione culturale generalizzata dagli avvenimenti.

Interessante ricordare che secondo una regola esplicitamente dichiarata e accettata sul web nei dibattiti ospitati dai vari “forum” il primo che accusa la controparte di essere fascista viene automaticamente dichiarato perdente. Nel suo pezzo su La Repubblica della settimana scorsa Eugenio Scalfari partecipa alla tradizione molto italiana, strano per un professionista della sua esperienza, gesto evidentemente significativo del nervosismo del soggetto. Il mestiere di Scalfari lo salva dalla dichiarazione aperta, ma l’avverbio “pericolosamente” con il quale qualifica il suo ricordo del “bisogno di un Capo di un Uomo della Provvidenza” che l’impetuosa ascesa di Renzi la sua figura e l’attesa che suscita gli provocano è rivelatore.

Forse vale la pena ricordare alle giovani generazioni che “Uomo della Provvidenza” ai tempi è stato un noto qualificativo di Benito Mussolini. Secondo le regole dei dibattiti sul Web Scalfari sarebbe “fuori”: l’evocazione di Mussolini e del fascismo è evidente. Se per mettere sospetto e ombra sulla figura di un soggetto o avversario politico si ricorre, esplicitamente o implicitamente, al fatidico qualificativo si è “automaticamente” perdenti. Dove “automaticamente” esclude la necessità di ogni ulteriore elaborazione dialettica o dimostrazione. Galli della Loggia non dichiara questa conclusione, ma la lascia ai suoi lettori per abilità, delicatezza o semplice desiderio di non infierire, ma vale la pena riflettere sull’errore emblematico del pensiero scalfariano e della sinistra di potere che da molti anni si identifica in questo pensiero, nella azione mediatica del giornale che Scalfari ha fondato e diretto e nel partito che sostanzialmente la rappresenta. L’errore d’altra parte è fondato sul comportamento storico degli italiani e dei media dominanti portati da una tradizione storica alla scansione manichea di soggetti e situazioni: Cesare e e Pompeo, Guelfi e Ghibellini, Papa e Impero, Monarchia Repubblica, fascismo e comunismo, Berlusconi e anti Berlusconi…

La prima riflessione da fare è che sarebbe opportuna una presa d’atto dell’errore: in Italia non c’è l’onesto costume politico del mondo politico anglosassone che obbliga il candidato perdente alla dichiarazione esplicita con la quale “concede” la vittoria all’avversario. Al contrario dopo ogni tornata elettorale assistiamo in Italia alle più impudiche acrobazie verbali con le quali tutti si dichiarano “vincitori”, nonostante la plateale evidenza numerica del loro tracollo. Riconoscere il proprio errore e le sue conseguenze e sconfitte è il passaggio fondamentale per analizzarne i motivi e le ragioni, per rivedere manifesti, programmi, strategie e progetti politici e per uscire dalla palude ideologica che hanno provocato.

La mancanza di questa onesta tradizione ha impedito l’evoluzione ideologica della sinistra italiana e l’ha condannata all’isolamento e alla marginalità che la dissoluzione del PCI e delle sue successive denominazioni ha documentato. Il processo è stato consolidato dal potere che il Partito Comunista è riuscito a gestire grazie alla consociazione con la DC. La consociazione è stata l’involuzione negativa del Compromesso Storico: dove questo sarebbe stato il superamento critico in avanti delle due posizioni antagoniste, la consociazione è stato lo strumento per non superarle per dividersi il potere nella conservazione. Ancora una volta il potere e non l’interesse del Paese. Un potere risultato più dalla disponibilità alla trasformazione tipica della Democrazia Cristiana che non dalla effettiva delega elettorale.

Protetta dal potere e dalla presunzione del potere la sinistra italiana si è confezionata l’imballaggio che l’ha distratta dallo svolgersi della storia. Ha ignorato come interlocutori tutti i movimenti alla sua sinistra o li ha costretti all’estremismo marginale, spesso violento, e ha smantellato qualunque ipotesi di socialdemocrazia alternativa, diventando la attuale ingessata sedicente sinistra. Una enorme responsabilità storica e politica che pochi vogliono riconoscere: forse una delle determinanti ragioni della attuale crisi italiana, dove la evidente assenza di uno spazio politico rappresentato a sinistra del centro è stato il motore dell’ossimoro ideologico chiamato “larghe intese”. Il fallimento, oggi finalmente innegabile, del PD di Bersani/Bindi/D'Alema è il risultato del processo storico sopra evocato: 60 anni di gesso ideologico. Mentre i compagni si crogiolavano nel potere, la sinistra vera era altrove, non rappresentata, tradita. Emblematico in questo quadro il massacro acritico del Partito Socialista Italiano, sistematicamente e congiuntamente voluto da DC e PCI. Un massacro avvenuto con la complicità e gli strumenti diretti e indiretti messi a disposizione da molti socialisti, ma eseguito cinicamente da soggetti politici che non erano per nulla diversi sul piano del rigore etico.

Lo snodo attuale, prepotentemente imposto dalla vittoria di Matteo Renzi alla Segreteria del PD, innesca una fase difficile. La sinistra deve uscire dalla immobilità ideologica che ha caratterizzato gli ultimi 60 anni di vita dei suoi partiti. L’errore del partito di Bersani/Bindi/D'Alema deve essere riconosciuto e se ne devono affrontare le conseguenze in tutte le aree nelle quali si è consolidata la presenza del PCI e dei successivi soggetti politici secondo il dettato della strategia gramsciana (giudiziario, università, banche, stampa, cultura). Deve essere istruito un processo di rinnovata elaborazione ideologica, ulteriore e fuori dai vecchi paradigmi. Se la attuale sedicente sinistra, ancora forte nel Partito e in tutte le aree di potere e di cultura che in 60 anni ha occupato nel Paese, non riuscirà a comprendere il vero significato dalla vittoria di Renzi e continuerà a ridurla come l’espressione di un “pericoloso” desiderio di un “Uomo della Provvidenza, difficilmente si uscirà dalla palude dell’immobilità ideologica. La responsabilità attuale di Renzi e del suo gruppo alla Segreteria del PD è quella di impostare e guidare questa difficile trasformazione.

(LSblog)

Nessun commento: