sabato 14 dicembre 2013

Quei "doppiopesisti" alla corte di re Matteo. Andrea Mancia

 
Sarà la vecchiaia che, inesorabile, avanza. Sarà che, ogni volta che tocca ad una “generazione nuova”, la mia generazione (quella dei “Born in the Sixties”) viene sistematicamente ignorata. Ma questa retorica giovanilista del renzismo rampante stenta a convincermi. Dovrebbe essere la competenza, non l’età, il criterio per la selezione di una classe dirigente. Anche perché di giovani nati stanchi – o nati vecchi – ne ho visto più d’uno.
 
In queste 48 ore di “luna di miele” del sistema mediatico con Renzi e il renzismo, poi, è riesplosa la solita politica del “doppio binario” utilizzata per raccontare i fenomeni politici nel nostro paese. Silvio Berlusconi si circonda di giovani e belle ragazze per rilanciare Forza Italia? Nella migliore delle ipotesi si tratta di un satrapo attorniato da “falchetti” ed entraîneuse. Matteo Renzi rispolvera la tecnica berlusconiana del “casting” per scegliere i membri della propria segreteria? Un rivoluzionario che salverà il paese. E non provate a raccontarmi che i prescelti, in realtà, sono stati messi lì in base alle loro capacità. I dodici componenti della segreteria Renzi – 5 uomini e 7 donne, età media inferiore al cast di “Violetta” – rispondono a due requisiti vecchi come il mondo: hanno appoggiato il sindaco di Firenze alle primarie e sono vagamente bellocci (o almeno telegenici). Dove sono finiti gli Orfini e le Carmassi? Il renzismo berlusconiano li ha spazzati via, in nome dell’apparenza.
 
Che dire poi, della retorica vagamente mussoliniana con cui, proprio oggi, questi poveri giovanotti sono stati trascinati giù dal letto all’alba per dimostrare efficienza e voglia di lavorare? Ci mancava solo Marianna Madia (Lavoro) a mietere il grano come il Duce, magari a petto nudo, con Debora Serracchiani (Infrastrutture) a decantare la puntualità delle auto blu romane.
 
Quando Berlusconi e Beppe Grillo si avventurano sugli scoscesi pendii del populismo, le pagine dei giornali italiani si riempiono di editorialisti pronti a bacchettarne le cattive abitudini. Se Renzi si comporta esattamente allo stesso modo, a stento si coglie il mormorio sconsolato di qualche dalemiano sul viale del tramonto.
Matteo Renzi
 
Se un leghista cattivo spara idiozie contro amnistia e indulto, i talk show del politicamente corretto puntano immediatamente il ditino inquisitore contro la barbarie del sole delle alpi. Se a farlo è Alessia Morani, responsabile della giustizia nella segreteria renziana, si tratta di una scelta politica sofferta e coraggiosa.
 
Se il Nuovo Centro Destra di Angelino Alfano ricicla vecchi arnesi della Prima repubblica per ricostruire il Grande Centro, si tratta di un’operazione neo-democristiana di basso livello. Se Renzi vince a Salerno grazie a un sindaco che, nella miglior tradizione democristiana, resta attaccato alla propria doppia poltrona come la proverbiale cozza al proverbiale scoglio, i grandi giornalisti d’inchiesta del Belpaese si girano dall’altra parte.
 
Se qualche esponente di SEL si accanisce contro l’ingiustizia sociale dell’abolizione dell’Imu, gli economisti di buon senso lo trattano come un vetero-marxista fuori dalla storia. Se la stessa, brillante, trovata la espone Filippo Taddei, nuovo responsabile economico del Pd, i giornali lo definiscono come “l’anello mancante tra Renzi e Civati”. Misteri dell’evoluzionismo moderno.
 
Come è possibile fidarsi di questi presunti analisti, se le analisi che ci propinano sono sempre e comunque viziate dal pregiudizio insopportabile del “doppiopesismo”? Senza contare che, sistema dei media a parte, il sindaco di Firenze (un altro doppio incarico) ci mette spesso del suo. Ha promesso di visitare la martoriata Terra dei fuochi appena eletto segretario. E poi si è ridotto a visitare Enrico Letta. Una rivoluzione epocale, non c’è dubbio.
 
(Clandestinoweb)
 
 

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