La versione politicamente corretta degli incidenti di martedì scorso alla Sapienza l’abbiamo letta ieri mattina sulla stampa di sinistra. Per motivi imprecisati - si glissava su un fatterello non marginale, ossia il veto posto dai «collettivi» studenteschi a un dibattito sulle foibe promosso da Forza nuova - una squadraccia di torvi neofascisti aveva aggredito pacifici ragazzi intenti ad affiggere manifesti. Gli sgherri mussoliniani, muniti di cinghie e manganelli, avevano infierito sugli indifesi campioni della democrazia. «Roma, dilaga la violenza nera» tuonava l’Unità. «Assalto fascista all’Università» recitava di rincalzo Liberazione; e il Manifesto alludeva faceto a «dottori in spranga». La Repubblica non era da meno: «Raid neofascista contro gli studenti di sinistra, quattro feriti».
In realtà le cose stavano ben diversamente. Premetto che su certi brutti ceffi dell’estrema destra - e su certi dell’estrema sinistra - è opportuno vigilare. Ma all’ombra della Sapienza s’è svolta una violenta e banale rissa. Lo dimostra una fotografia riprodotta proprio su Repubblica: nella quale è possibile vedere con chiarezza che i presunti inermi rossi si lanciano all’attacco di un’automobile carica di gentaglia nera. Quell’auto è stata semidistrutta; non dai neofascisti e nemmeno con citazioni di Lenin. C’è voluto qualcosa di più sostanzioso per ridurla così. Nella colluttazione c’è stato, da entrambe le parti, chi le ha date e chi le ha prese.
L’idea della rissa è stata fatta propria dal magistrato che ha convalidato i sei fermi compiuti dalla polizia: quattro di Forza nuova, due dei «collettivi». Liberiamo dunque il terreno della polemica da grottesche enfatizzazioni per le quali la Patria sarebbe in pericolo, orde hitleriane scorrazzerebbero nella capitale, e docenti servi del nuovo potere tenterebbero di assoggettare La Sapienza ai dettami del dottor Goebbels. Tra tanti urli, gemiti, anatemi è andata dispersa la questione fondamentale: quale mandato autorizza i «collettivi» giovanili, in una delle massime istituzioni culturali italiane, sia a decidere chi possa dibattervi un tema di indubbia attualità come le foibe, sia a decidere se il Papa possa avervi licenza d’ingresso?
La risposta è semplice. Il mandato deriva dall’antifascismo. Chi invoca l’antifascismo dispone d’uno strumento politico e culturale di fronte al quale sono impotenti sia le norme di legge sia la Costituzione. Secondo le quali un qualsiasi cittadino ha, se non commette reato, diritto di parola, d’associazione, di riunione. Questo vale sia per un Francesco Caruso sia per un Roberto Fiore. Ferma restando la mia personale allergia all’uno e all’altro.
Questi concetti abbastanza ovvi hanno trovato posto ieri nelle dichiarazioni del professor Roberto Antonelli - collega del professor Guido Pescosolido che ammise la discussione sulle foibe, poi revocata - al Manifesto. «Bisogna imparare - ha dichiarato l’Antonelli - a parlare con tutti e non solo a parlarsi addosso. Io sono diventato di sinistra leggendo le opinioni di destra. Negare a priori il diritto di parola è scendere sullo stesso piano dei fascisti». Bravo Antonelli. Peccato che sulla stessa pagina, in un commento di Marco Buscetta, fosse possibile leggere affermazioni allucinanti.
«L’Università non è il salotto di Bruno Vespa dove tutto è facilmente sdoganabile in ossequio ai desideri del potere politico di turno, dove tutti i giuochi sono truccati e sotto controllo. È invece un luogo dove vivono soggettività politiche non disposte a ingoiare tutto in nome di un pluralismo fittizio e asservito alle gerarchie dominanti». Traduciamo in linguaggio comune, corrente e coerente questo diktat intriso di «soggettività politiche» e di «pluralismo fittizio».
Il principio fondamentale può essere così riassunto: l’Università è il luogo dove solo la fazione di sinistra deve avere libertà di parola, dove solo i guru che alla sinistra piacciono - anche se noti più per doti cabarettistiche che per profondità filosofica - sono osannati, dove il Papa è sgradito, e dove per decretare il divieto di parola basta citare il fascismo o l’integralismo (altrui). Io sono d’accordo con il professor Antonelli. Chi non lascia aprir bocca agli avversari si comporta, lui sì, da fascista. (il Giornale)
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4 commenti:
Vale la pena dare uno sguardo, all'articolo di fondo del Il Giornale di oggi; meglio leggerlo con attenzione!!!
Come già ho detto in altri commenti la sx, oggi, come sempre, vive di
ANTIFASCISMO, di -dagli al razzista!-
Ma non si accorgono che i veri antidemocratici, i veri fasciti, i veri razzisti sono loro.
DIFENDIAMOCI DAI CRETINI
di Redazione
Massimo de’ Manzoni
E adesso? Adesso che si è scoperto che a guidare il «raid nazifascista» del Pigneto era un tizio con il ritratto di Che Guevara tatuato sul braccio, uno orgogliosamente di sinistra, che cosa dovremmo fare? Metterci a strillare alla xenofobia rossa che travolge Roma in contrapposizione al «dilagare della violenza» nera di cui farnetica l’Unità? Sarebbe un gioco facile, ma sappiamo tutti che è falso. Non ci sono cosacchi alle porte dell’Urbe, così come non echeggia il passo dell’oca per le vie delle nostre città e il tatuaggio del bullo del Pigneto vale la croce celtica dei disgraziati assassini di Verona: zero, almeno a livello politico.
Proviamo a dirci la verità. Non c’è stata nessuna spedizione punitiva fascista alla Sapienza ma, come ha ricostruito la Digos, come hanno confermato i magistrati e come salta all’occhio anche dalle foto, uno scontro tra opposti estremisti (ma sì) originato dalla proterva pretesa degli studenti di sinistra di impedire di parlare di foibe all’università. Non ci sono stati pogrom di zingari a Ponticelli, ma l’azione delittuosa derivante dal combinato disposto dell’esasperazione della gente di fronte ai ripetuti furti dei rom e degli interessi contingenti di qualche clan camorristico della zona. E forse non c’è stata nessuna aggressione xenofoba ai danni del ballerino albanese star di «Amici». Lo accerteranno gli inquirenti, ma la dinamica fa pensare piuttosto a una banalissima lite: lui, Kledi Kadiu, non voleva che lo filmassero e gliel’ha detto a brutto muso, due degli «aggressori» se ne sono andati, il terzo ha invece preferito saltargli addosso al grido di «albanese di merda». Ma poteva dire ugualmente, che so, «ciccione schifoso», piuttosto che «nano bastardo». Siamo a livelli di notevole e preoccupante scemenza, ma gli agguati razzisti sono un’altra cosa.
C’è un brutto clima in giro, questo sì. Ma non pare che strillare a ogni pie’ sospinto al fascismo sia il modo migliore di affrontare il problema. Intanto, il rischio di figuracce è altissimo. Come titoleranno oggi i giornali di sinistra: «Falsificato nella notte il tatuaggio del naziskin del Pigneto»?. E il sindaco Alemanno sarà così contento di scoprire di essersi precipitato a manifestare solidarietà a un negozio che era stato chiuso per spaccio di stupefacenti? Inoltre, creando il comodo cassonetto «nazifascista» dove gettare tutto quanto di brutto avviene nel nostro Paese (beninteso, solo dal 14 aprile scorso, perché prima, Prodi regnante, i fantasmi del Reich non visitavano così di frequente queste latitudini) si caccia di fatto la testa sotto la sabbia, evitando di capire, di distinguere, di agire di conseguenza.
Il compagno Dario Chianelli, il «Che de noantri», per sua stessa ammissione non è proprio una personcina raccomandabile: furti, rapine, violenze. Ma quando lamenta che nelle strade del suo quartiere «vomitano e pisciano fino alle cinque di mattina», quando chiede se sua figlia «deve vedere uno che si tira fuori l’uccello e sui banchi del mercato ci piscia», pone una questione che non si può liquidare con il bel discorsetto zuccheroso del dovere dell’accoglienza. Altrimenti non ci si deve stupire se poi gli salta in testa di farsi giustizia da sé e trova un bel po’ di persone disposte a dargli una mano. Ed è grottesco che uno dei corresponsabili di questa situazione, l’ex sindaco Veltroni, abbia passato gli ultimi tre giorni a ripetere come un pappagallo: «Sbagliato minimizzare» a quanti cercano di sbirciare sotto l’etichetta «fascista» che la stampa sua amica si affretta a piazzare come un cerotto sul Pigneto, sulla Sapienza e ovunque sia ritenuto utile per gridare al lupo Berlusconi, al lupo Alemanno, al lupo Destra al potere.
Forse è il caso che ci diamo una calmata. Forse è il caso che i politici si mordano la lingua piuttosto che sparare subito dichiarazioni su fatti di cui non conoscono abbastanza. Forse è il caso che contiamo fino a trenta prima di usare sui quotidiani, e quotidianamente, paroloni come «razzismo», «nazismo», «fascismo», «pogrom». Perché sappiamo tutti come vanno le cose. Perché poi i corrispondenti dei giornali stranieri copiano paro paro i nostri falsi articoli e ci fanno quella bella pubblicità che possiamo apprezzare appena varchiamo i confini. Perché evocare continuamente il fascismo fa comodo solo ai fascisti, quelli veri. Perché poi, a furia di leggere certi titoli, qualcuno finisce per crederci. Gli studenti della Sapienza sono ormai davvero convinti di essere dei gigli campioni di democrazia e vittime di un’inqualificabile aggressione squadrista. E si sentiranno ancora più legittimati a compiere le loro piccole sopraffazioni. E saranno pronti a scendere in piazza contro le leggi sulla sicurezza, che sospetto siano il bersaglio finale di tutta questa «mobilitazione democratica». Far sì che resti tutto come sta: uno sfregio agli italiani e agli immigrati onesti, un regalo grande così ai delinquenti e ai tanti cretini d’Italia.
Massimo de’ Manzoni
Roma, il preside: "Sequestrato dai collettivi di sinistra"
Paura nell'ufficio di presidenza dell'ateneo romano dove una ventina di studenti ha fatto irruzione tenendo sotto sequestro Guido Pescosolido, un collega e due segretarie. Alla base del blitz l'aver permesso un convegno organizzato dal movimento di estrema destra Forza Nuova.
Questa è democrazia (DEMOCRAZIA!).
Il diritto alla parola, il diritto di riunione è APPANNAGGIO riservato solo alla Sx.
Solo se si dicono cose di Sx è democrazia. negli altri casi si tratta di
FASCISMO NAZISMO RAZZISMO.
Spiegatemi la "logica" che ispira questa intolleranza delle Sx tutte.
"Io, preside sequestrato. Minacce ai miei figli"
di Vittorio Macioce
Il professore Pescosolido, preside dell'Università La Sapienza, aggredito dai collettivi di sinistra per non aver impedito un convegno sulle foibe: "Salvo grazie alla polizia. Venti agenti in borghese mi hanno scortato fuori dall'ufficio"
«Preside, lei ha figli?». Guido Pescosolido è circondato da una sessantina di studenti. Guarda questo ragazzo vestito di nero, un volto come tanti, forse un po’ più anziano della media. Gli insulti non li sente quasi più. Risponde invece d’istinto a questa domanda privata. «Lei ha figli?». «Sì». Il ragazzo batte un colpetto sulla sua spalla e sussurra: «Stia attento». Poi si allontana.
......
no comment
La banda delle giovani, tutte nomadi ha assaltato l'esercente alla garbatella
Sei ragazze aggrediscono
e rapinano un tabaccaio a Roma
Una è stata arrestata mentre le complici sono riuscite
a fuggire con un bottino di 2mila e 600 euro
Il tabaccaio rapinato (Gmt)
ROMA - Sei donne nomadi hanno rapinato e malmenato un tabaccaio a Roma, nel quartiere della Garbatella. Una di loro, una giovane, è stata arrestata dai carabinieri. La nomade, insieme ad altre cinque complici che sono riuscite a fuggire prima dell'arrivo dei militari, è entrata in una tabaccheria di via Ignazio Persico rubando tutto il denaro contenuto nella cassa, circa 2.600 euro, schede telefoniche per mille euro e numerosi tagliandi del «gratta e vinci».
INUTILE LA REAZIONE DEL TABACCAIO - Il titolare della tabaccheria ha tentato di fermarle ma è stato malmenato. I Carabinieri sono riusciti a bloccare la giovane, di 20 anni, che è stata rinchiusa in una camera di sicurezza in attesa del processo con rito direttissimo. Le altre fuggitive vengono ricercate.
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