Hai voglia a spiegare che il pessimismo porta pessimismo, che deprimere i consumatori deprime i consumi e l’economia, che la recessione sta diventando mentale, che i pensionati e i dipendenti con questa crisi rischiano addirittura di guadagnarci perché i prezzi calano, ma stipendi e pensioni no. Niente da fare. Ci stanno timidamente riprovando: la recente infilata di titoli poveristi e declinisti dell’Unità, parte grotteschi e parte menagrami, è la modesta riproposizione della falsariga portata avanti dall’autunno 2003 alla primavera 2006, quando in coincidenza del passato governo Berlusconi una schiera di fanfare dipinse un Paese disperato con le «famiglie che comprano a rate anche il latte» (Ballarò, 22 febbraio 2005) o con «le bambine lasciate morire di stenti» (sempre Ballarò) e ciò senza contare i «due milioni di bambini poveri» inventati dall’Eurispes nel novembre 2004: un’impalcatura da suicidio, picchettata dalla nota sindrome della quarta settimana nel periodo in cui l’Ulivo commissionava alla Pan advertising il manifesto più menagramo della sua storia politica: «Arrivi a fine mese?». Intanto la Cgil scriveva che «Molti pensionati oramai non arrivano nemmeno alla terza settimana».
Erano tutte, come si dice, balle: e per saperlo bastava guardare i dati Istat o leggere quanto scrivevano economisti pure acclamati dalla sinistra come Tito Boeri o Andrea Brandolini. Forse molti non lo ricordano, ma sostenere che fossimo alla fame era un vero trend. Persino Luca di Montezemolo, nel Natale 2004, aveva tuonato contro «la fase più critica dal dopoguerra» mentre l’Economist scriveva che «molti italiani stanno riducendo le vacanze o vi stanno rinunciando, mentre altri stanno rinviando l’acquisto di una nuova auto o di un completo». Non era vero neanche questo: crescevano gli italiani che andavano in vacanza e con essi l’acquisto di auto di grande cilindrata, embrione di quella stessa divaricazione che oggi contrappone un ceto medio declassato e uno che invece sta meglio e consuma generi di lusso, un cortocircuito che separa impiegati e piccoli commercianti da grossisti e immobiliaristi, per dire. A inizio 2006 gli italiani avevano risparmiato più che in qualsiasi altro Paese d’Europa, e il rialzo del risparmio risultava persino più alto per i redditi medio-bassi: come a dire che la gente metteva i soldi in banca e non li aveva per comprare il latte alla quarta settimana. Son faccende controverse, senz’altro, ma a loro margine la matematica diventava ufficialmente un’opinione: tu potevi anche spiegare che il Paese aveva il 7 per cento di disoccupazione contro il 12 della Germania, ma i tuoi numeri non potevano nulla di fronte al trionfo del «percepito»: l’inflazione percepita, la disoccupazione percepita, il declino percepito. Il cielo è azzurro, ma io lo percepisco verde: segue servizio. C’era anche il marketing del declino. La Confcommercio strombazzava l’iniziativa «Pizza & birra a 7 euro» anche se nella carissima Milano c’erano posti che per 6 euro e 50 ti davano anche il caffè. La Coop, quella che sei tu e che in realtà sono loro, intanto se ne partiva col «pane a un euro» patrocinato dalla Cgil e ribattezzato «pane di don Milani». Il Ballarò di quella stagione non ve lo ricordate: le puntate del 2004 e 2005 sono impressionanti e la filigrana non cambia mai: povertà, ri-povertà, disoccupazione, declino, tensione sociale, ceto medio scomparso, colpe eventuali del governo, Pierluigi Bersani versione incendiario, Gianni Alemanno pompiere. E Repubblica, 13 giugno 2004: «Sempre più famiglie nell’ultima settimana sono costrette a rinunciare a pane, latte, zucchero, olio e verdura. Persino il presidente della Granarolo ammette che da un po’ di tempo le vendite di latte del suo gruppo calano nell’ultima settimana di ogni mese». Una bugia totale, tanto che i buoni conti della Granarolo smentiranno ufficialmente l’asserzione. Ma pochissimi ascoltavano, per esempio, Daniele Tirelli della Nielsen: «Nessuna statistica ha dimostrato che dopo il 27 si rinuncia al latte fresco per comprare patate. Gli italiani non soffrono di problemi alimentari, ma di aspettative molto più alte rispetto al passato. Oggi la gente vuole viaggi e consumi individualizzati. Va al discount, così si mette in pace, e poi non cede su altri beni e servizi». I titoli catastrofisti furono migliaia, e qualcuno addirittura ipotizzò che i prezzi salivano proprio perché i giornali scrivevano che salissero. Non è una battuta: lo studio «Italian Households at the Beginning of the Decade», ancora degli economisti Brandolini e Boeri, rilevò l’eccezionale copertura mediatica sulla presunta povertà e ipotizzò che potesse aver contribuito al divario tra inflazione percepita e rilevata: questo dopo aver notato che tv e giornali davano credito a stime alternative a quelle ufficiali, senza verificarne il rigore. Anche perché i titoli erano talvolta comici, come questo di Repubblica del 30 giugno 2005: «Tutti in ferie per scordare la crisi», come a dire: tutti al ristorante per scordare la fame. Intanto, ed eccoci al periodo natalizio, il Tg3 rilanciava il «Natale senza regali» nei giorni 12 e 19 e 22 e 23 e 25 e 26 dicembre 2005, campane a morto per un popolo affamato. Ora si ricomincia. Forse. (il Giornale)
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3 commenti:
"titoli poveristi e declinisti dell’Unità, parte grotteschi e parte menagrami"
ma sì, dai, continuiamo a credere alla bella favola che vorrebbero farci credere, dell'Italia che non è poi messa così male, che non è vero quanto raccontato dai soliti catastrofisti, che un po' di sano ottimismo e meno giornalisti "dark" potrebbero rilanciare l'economia e risolvere una spaventosa crisi MONDIALE. ma sì, continuiamo a credere nel paese dellla cuccagna, soprattutto dall'alto dei nostri stipendi da favola di servi del potere.
Irene
... ma sì, dai, continuiamo a credere alla bella favola ...
Una soluzione al problema c'è. Fare un nuovo Governo Prodi.
La cuccagna delle tasse!!!
della"percezione" dell'insicurezza,
della "percezione" dell'inconcludenza;
o
meglio ancora
un bel governo Veltroni
"Sì, ma anche ..."
NO. La soluzione è mandarli tutti a casa. Come hanno fatto in Portogallo. Ma in Italia non c'è più orgoglio né dignità.
Irene
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