domenica 21 dicembre 2008

Mani pulite 2, no grazie. Ernesto Galli Della Loggia

Nessuno sa bene in questo momento che cosa nascerà dalle inchieste avviate a carico di esponenti di amministrazioni locali di centrosinistra da Firenze a Napoli, da Pescara a Potenza. Ma fin d'ora la politica, la stampa, l'opinione pubblica, una cosa possono, anzi devono, promettere a se stesse: che in ogni caso non sarà come fu all'epoca di Mani Pulite. In ogni caso cercheremo tutti di non ripetere gli errori commessi allora.

È una promessa necessaria perché invece la tentazione di ripetere (più o meno) quel copione fa continuamente capolino. Da tutte le parti e in tutti i sensi. Per esempio, in molte osservazioni sulle indagini della magistratura che Bruno Miserendino ha raccolto per l'Unità di mercoledì scorso tra i dirigenti del Pd, del tipo: «È come se le Procure avessero fiutato il vento», è «Come se qualcuno avesse dato il via», «Non penseremo davvero che dietro tutto questo non ci sia una regia politica?». Ovvero nella diffusa voluttà di nemesi, all'insegna del «Chi la fa l'aspetti», che spira in altri ambienti. Cerchiamo allora di fissare poche regole di base con le quali affrontare la situazione che potrebbe crearsi nell'immediato futuro se le inchieste dovessero allargarsi.

Prima regola: un'accusa è solo un’accusa, non una colpa provata. Rimane esclusivamente un'accusa e nulla di più anche quando essa è ripetuta, e magari sceneggiata, in uno studio televisivo: ciò che peraltro costituisce una barbarica (sì, barbarica) condizione di sfavore ai danni di una parte.

Seconda regola: mantenere fermo che gli atti illegali commessi da esponenti politici devono sì cadere senza remore sotto la più rigorosa sanzione della legge, e cioè essere individualmente perseguiti e puniti, ma che questi atti, nel caso in cui indicano l'esistenza di un fenomeno di massa, costituiscono altresì un problema eminentemente politico che va risolto politicamente, partendo dai problemi concreti. Vale a dire non limitandosi a chiedere e a distribuire condanne penali ma introducendo regole adeguate. Ad esempio un provvedimento intelligente come «l'anagrafe degli eletti» proposta da tempo dai Radicali ma che nessuno fin qui si è filato.

Terza regola: considerare i magistrati, in specie i pm, come benemeriti della cosa pubblica quando compiono il proprio dovere con rispetto scrupoloso delle procedure e senza guardare in faccia nessuno. Evitare però che solo per questo essi assurgano al rango di eroici arcangeli del bene e a supremi rappresentanti della moralità civica, vedendosi sommersi di interviste, invocazioni, fax, e per giunta omaggiati con l'offerta della carica di ministri, parlamentari, sindaci, e quant'altro. Ricordarsi che istruendo dei processi essi fanno solo il loro dovere e nulla di più.

Infine resistere alla tentazione di adoperare a getto continuo e a sproposito termini come «società civile», «casta», «questione morale»: sono gratificanti perché fanno sentire dalla parte giusta, è vero, ma quasi sempre sono fuorvianti. Al tempo stesso ricordarsi che nelle aule di giustizia si comminano condanne penali e si decretano assoluzioni. Ma quelle aule — ormai dovremmo saperlo — non sono mai state il posto adatto per sottoporre la politica ad alcun lavacro purificatore. (Corriere della Sera)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Il dibattito su come uscire dalla nuova Tangentopoli si fa ogni giorno più avvincente, con soluzioni vieppiù innovative. Andrea Romano (Il Riformatorio): “Via Veltroni”, cioè uno dei pochi non inquisiti. Follini: “Via Di Pietro” (come sopra). Il Giornale di Berlusconi (Paolo): “Via Di Pietro”. Il Foglio di Berlusconi (Veronica): “Il Pd dimentichi Berlinguer e la questione morale”. Berlusconi (Silvio): “Basta intercettazioni”, così non si scoprono più le tangenti e il caso è chiuso. Violante: “Riformare Csm e Procure” (come sopra). Lanzillotta: “Impegnarsi a fondo per riformare la magistratura” (brava: non la giustizia, i magistrati). Fassino: “Non fare come Occhetto che sbagliò, dicendo ai giudici di fare il loro lavoro e a noi di fare pulizia interna” (quindi fare come Craxi, finito benissimo). Cicchitto: “Loro non parlino più di questione morale nei nostri confronti e noi non saremo farabutti come loro nel ‘92” (cioè come lo furono i suoi alleati Lega e An, tifosi di Mani Pulite). Capezzone: “Chiedere scusa a Craxi” (che in quattro anni portò il debito-pil soltanto dal 70 al 92%). Pomicino: “Chiedere scusa a Pomicino” (due volte condannato, insiste che le assoluzioni sono di più, quindi le condanne non contano). Mantini e Minniti (Pd): no all’arresto di Margiotta anche senza fumus persecutionis e in barba alla Costituzione, perché “non ci sono le prove” (come se spettasse al Parlamento valutarle). Margiotta, appena salvato: “La Russa ha subito difeso Bocchino, ma nessuno del Pd ha difeso Lusetti” (un po’ di omertà di casta non fa mai male). Tutto molto bello e interessante. Ma, absit iniuria verbis: e provare a non rubare?