Viviamo in una fase, simile ad altre della nostra storia, di incanaglimento della lotta politica, siamo immersi in un clima di guerra civile virtuale. Siamo, pur con i nostri difetti, una democrazia ma rispettabili pensatori di altri Paesi, aizzati da demagoghi nostrani, vengono a spiegarci che viviamo sotto una dittatura. Abbiamo un dibattito pubblico apertissimo ma c’è chi racconta che la libertà di stampa è minacciata. Alcuni parlano dell’Italia come se si trattasse dell’Iran o della Birmania. Abbiamo libere e regolari elezioni ma una parte non esigua degli elettori dello schieramento sconfitto non riconosce la legittimità del governo in carica (ma la stessa cosa facevano certi elettori dell’attuale maggioranza quando governavano i loro avversari).
E’ in questi momenti che conviene tornare ai «fondamentali»: che cosa permette a una democrazia di sopravvivere? Di quali virtù o qualità deve essere dotata la cittadinanza democratica? La democrazia è un regime moderato. Ha bisogno che a guidare i governi siano sempre forze moderate, di destra o di sinistra, e che le componenti estremiste siano tenute a bada. Ma perché ciò accada occorre che, fra i cittadini, prevalgano certi atteggiamenti anziché altri. Nelle democrazie, in tutte, la maggioranza dei cittadini ha interesse nullo, scarso o sporadico per la politica. E’ sempre una minoranza, magari consistente ma pur sempre minoranza, a seguire con continuità le vicende politiche. Sono gli atteggiamenti prevalenti in questa minoranza a dettare tono e qualità della democrazia.
Sono tre i tipi umani che più frequentemente si incontrano in tale minoranza: l’estremista, il fazioso, il pluralista. Li indico nell’ordine che va dal meno al più compatibile con la democrazia. Gli estremisti veri e propri, così come qui li intendo, sono (fortunatamente) sempre pochi, anche se rumorosi e, spesso, pericolosi. La loro presenza dipende da certe caratteristiche della politica, dal fatto che la politica, più di qualunque altra attività umana, si presta ad essere il luogo in cui si possono scaricare le frustrazioni personali. Per l’estremista la politica è una grande discarica nella quale egli getta la parte peggiore di sé. L’estremista è uno che odia. Odia se stesso in realtà ma trasforma l’odio per se stesso in odio per il «nemico politico». La politica, data la sua natura competitiva e conflittuale, si presta bene per questa operazione. Lo sventurato giovane che su Facebook si è chiesto perché nessuno abbia ancora ficcato una pallottola in testa a Berlusconi è una vittima del clima che gli estremisti alimentano (per inciso, quel brutto incidente potrebbe essere la sua fortuna: se non è uno stupido rifletterà, capirà che un uomo è tale solo se pensa con la sua testa, se non si fa comandare o suggestionare dal clima dominante negli ambienti che frequenta).
Poi c’è il fazioso. A differenza dell’estremista il fazioso, come qui lo intendo, non è un caso psichiatrico. Però è spaventato dalle opinioni in contrasto con la sua. Nei mezzi di comunicazione cerca più conferme ai suoi pregiudizi che informazioni o dibattiti di idee. È rassicurato dall’idea che esista, in materia di politica, la «verità», unica, chiara, indiscutibile, e che egli, essendo onesto e intelligente, la conosca. Per lui, quelli che non vogliono accettare la verità in cui egli crede sono disonesti o stupidi.
Il fazioso teme lo stress che gli procurerebbe il riconoscimento che il mondo è davvero complesso e ambiguo. Ha bisogno di contare su un quadro di certezze: di qua il bene, di là il male. Un grande economista, Joseph Schumpeter, diceva che spesso eccellenti persone, brave nel loro mestiere, sono in grado di parlare con competenza e maturità dei problemi della loro professione ma regrediscono all’infanzia appena cominciano a parlare di politica: il Bene, il Male, le fate e gli orchi, gli sceriffi col cappello bianco e i banditi col cappello nero. Il fazioso, essendo spesso tutt’altro che stupido, vive con patimento la sua contraddizione: la coesistenza, in lui, dell’orrore per le opinioni diverse dalla sua e del riconoscimento della necessità del pluralismo delle opinioni in una democrazia.
C’è infine il pluralista. Accetta il fatto che il mondo sia complesso e, dunque, che non ci sia, sui fatti contingenti della politica, una Verità acquisita per sempre. Accetta che il problema sia, ogni giorno, quello (faticoso) di impadronirsi, confrontando le opinioni e riflettendo sui fatti, di quel poco di precarissima «verità» che si riesce ad afferrare. Senza abdicare alle proprie convinzioni più profonde non teme di ascoltare pareri diversi. Pensa che, se sono ben argomentati e presentati con garbo, possano anche arricchirlo.
Quanto più nella minoranza che si interessa con continuità di politica prevale il tipo pluralista, tanto più la democrazia è salda e sicura. Non è questione di destra o sinistra o, attualmente, di berlusconiani e antiberlusconiani. Ci sono faziosi e pluralisti di ogni tendenza. Ad esempio, la differenza fra un fazioso antiberlusconiano e un pluralista antiberlusconiano è che per il primo Berlusconi è il nemico mentre per il secondo è solo un avversario.
C’è poi la questione dell’uovo e della gallina. Ci sono fasi in cui, entro la minoranza che segue la politica, i pluralisti si trovano in difficoltà e sembrano quasi soccombere di fronte alla prepotenza dei faziosi (sempre seguiti da un imbarazzante codazzo di estremisti). È difficile stabilire se in quei momenti i faziosi prevalgono perché aizzati dalle urla di furbi demagoghi o se, invece, i furbi demagoghi hanno successo a causa dell’esistenza di una folta pattuglia di faziosi. (Corriere della Sera)
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1 commento:
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