La crisi greca è tanto semplice quanto grave: il Paese è fallito. Tra luglio e agosto deve ripagare debiti per circa 13 miliardi di euro, ma non ha i soldi in cassa. Se l’Europa e il Fmi non le prestano i quattrini promessi salta il banco. E i creditori non si beccano un euro. La Grecia per il momento preferisce pagare gli stipendi, le pensioni ai suoi cittadini che pagare il debito (un greco su tre riceve il cedolino della paga dallo Stato). Ha ottenuto un prestito monstre da 110 miliardi di euro (ma diviso in più tranche) e ne vorrebbe uno aggiuntivo di importo superiore. È una macchina che fagocita quattrini. E non riesce a mettersi in sesto. Nei primi quattro mesi dell’anno i suoi ricavi (che sono fatti dalle tasse riscosse) sono scesi quasi del 10 per cento. In compenso le spese hanno continuato a correre come se nulla fosse: anzi sono aumentate del 4 per cento.
Ricapitoliamo. La Grecia non ha soldi in cassa per ripagare le prossime rate del mutuo e invece di fare economie, riducendo le spese e aumentando le entrate, si mette a ballare il sirtaki. Il punto dunque non è discutere se la Grecia sia fallita (lo è, basterebbe vedere quanto deve remunerare quei pazzi che oggi volessero comprare un suo titolo pubblico), ma stabilire perché non sia ancora saltato il banco.
E qui le cose si complicano. Il mutuo complessivo contratto dalla Grecia (il debito pubblico) vale 330 miliardi di euro. E secondo stime accreditate la metà è detenuto da banche europee. Andando un po’ più a fondo scopriamo che circa un terzo del debito totale, quasi cento miliardi di euro, sono in mano a banche francesi e tedesche. Quelle italiane hanno investito in titoli greci «solo» 3 miliardi di euro. Ordunque, se la Grecia dovesse fallire, dovesse cioè decidere di non pagare i suoi conti, i primi a portarsi a casa il buco sarebbero gli istituti creditizi francesi e tedeschi. A quel punto il fallimento farebbe decisamente male. Merkel e Sarkozy si troverebbero una bella grana in casa: dovrebbero salvare le proprie banche nazionali gravate da perdite su crediti di ingenti dimensioni. R&S di Mediobanca ha recentemente calcolato quanto valgono gli attivi delle prime due banche dei principali Paesi europei. Il risultato è da capogiro. Le prime due banche francesi valgono il doppio dell’intero Pil d’Oltralpe; in Germania gli attivi delle prime due star valgono più o meno tutto il Pil tedesco. Se una banca in questi Paesi ha un raffreddore, lo Stato rischia la polmonite.
Nelle ultime concitate ore non si sta discutendo il salvataggio della Grecia. E men che mai la morte dell’euro. Basti pensare che il Pil greco oggi pesa meno del 3 per cento di quello dell’intera Europa. Oggi è piuttosto in discussione, come sempre avviene nei fallimenti, il salvataggio dei creditori e cioè delle grandi banche europee che hanno prestato senza grandi indugi al malato di Atene.
Questa banale constatazione è molto chiara ai greci. Una parte dei politici ateniesi sa che il conto del fallimento potrebbe essere pagato dai contribuenti tedeschi e francesi costretti a ricapitalizzare le loro banche. È per questo che giocano con il fuoco: e non hanno la minima intenzione di adottare quelle misure da lacrime e sangue che si dovrebbero subito mettere in campo. Un buon motivo per affrontare la crisi greca, con i criteri di mercato e pretendere che l’azienda ateniese faccia pulizia al suo interno o altrimenti salti una volta per tutte. (il Giornale)
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