Fra le cose bislacche di un’Italia abbandonatasi alla lussuria dell’autodissoluzione, vi sono anche i numerosi attesati di solidarietà a Gianni Letta. Un galantuomo, è vero. Ma se anche non lo fosse (e solo chi non lo conosce può supporlo), non per questo sarebbe meno inquietante che debba difendersi, e farsi difendere, dall’assunto d’essere nel mirino di procuratori i quali neanche lo indagano. Gli stessi indagati, del resto, non possono essere considerati colpevoli di ciò di cui sono accusati e, invece, passano già per condannati di ciò cui neppure il giudice delle indagini preliminari crede. Che possa, difatti, esistere una P4 senza che sussistano, neanche come mere ipotesi, i reati associativi è cosa potentemente ridicola. Ma anche potentemente pericolosa.
Letta non è solo un galantuomo, è uno dei pochissimi servitori dello Stato rimasti in circolazione, e, fra questi, forse l’unico in grado di mettere in relazione la forza elettorale (non sua), quindi il consenso popolare, con l’esercizio concreto del potere, quindi il necessario rispetto delle forme istituzionali. Provate a togliere questo chiodo e verrà giù l’edificio.
E veniamo all’esistenza di reti oscure che manovrerebbero la vita pubblica. La P2 era stata fondata un centinaio d’anni prima della nascita di Licio Gelli. Fu sciolta con una legge, voluta da Giovanni Spadolini. Provvide poi la cassazione a stabilire che l’essersi iscritti a quella loggia massonica non era un reato. Ciò non toglie che alcuni degli affiliati commisero reati, per i quali sono stati condannati. Nel luglio del 2010, un anno fa, i giornali informarono l’opinione pubblica, grazie alle carte di un’inchiesta penale, circa l’esistenza della P3: presunta associazione d’individui, coordinati da Flavio Carboni, che affiliando magistrati condizionava l’opera della giustizia italiana. Stiamo ancora aspettando che l’inchiesta si concluda. In compenso sappiamo che tutte le faccende su cui la P3 adoperò la sua potentissima influenza si sono risolte all’opposto di quel che gli associati desideravano. Una mandria di attempate teste di cavolo, che avevano deciso di farsi capitanare da un condannato il cui volto è automaticamente associabile a ogni forma d’intrallazzo. Non so se mettevano il cappuccio, comunque glielo suggerirei, se non altro per la vergogna di tanta dissennata dabbenaggine.
Anche la P4 avrebbe scelto un pregiudicato, Luigi Bisignani, per esercitare la sua segreta influenza. Si sarebbero dedicati alla violazione del segreto investigativo, che la riforma del 1989 sostituì al segreto istruttorio (vedo che diversi fanno ancora confusione, e non hanno torto, visto che quella norma non la rispettano neanche i magistrati). Per corroborare le accuse dei procuratori, cui, al momento, non crede nemmeno il giudice delle indagini preliminari (non ve lo avevano detto? così vanno le cose) i giornali pubblicano i verbali d’interrogatorio dei vari indagati e testimoni, senza far mancare le intercettazioni telefoniche raccolte nel corso d’indagini che sono ben lungi dall’essere concluse. Allora, di grazia, in che consiste il segreto?
Fatemi capire: se scrivo su questo giornale d’inchieste, rivelandone gli aspetti che qualcono (chissà chi) mi ha soffiato, sono coraggioso e aduso alle inchieste, se quelle medesime cose le dico riservatamente ad un conoscente, invece, sono un delinquente? La risposta positiva presuppone il manicomio, non il palazzo di giustizia.
Con ciò non sostengo, proprio per niente, che, escluse le inchieste, viviamo nel migliore dei mondi. I problemi sono tre: a. il mercato; b. i lobbisti; c. i magistrati che fanno politica. In un mercato in cui lo Stato occupa più della metà dello spazio, con una classe politica raccogliticcia, il normalissimo confronto e scontro degli interessi diventa inciucio e camarilla. Se non c’è un premio al merito lo si assegna a chi ha le conoscenze che funzionano.
Rappresentare gli interessi particolari è cosa buona e giusta. Pensare che abbiano titolo solo gli “interessi generali” è cosa fessa e ipocrita. Nelle democrazie sane il lobbismo è regolato per legge, da noi è bandito come fosse un peccato. Se tale attività fosse regolata nessuno si affiderebbe a chi è stato condannato per corruzione. Non essendolo, quella condanna funziona da utile referenza.
Gente come Papa non dovrebbe sedere in Parlamento, me neanche Narducci dovrebbe essere assessore a Napoli e De Magistris sindaco. Il che vale per decine d’altri magistrati, di destra e di sinistra, ma che la storia e il giustizialismo hanno accasato prevalentemente a sinistra. Tutti rampicanti come se l’articolo 98 della Costituzione non esistesse (i partiti li fondano, altro che iscriversi!).
Come non dovrebbero rimanere al loro posto procuratori che sbattono in prima pagina cittadini che non saranno condannati. Ha torto l’onorevole Maurizio Paniz, del Pdl, a sostenere che magistrati così dovrebbero andare al civile. Gli incapaci e gli esibizionisti vanno a casa, non a far danno altrove.
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