domenica 11 settembre 2011

E dopo? Davide Giacalone

Mercoledì sarà approvato definitivamente il decreto che riprende le indicazioni della Banca Centrale Europea e punta a stabilizzare i conti pubblici. Cosa succede, dopo? I fautori della crisi di governo aumentano, ma anche la confusione delle loro idee. Valutando le forze in campo, e mettendo nel conto la debolezza, indotta da attacchi ed errori, del presidente del Consiglio, Maurizio Belpietro osservava ieri che “non ci resta che sperare”, salvo aggiungere: “in che cosa non lo sappiamo”. Appunto, è il ritratto di un passaggio che conduce alla fine di un’epoca, ma all’inizio di non si sa cosa.

Quel che il governo dovrebbe fare lo abbiamo già suggerito: rivolgere, subito, un invito agli altri governi dell’Unione monetaria, sollecitando rimedi alle deficienze strutturali dell’euro. Si ha un bel prendersela con Juergen Stark, il tedesco dimissionario dalla Bce, per dissensi sull’acquisto di titoli italiani, ma non si può negare l’indeterminatezza istituzionale in cui si muovono le autorità monetarie europee. Se, forte di avere svolto il compito assegnato, il nostro governo saprà portare il problema nella sua sede naturale, quindi fuori dai confini italiani, avrà creato un buon motivo per continuare il lavoro e un ostacolo a chi ne chiede la caduta. In caso contrario ce la si vedrà tutta in casa, con l’incancellabile corredo d’inchieste penali e ricatti corporativi.

A parte il ritornello insulso, e senza speranza, che chiede a Berlusconi di fare “un passo indietro”, quel che si muove e si prospetta è piuttosto singolare. Enrico Letta sostiene che se si facesse un bel governo d’emergenza nazionale già solo per questo lo spread con il bund calerebbe di cento punti. E perché? Ovvio, si risponde, perché quel governo saprebbe fare ciò che all’attuale non riesce. Splendido, e come? C’è un solo fesso, in Europa e nel mondo, capace di credere che se si portano al governo quelli che sfilavano con la Cgil, mettendoli assieme con quanti hanno premuto da dentro il governo per non toccare le pensioni, ne risulterebbe un esecutivo rigoroso e risanatore? Sempre Letta dice: non c’è motivo che un governo di quel tipo sia presieduto da Alfano, ma chiunque è comunque meglio di Berlusconi. Raffinato ragionamento. Ma, al netto di una condotta privata che è divenuta oggetto di discussione pubblica, cos’ha di così ripugnante, il citato Berlusconi? Ha preso e minaccia di volere ancora prendere voti. Questo è il punto: non hanno in mente un governo di risorgenza nazionale, ma di nazionale commissariamento, per la qual cosa è necessario sospendere le regole democratiche.

Andare al voto è la via opposta. Anche qui, dicono: gli spagnoli le hanno convocate e la speculazione s’è placata. Primo: è tutto da dimostrare. Secondo: in Spagna si sa già chi le vincerà e che cosa farà. In Italia no. Se Berlusconi riuscisse a convincere gli elettori che lo hanno abbandonato a non disertare le urne il risultato non sarebbe scontato. E se anche il centro destra perdesse, come dimostrano le ultime elezioni amministrative, non vincerebbe il pd, ma un’accozzaglia d’antagonisti e giustizialisti. Con quella roba si governa? Ci vuol fantasia, per crederci.

Chiedono il “passo indietro”, perché conoscono la loro infinita debolezza e il pericolo delle urne. Per propiziarlo sembrano anche disposti a una specie di salvacondotto, un’immunità personale per Berlusconi. Il che non solo viola la nostra Costituzione, ma sarebbe il trionfo delle leggi “ad personam”. Secondo il latinorum per analfabeti. Eppure tale ipotesi circola, a conferma della disperazione di un sistema senza uscite, incapace di calcolare altro che il crollo. E se non si riesce a stabilire cosa sperare è perché non si vede altro che il crollo.

Lo si deve all’inadeguatezza della classe dirigente (mica solo politica), all’esaurirsi di un ciclo e al continuo sollecitare ogni forza, ogni gruppo, ogni camarilla che sappia opporsi ai cambiamenti necessari. Di questo siamo prigionieri. Tale gabbia si può rompere, ma solo a condizione che non ci si dimentichi la collocazione internazionale dell’Italia e che si sappia porre il tema delle regole istituzionali. Il problema italiano è prima di tutto di governance. La nostra Costituzione appartiene ad un mondo che non c’è più. Se non vogliamo condannarci alla limitatezza suicida di immaginarci crollanti o commissariati cominciamo a ragionare, senza distinzione di schieramenti, su come conservarne il buono abbandonando il morto.

1 commento:

Anonimo ha detto...

quelli che hanno partecipato alla manifestazione della CGIL sono lavoratori in cassa integrazione, altri con stipendi da 800 € altri con stipendi da 1200 € hanno ben ragione di manifestare. Perchè chi paga la manovra? l'iva sulle bollette i trasferimenti negati alle regioni ai comuni per i servizi chi li paga? non è mettere le mani nelle tasche degli Italiani? e poi LA Polverini, Formigoni, Tosi, Alemanno ed altri perchè si lamentano? Tu giacalone che sei onnipotente dai una ripsosta ai sig. sopra citati.
grazie