Favorevoli a liberalizzare le farmacie e i benzinai, contrari, contrarissimi, a dare libertà ai negozianti perché possano scegliere autonomamente gli orari di apertura delle loro botteghe. Matteo Renzi osserva cauto ma sempre più perplesso le fluide evoluzioni di Enrico Rossi, cui vengono attribuite ambizioni nazionali da sinistra antibersaniana, e di Vasco Errani, entrambi suoi colleghi del Partito democratico, rispettivamente presidenti di Toscana e di Emilia Romagna. Al sindaco rottamatore di Firenze la battaglia dei governatori rossi contro le liberalizzazioni del commercio volute da Mario Monti – e già bandiera (strappata) del segretario Pier Luigi Bersani – appare come un documento straordinario sull’antropologia del Pd, partito che rischia di essere “dominato dalla quasità”, pensa il sindaco: quasi liberale, quasi moderno, quasi socialdemocratico. Così se la regione Toscana fa ricorso alla Consulta contro il governo (“non è il consumismo la risposta giusta alla crisi”, ha detto Rossi), e la maggior parte dei comuni toscani non sa ancora bene come muoversi, a Firenze invece Renzi applicherà subito la legge Monti, lui che aveva già garantito libertà di apertura dei negozi in città per il Primo maggio incorrendo nella censura di Susanna Camusso, segretario generale della Cgil. “Per il nostro paese le liberalizzazioni in tanti settori dell’economia non possono che essere un valore. Siamo il paese più arretrato in Europa, legato da corporazioni e gruppi di potere che continuano a crescere vivendo di rendita e impedendo l’accesso al mercato di nuovi competitori”, dice il vicesindaco renziano di Firenze Dario Nardella.
Ma se Renzi ne fa una questione culturale e politica interna al Pd “liberale a intermittenza”, e con le sue mosse (intende anche ignorare la circolare regionale della Toscana che invita i comuni a rispettare le normative regionali e non le nuove regole nazionali) vuole rottamare riflessi da vecchia sinistra quasi bolscevica, c’è anche chi sospetta più prosaici interessi di potere dietro la durissima difesa dello status quo messa in campo dal Pd tosco-emiliano (e anche umbro) contro le liberalizzazioni.
“Vogliono difendere il sistema delle Coop rosse”, dice Sergio Pizzolante, deputato romagnolo del Pdl, che aggiunge: “E’ lobbismo, assolutamente legittimo, ma è lobbismo. La questione è semplice: la legge Monti riduce le prerogative degli enti locali nel rilasciare concessioni commerciali. E’ evidente che questo indebolisce il rapporto storico tra le Coop e i Ds che in Emilia Romagna e in Toscana sono un sistema integrato e a porte girevoli, si passa dal partito all’azienda e viceversa”. Secondo Pizzolante, “il complesso del provvedimento approvato dal governo tecnico attacca i monopoli, che nelle regioni governate da Rossi ed Errani sono ‘il’ monopolio Coop e crea invece competizione di mercato, non solo per l’orario di apertura libero ma anche perché avvia una deregulation sulle concessioni”. Conclusione: “Potranno arrivare altri grandi operatori a fare concorrenza alle Coop, e non dovranno presentarsi ai politici che governano province e regioni rosse con il cappello in mano”.
© - FOGLIO QUOTIDIANO
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