giovedì 11 luglio 2013

Lodo Mondadori: dichiarazioni di Marina Berlusconi

Nell’attesa della sentenza della Corte di Cassazione sulla vicenda relativa al Lodo Mondadori, Carlo De Benedetti e le sue grancasse mediatiche si stanno dando un gran daffare: tentano di nascondere ancora una volta la verità dei fatti, continuano a raccontare una versione di questa vicenda che con la realtà non ha nulla a che vedere. Evidentemente sperano che, a forza di ripeterle, queste macroscopiche falsità finiscano per apparire un po’ meno false. Per questo, di fronte a una manipolazione del genere, non si può tacere, non si può non ricordare come stanno davvero le cose.

Punto primo: non è vero, come lamenta De Benedetti assieme ai suoi megafoni, che la Mondadori gli fu portata via corrompendo un giudice. La sentenza della Corte d’Appello di Roma che annullava il Lodo fu emessa da un collegio di tre giudici. Uno di loro venne successivamente ritenuto colpevole di corruzione, al termine di un procedimento molto controverso che vide anche due assoluzioni. Gli altri due giudici, mai sfiorati dal sospetto, interrogati hanno ribadito più volte di aver studiato l’intera causa  e di aver totalmente condiviso il verdetto, in piena consapevolezza. Quella della Corte romana era quindi una sentenza non inquinata e assolutamente giusta, conforme al diritto. Per il verdetto, peraltro, la Cir rinunciò al ricorso in Cassazione e non chiese successivamente la revocazione, che era l’unica strada per un eventuale annullamento.

Punto secondo: dalla spartizione della Mondadori De Benedetti non subì affatto, come lui continua a sostenere, un “danno drammatico”. Ottenne invece solo benefici. Basta andare a rivedersi le sue dichiarazioni dell’epoca, estremamente soddisfatte. La spartizione venne infatti imposta dalla politica alla Fininvest, che dovette rinunciare alla Grande Mondadori, mentre De Benedetti ebbe una parte molto rilevante dell’azienda, sia sotto il profilo economico che del peso politico: la Repubblica, l’Espresso e i quotidiani locali della Finegil.

Punto terzo: siamo stati condannati in primo e secondo grado dalla magistratura milanese, e sottolineo milanese, con due sentenze molto più che ingiuste e assurde. Due sentenze in totale contraddizione tra loro, perché il giudizio d’appello ribalta completamente il verdetto di primo grado, ma sfidando ogni logica riesce ad arrivare alle medesime conclusioni: imporci quello che rappresenta un autentico esproprio giudiziario, per una somma,  564 milioni di euro, macroscopicamente inaccettabile. Basti pensare che è pari a cinque volte il valore azionario della quota Fininvest nella Mondadori. E, pur in assenza di una sentenza definitiva, di questa somma da ormai due anni non possiamo disporre: non è difficile comprendere quale danno, questo sì evidente e concreto, tutto ciò abbia rappresentato e rappresenti per le nostre aziende, a maggior ragione in un contesto economico complesso come l’attuale. Appaiono grotteschi, se non in malafede, quanti fanno notare la riduzione dell’entità della condanna in appello. In realtà neppure un euro da parte nostra era ed è dovuto, perché per la Cir non ci fu alcun danno.

Punto quarto: non occorrono tante parole per sottolineare l’inquietante anomalia rappresentata dal fatto che proprio la magistratura milanese ci abbia condannato a finanziare il gruppo De Benedetti, cioè il gruppo che si è dato un’unica missione: quella di cancellare mio padre dalla scena politica.

Chi esamini i fatti con imparzialità, non può non rilevare quanto grave e inaccettabile sia l’ingiustizia subita dalla Fininvest. Attendiamo la sentenza di Cassazione con la fiducia di chi sa di essere totalmente dalla parte della ragione e di averlo dimostrato in modo incontrovertibile. Attendiamo la sentenza per capire se esiste ancora una Giustizia degna di questo nome in questo Paese. 





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