sabato 31 agosto 2013

Una vecchia storia. Angelo Libranti

 

 
Le vacanze estive, per chi ha un eremo in cui rifugiarsi, rappresentano un’ottima occasione per riassumere la propria vita attraverso testimonianze quali lettere, documenti, libri, giornali, oggetti, raccolti e conservati a futura memoria.
Fra un piatto di sagne e fagioli ed una visita al monastero di San Benedetto, c’è abbastanza tempo per rileggere vecchie riviste, fra le quali ha colpito la mia attenzione un numero de “Gli oratori del giorno” del 1962, con un articolo di Titta Madìa riguardante “L’indipendenza della magistratura”, argomento di urgente attualità. L’autore, tra le altre osservazioni, scrive: “Facile è eccepire l’assurdo di processi dibattuti e risolti sui giornali, giornali di parte dove spesso il recente giudice improvvisato è un antico istigatore complice; se anche si voglia prescindere da questa solidarietà faziosa, è evidente che al giudizio del pubblico manchino gli integrali elementi di conoscenza, oltre che l’altezza professionale, la tecnica quotidiana e la superiore responsabilità del magistrato”.
Sembra uno scritto di oggi, invece sono passati cinquantuno anni. Invano.
In quel tempo non c’era ancora “Magistratura democratica” ma restava evidente il retaggio del Guardasigilli Togliatti, che dette un’impronta “interessata” alla giustizia italiana.
I tempi maturarono fin quanto certi giudici si tolsero la maschera e fondarono “Magistratura democratica”, scrivendo, operando e giudicando secondo il proprio punto di vista politico.
Non a caso il manifesto di presentazione dell’associazione, a Bologna il 4 Luglio 1964, pubblicato su “La Magistratura” del Sett.Ott. 1964, tra gli altri proponimenti, recita nelle Finalità immediate e mediate:”Tali aspettative si concretano nella richiesta ognora più pressante di rottura delle strutture istituzionali ereditate da un lontano e tragico passato e nella esigenza di instaurare la nuova tavola di valori scaturita dalla Resistenza e consacrata nella Costituzione”. Prosegue nelle direttive programmatiche:
”Il Movimento vuole evitare ogni superficiale improvvisazione e ogni generica formulazione di principio per aprire il più largo dibattito sugli obbiettivi stessi, non solo all’interno, ma anche all’esterno dell’Associazione e a tutti i livelli. Proprio in armonia con queste esigenze di approfondimento, la presente mozione si limita a tracciare soltanto le grandi linee della futura riforma, quali sono state trasfuse nella Carta costituzionale. Tenendo presente che l’esegesi di quest’ultima non deve mai prescindere da quel significato politico cui abbiamo ancorati i fondamenti ideologici del movimento, e al di fuori del quale le strutture giuridiche volute dal Costituente perdono qualsivoglia valore, soggiacendo la loro attuazione alla valutazione discrezionale della forza politica dominante”.
Ed ancora, fra tante elucubrazioni di tipo prettamente politico:“Ne discende la necessità della più ampia e profonda democratizzazione dell’esercizio della funzione, affinché la sovranità popolare sia posta sempre in grado di esercitare il suo controllo, e affinché si impedisca al magistrato di sentirsi avulso dal corpo sociale, chiuso nella torre eburnea di un esclusivo tecnicismo, o, peggio ancora, posto al di sopra del corpo sociale stesso.”
Come si nota non vengono citate norme di diritto, di doveri e di applicazione dei codici, previsti dal Potere Legislativo.
Allora non ci si deve meravigliare se il World Economic Forum, nel comunicato del 27 marzo 2013, pone l’Italia al 19° posto sui 27 Stati dell’Unione Europea come credibilità della Magistratura nell’emettere sentenze rispettando l’imparzialità secondo le regole del Paese. (the Front Page)

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