martedì 6 febbraio 2007

Il calcio non c'entra. il Foglio

Uccidere un poliziotto è il peggiore reato: con la spranga o con l’estintore.

A Catania è stato ammazzato un poliziotto con una sprangata, punto e virgola. Dopo la virgola mettiamoci il fatto che a Genova sei anni fa fu ucciso un ragazzo che voleva ammazzare un poliziotto con un estintore. Quel ragazzo, Carlo Giuliani, è diventato per la gente ideologicamente perbene una leggenda, un simbolo purificante di disperazione e di rivolta, la vittima di un’ingiustizia di cui la società, e in particolare il poliziotto che si difese sparandogli, è colpevole. Gli è stata intitolata un’aula della Camera dei deputati, nella sede del gruppo di Rifondazione comunista che annovera sua madre Heidi tra i propri membri.
Il poliziotto di Genova sopravvissuto è finito praticamente ai pazzi, quello morto è stato celebrato ieri nella Cattedrale della sua città, e sarà presto dimenticato. In un soprassalto etico di quelli duri, il giottino Francesco Caruso, deputato della Repubblica scelto e messo in lista dal presidente della Camera, ha subito specificato che la vita di un poliziotto vale quella di un tifoso, e che i poliziotti devono imparare a tenere in pugno nel modo giusto, corretto, l’ordine pubblico, possibilmente rendendosi identificabili con un numero sul loro casco perché sia fatta giustizia del loro manganellare nel mucchio. Ora torniamo al punto.
A Catania è stato ammazzato un poliziotto con una sprangata. In un paese come si deve è il reato più grave che esista, assassinare un poliziotto. Il perché lo si sa, è intuitivo. Ne va della pace civile e del contratto sociale basilare, quando un agente in divisa che si occupa della sicurezza dei cittadini è aggredito, offeso, ucciso. In Italia subiamo da sei anni il rovescio di questa regola. Siccome un altro mondo deve essere assolutamente possibile, gli eroi hanno l’estintore in mano, e quelli in divisa o si difendono sparando, e la loro vita finisce lì, oppure si accasciano al suolo, con maggiore delicatezza, e tolgono il disturbo. Tutta questa discussione sul calcio e le sue sottoculture omicide ha forse un qualche interesse sociologico, ed è encomiabile tutta questa ondata moralistica che chiude gli stadi e cerca colpevoli in ogni curva e in ogni tribuna, contemperando la necessaria severità, sempre ribadita, e la rigorosa disapplicazione delle leggi di repressione, sempre perseguita. Ma la chiacchiera non vale quando si tratti di giustizia e di politica.
Il calcio non c’entra. Non c’entrano le passioni dei catanesi e dei livornesi, dei rossi e dei neri. C’entra solo la forza della legge, che nel caso specifico si rivela nell’incapacità forte di farla rispettare. Sbattendo in galera i violenti, punendo con pene tremende chi aggredisce e uccide i poliziotti, dentro e fuori gli stadi di calcio, sotto l’occhio delle telecamere e nella disattenzione degli organi giurisdizionali.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Chi ha scritto questo articolo e' solo un piccolo borghese bastardo che merita di essere punito con una rivoltellata alla base del cranio.

Anonimo ha detto...

In attesa che lo show ricominci, godiamoci il campionato delle facce di bronzo. Finalisti a punteggio pieno il presidente della Lega Calcio Tonino Matarrese da Bari e il sindaco di Catania Umberto Scapagnini da Battipaglia. Il primo sostiene che «the show must go on» (traduciamo dal barese stretto) e «i morti purtroppo fanno parte di questo grandissimo movimento che le forze dell'ordine non riescono a controllare» e ogni «industria paga i suoi prezzi... Non è che la Fiat, per rilanciarsi, ha fermato le macchine» (poi prova a salvarsi in corner). Il secondo chiede «modelli positivi per i nostri ragazzi». Per esempio il suo modello di Cagliostro de noantri, tutto preso dagli elisir per rendere Bellachioma «tecnicamente quasi immortale» e dai regali elettorali da 3 milioni di euro ai 4 mila dipendenti comunali (per i quali è indagato per abuso d'ufficio e voto di scambio), senza dimenticare questo distillato della sua nobile missione politica: «Nella vita - dicono gli argentini - ci vogliono le tre "c": cervello, cuore e coglioni. Io aggiungo una quarta "c". Culo. Senza il culo le altre tre "c" non servono a niente... Io le ho tutte e quattro. Sono convinto che ho culo. Un culo trasmissibile. Porto fortuna agli amici. Ma non è che posso mettere il mio culo a disposizione di tutti». E ancora, sempre in dolce stilnovo: «Hanno sbagliato i conti e han dimenticato una cosa fondamentale: Scapagnini ha culo. Comunque ora non esaltiamoci e passiamo alla buona pratica tradizionale della prudenza partenopea: il corno rosso». Che uomo, che spessore morale.



Ed eccoci a Matarrese, un nome che è una garanzia, vedi Punta Perotti. Dall'alto di queste vette di legalità, questo pessimo imitatore di Lino Banfi che fu per dieci anni presidente della Figc e ora è tornato sul luogo del delitto come presidente di Lega, ci spiega che la violenza negli stadi è colpa dei giudici: «In Inghilterra, quando ti mettono in galera, buttano la chiave. Da noi prendono i criminali e il giorno dopo escono». Il che tra l'altro spiega perché lui continua a fare il bello e il cattivo tempo nel calcio: se i delinquenti andassero in prigione e ci restassero, il presidente di Lega sarebbe eletto nelle patrie galere, visto che i presidenti di club incensurati sono due o tre, tra calcio-scommesse, fondi neri, passaporti falsi, bilanci truccati, fidejussioni fasulle, plusvalenze gonfiate, doping, Calciopoli e così via. Ma non sono queste quisquilie ad allarmare don Tonino: infatti, appena tornato nell'ottobre scorso, lanciò subito un avvertimento a quell'intruso di Borrelli: «Non deve spaventare il mondo del calcio ricreando Mani Pulite; ma deve integrarsi meglio nel nostro mondo». Borrelli, integro e dunque non integrato, replicò stupefatto: «Io non mi devo affatto integrare col mondo del calcio: non devo giocare le partite, o arbitrarle. Devo scoprire chi viola le regole che lo stesso calcio si è dato. Perché han paura di me?».



Ma lorsignori sono così: i replicanti di una classe dirigente italiota che vede la pagliuzza nell'occhio altrui e non la trave piantata nel proprio, e invoca tolleranza zero per gli altri e tolleranza mille per sé. Da due anni la legge Pisanu impone stadi sicuri oppure chiusi. Ma tutti i Matarresi, i Petrucci, i Pagnozzi la scoprono ora che c'è scappato il morto: fino all'altroieri s'è giocato dappertutto negli stadi fuorilegge (a parte Torino, Genova e Palermo). La giunta straordinaria del Coni di domenica farebbe ridere se non facesse piangere: d'ora in poi chi è fuorilegge è fuorilegge. Prima invece la legge era trattabile, secondo una vecchia prassi che vuole lo sport al riparo dalla legislazione ordinaria, un mondo a parte dove si fa quel che si vuole e ci si giudica da sé. Le leggi - come per il finanziamento dei partiti - le scrivono coloro a cui sono destinate. I quali poi, se qualcuno si azzarda a farle applicare, saltano su a proclamare il diritto sacro e inviolabile di non rispettarle. È anche per questo che gli ultras vanno allo stadio a fare cose che altrove non farebbero mai.



Ieri sera, mentre proseguiva l'osceno balletto della facce di rolla sul caso Catania, la prima rete del cosiddetto servìzio pubblico televisivo beatificava un ciclista dopato che aveva violato tutte le più elementari regole dello sport e ora, tanto per cambiare, viene gabellato per martire perseguitato, vittima dell'immancabile complotto. Perché il doping è severamente vietato ma, se scoprono un campione dopato, allora è colpa dell'antidoping.

Anonimo ha detto...

Ho l'idea che molti giornali e giornalisti del centrodestra, non più abituati alle veline del Capo, comincino a mostrare evidenti segni di demenza.