domenica 4 febbraio 2007

Il "messaggio Berlusconi". Gabriele Cazzulini

«The medium is the message» è uno dei più citati, abusati, inflazionati aforismi della teoria della comunicazione confezionata in pillole per uso casereccio. E' come voler citare E=MC2. A furia di ripeterlo, ormai lo sanno anche i muri. Lo sanno, ma non tutti lo hanno capito davvero. Non hanno capito che Berlusconi è il messaggio di se stesso. Quindi, a parte i club dei suoi aficionados, non serve molto soppesare ogni sua dichiarazione, ogni singola parola come fosse oro colato. Berlusconi non è Prodi o Fassino, Agnelli o Montezemolo, Gerry Scotti o Pippo Baudo.
Berlusconi non è un tipo socialmente definito. Non fa una cosa sola; non è una cosa sola. Non è solo un uomo politico, non è solo un imprenditore, non è solo il presidente di una squadra di calcio. E' tutto questo messo insieme. Come diceva Totò, «è la somma che fa il totale». Politica, vita privata, calcio, televisione sono parole che nel vocabolario berlusconiano esprimono lo stesso concetto: Berlusconi. Forse neppure Berlusconi lo sa, ma questo è un vantaggio enorme. Certamente quando ogni settore richiede elevate capacità e una corposa esperienza, il «messaggio Berlusconi» viene tritato e spezzettato. E' quanto successe quando fu presidente del Consiglio. Fu costretto ad asserragliarsi a palazzo Chigi lavorando oltre ogni limite. Il suo magnetismo comunicativo s'indebolì notevolmente, la sua calamita divenne sempre meno capace di trainare il consenso pubblico. Ma appena ritorna in video, nel suo habitat naturale, il «messaggio Berlusconi» torna subito ad imporsi. Ad un certo punto non conta ciò che dice. Perché va oltre ogni perimetro, ogni confine e ogni limite. Che spari giudizi sulla politica estera o sul calcio mercato del Milan, che stringa la mano a Bush e a Putin o che faccia il donnaiolo in televisione scatenando la gelosia della consorte, il messaggio è sempre e solo Berlusconi. Il valore delle sue parole è che le pronuncia lui. Se non lo dicesse o facesse Berlusconi, le sue parole e i suoi gesti non avrebbero tutta questa eco.
Questo spiega perché Berlusconi, nonostante siano passati i tempi in cui l'Italia faceva le scappatelle con l'antipolitica perché non ne poteva più dell'opprimente prima Repubblica, è ancora un messaggio essenzialmente impolitico. Lui parla al popolo, ai lavoratori, ai contribuenti, parlando di grandi idee e grandissimi progetti; più che un politico è un oratore al limite del visionario. Ma non è demagogia. E' mantenersi su un piano così generale ed aperto da favorire l'incontro con tanti, perché in tanti capiscono al volo il suo linguaggio chiaro e diretto. Molti di più di quelli che seguono a fondo la politica, conoscono il mondo dello spettacolo e del calcio.
Ecco perché Berlusconi va oltre, per raggiungere molti di più senza dire molto di più rispetto agli altri - anzi dicendo molte meno cose. Parlare meno perché tutti capiscano.
Solo i vecchi dinosauri della sinistra ancora blaterano di ideologie e sistemi filosofici senza capire che ormai non li capisce più nessuno. Possono passare altri dieci anni che Berlusconi resta sempre Berlusconi, cioè una fortissima ed ingombrante presenza che si muove a cavallo tra politica, economia e spettacolo.
Il problema della successione è che il dopo-Berlusconi va cercato fuori dalla politica, fuori dai riduttivi schemi dei partiti e dalle logiche chiuse del potere. Bisogna ripetere il cammino di Berlusconi per essere in grado di riprodurlo. Altrimenti l'eredità di Berlusconi sarà solo un ricordo. Non c'è niente da fare. Lui è fatto così. E' questo il segreto del suo successo. Passano i partiti, passano i leader e i campioni di calcio, passano gli idoli della televisione ma Berlusconi resta sempre lì. Se nasce una nuova stella, lui ne ha già pronta un'altra. Finora l'unica speranza per sostituire Berlusconi continua ad essere la clonazione genetica.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Spero solo che nn clonino le stronzate atomiche che sono riportate in questo post...
Cazzulini MA CHE CAZZO SCRIVI??