mercoledì 9 luglio 2008

Emergenza ingiustizia. Filippo Facci

Chiedetelo ai beoti di Piazza Navona, chiedetelo ai centinaia di sottovuoto-spinto che ieri erano indecisi se ascoltare Beppe Grillo o fare lo struscio in corso Vittorio: di quale giustizia dovremmo parlare? Di quella evocata dal pitecantropo molisano che associa un governo democratico a «magnaccia» e «stile mafioso» e «stuprare i bambini»? O quella di un pluriomicida, Michelangelo D'Agostino, che i bambini intanto li sorvegliava in un parco giochi? Dopo che aveva già ammazzato quindici persone? Dopo che aveva già preso un bambino in ostaggio?
Qual è il problema della giustizia in Italia? Il Lodo Alfano? Quel pateracchio inesistente che è il processo Mills, che finirà in niente come sanno tutti? La Carfagna? La moglie di Willer Bordon? Sono gli scatti professionali dei magistrati, il problema? Loro sfilano, giocano con le bandierine, si trincerano nel nulla internettiano come alternativa alla Playstation, incassano grano da libri e dvd: chissà quanti di loro parleranno di Michelangelo D'Agostino, oggi. Chissà quanti chiederanno conto all'intoccabile terzo potere italiano di un signore di 53 anni che è stato libero di ammazzare un'altra volta dopo averne spazzati via 15. Bella la vita del pirlacchione che manifesta a piazza Navona. E bella la vita dei Michelangelo D'Agostino, una vita al massimo.
Non è lui il problema. È già un camorrista, nell'aprile 1983, e in un conflitto a fuoco coi carabinieri viene beccato: finisce dentro. Non è un problema. Era già un killer, faceva parte della Nuova Camorra Organizzata e nel 1985 si accodò alla messe di pentiti che dal nulla accusarono Enzo Tortora di essere uno di loro, un infame: disse che il giornalista faceva parte del clan di Cutolo e contribuì sensibilmente a farlo condannare in primo grado: «Ho firmato i verbali senza leggerli, speravo in qualche beneficio», dirà anni dopo. Torna in galera, ma nel 1997 ecco la semilibertà. In fondo era uno che aveva semplicemente detto ai magistrati che «uccidere è quasi un gioco, ho cominciato per caso, poi ci ho preso gusto e ho continuato. Prendevo a calci i cadaveri; baciavo la pistola sporca di sangue». In libertà.
Esce e subito due rapine, «spatascia» un'auto contro un semaforo, sequestra una madre col figlioletto in carrozzina; cede alle forze dell'ordine solo dopo essersi preso due proiettili in corpo. Passa un po' di tempo ed eccoti un'altra licenza premio (premio di che?) che lui utilizza immediatamente per rapinare un bar e fottersi 4.000 euro: per quel che sappiamo. Poi, essendo palesemente una persona seria e affidabile, nell'aprile scorso ottiene una bella licenza lavorativa e lascia il carcere Calstelfranco Emilia, vicino a Modena, e se ne va a Pescara improvvisandosi guardiano del parco giochi Villa De Riseis, dove pure dorme e fa lavoretti vari. Era un lavoro regolare? No. Aveva un contratto? No: la cooperativa che gestisce il parco lo lasciava fare al pari dei Servizi sociali cittadini. È passato anche dalla Caritas: «Ma dalla magistratura», ha detto il direttore don Marco Pagnillo al Corriere della Sera, «non ho mai ricevuto nessuna disposizione». Non lo controllava nessuno. E nessuno, invero, aveva ricevuto mai nessuna comunicazione da nessuno. Si sono limitati ad allontanarlo anche dalla Caritas, perché non stava alle regole.
Tra due settimane avrebbe dovuto tornare in carcere, ma probabilmente non ci pensava nemmeno. Ed ecco dunque che lui, un uomo che aveva compiuto oltretutto quindici omicidi in tre mesi, domenica scorsa decide di emanciparsi dalla sua «licenza trattamentale» e, dopo una lite da niente, spara in testa e all'addome di Mario Pagliaro, 64 anni, moglie e figli, trucidato tra le mamme e i bambini. Avevano litigato, sapete. È rimasto libero fino a ieri pomeriggio e ha vagato tranquillo per il nostro Paese, armato. E non una parola: silenzio da un mondo politico e giornalistico tutto concentrato su una banda di cialtroni intenti a spiegare come il problema, tra questo porco assassino e Silvio Berlusconi, sia il secondo. Perché è ancora libero. (il Giornale)

8 commenti:

Anonimo ha detto...

la legge blocca processi ferma 100.000 processi.

ci saranno 100 mila probabili colpevoli in giro per strada che non avranno subito il processo , magari qualcuno sara' innocente... ma gli altri ??

misterblack

Anonimo ha detto...

che merda quel facci, il solito facci di merda

come al solito si scrive che i delinquenti escono dalle carceri perchè sono i magistrati a volerlo...mentre i politici che dovrebbero inasprire le pene non vengono mai citati

continua così leccaculo meshato, se ti prendo vicino alla sede del giornale ti grido "coglione!!!"...tanto mi insegna il tuo padrone che non è reato

Anonimo ha detto...

Ieri, a Roma, hanno arrestato un bel po' di gente che aveva messo su un sistema per scampare ai processi: costava 5 mila euro a botta. Minimalisti, poveracci. Non sapevano che, per scampare ai processi, c'è un sistema più infallibile e conveniente: si chiama Lodo Alfano. Prima si fa una legge per bloccare 100 mila processi, una per proibire le intercettazioni, una per tagliare i fondi e gli stipendi ai magistrati. Poi si va in tv a dire che i giudici sono "metastasi", comunisti, golpisti, pazzi, fannulloni, inetti, amici dei criminali. Poi si diffondono sondaggi che dimostrano che la fiducia nella magistratura è in calo (ma va?). Infine si manda avanti qualche sherpa (Angelino Jolie, Calderoli, Castelli) a offrire la pace. Prezzi modici: voi vi scordate i processi di Al Tappone, noi vi lasciamo intercettare e processare tutti gli altri. E, se fate i bravi, magari vi paghiamo pure lo stipendio. A Palermo questa roba si chiama estorsione, racket, pizzo. A Roma si chiama "dialogo". E chi non ci sta, o addirittura va in piazza a protestare, è un estremista giustizialista che vuole "lo scontro". Intanto si continua a usare la magistratura come alibi per non decidere quel che si potrebbe decidere subito, alla luce dei fatti, con la scusa che questo "non è penalmente rilevante" e per quest'altro "aspettiamo le sentenze". Campa cavallo. Don Agostino Saccà si reinstalla a Raifiction sulla sedia gestatoria, tra baci, abbracci e standing ovation da destra e da sinistra (Curzi gli ha addirittura chiesto scusa), come il papa di ritorno dall'esilio di Avignone. E rilascia interviste auto-celebrative, l'ultima a Panorama: su 44 domande, nemmeno una sulla frase-chiave delle sue telefonate con Berlusconi che, sistemando una delle aspiranti attrici, anzi attrici aspiranti, gli dice: "Ti ringrazio molto, perché io veramente ci tengo... Io sai che poi ti ricambierò dall'altra parte, quando tu sarai un libero imprenditore, mi impegno a... darti un grande sostegno". La domanda è semplice: "Scusi, dottor Saccà, ma quale azienda del mondo consente a un suo dirigente di trescare col padrone e con i manager dell'azienda concorrente per entrare in società con loro?". I reati non c'entrano. Questa è intelligenza col nemico. Esattamente come quando nel 2002 l'allora dg Rai cancellò dal video Il Fatto di Biagi e Sciuscià di Santoro, leader degli ascolti, a tutto vantaggio della concorrenza. Il caso ha voluto che, nel giorno della Grande Rentrée agostiniana, la Rai sospendesse per due giorni un dirigente bravo e onesto come Loris Mazzetti, reo di aver addirittura parlato male di Saccà e Minoli sull'Unità, con un provvedimento disciplinare (il sesto!) annunciategli 24 ore dopo l'uscita dell'articolo. Nessun provvedimento invece per Minoli, anche lui beccato mentre trafficava al telefono con tutto l'arco costituzionale per ascendere, modesto com'è, alla direzione generale. È lo stesso Minoli che in 15 anni è riuscito a essere di sinistra, di destra, e di centro: partì craxiano (ai tempi di Mixer, posava servilmente col garofano all'occhiello per gli spot elettorali dell'amico Bettino), poi fu dalemiano, prodiano, veltroniano, ma al telefono riusciva pure a essere berlusconiano. Questa non è roba da tribunali. Basterebbe un'Autorità indipendente, se esistesse. Ma in quella delle Comunicazioni siede Giancarlo Innocenzi, già dirigente Fininvest e sottosegretario forzista alle Comunicazioni. Al telefono lo chiamavano "Inox", per la sua inossidabile fedeltà al padrone. Il 2 agosto 2007 chiamava Saccà: "Sono reduce da un incontro col Grande Capo, abbiamo fatto un po' di ragionamento di politica: è deciso a dare una spallata a questi qua (il governo Prodi, ndr). Ha detto che c'è una persona sulla quale stai lavorando tu (il senatore Pietro Fuda, ndr). Dopodiché, siccome io sto lavorando con Tex (Willer Bordon, ndr), mi è venuta un'idea": scritturare alla Rai la signora Bordon, attrice, per ammorbidire il marito senatore. Purtroppo "quel pirla di Fabrizio (Del Noce, ndr) l'ha stoppata". Ma il Grande Capo ha chiamato il "pirla", che ha subito cambiato postura: "Se è per quella signora lì, chi ti può aiutare è Agostino". Il quale risponde: "Però speriamo che quel coglione di Del Noce non lo dica, perché sennò capiscono che c'è in gioco qualcosa di più grosso...". Inutile dire che Inox, Agostino e il "coglione" sono tutti al loro posto. E il Grande Capo è presidente del Consiglio, momentaneamente distaccato al G8.

maurom ha detto...

Mai ragionare con la propria testa, ma soprattutto insultare a vanvera è la prerogativa di chi non ha argomenti.

Anonimo ha detto...

"Tutti sanno che Berlusconi un po' è perseguitato, un po' è coglione lui. Per parlare di certe cose al telefono...".
(Umberto Bossi, ministro delle Riforme istituzionali, Telelombardia, 7 luglio 2008).

Anonimo ha detto...

Ma questo Facci dov'era quando, l'allora altrettanto democratico leader dell'opposizione definiva "coglioni" tutti coloro che non lo votavano?
Dov'era Facci quando sul palco della manifestazione del 2 dicembre 2007 a Piazza S. Giovanni a Roma comparve la scritta gigante "e' regime"?
Dov'era Facci quando un bellimbusto definiva i magistrati come "malati di mente" e come "razza antropologicamente inferiore"?

Per cortesia ci FACCI una grande cortesia. Eviti di sparare puttanate a pagamento.

Quanto all'affare Mills, che l'illuminato autore definisce "pateracchio inesistente", si sappia che la moglie di Mills, ministro della scuola del terzo governo Blair, si e' dovuta dimettere per le somme di denaro senza giustificazione transitate sul conto corrente del marito.

E ci spieghi inoltre perche' per un "pateracchio inesistente" il nostro buon Silvio ha bloccato i lavori parlamentari per due mesi affinche' si approvassero norme che ne impedicono il processo?

E quanto all'omicidio di Pescara, si sappia che il giudice che ha deliberato il rilascio del camorrista, benche' la legge glielo permette, si e' profondamente pentito di aver firmato quella scarcerazione.
Non mi pare che Scajola, allora ministro degli Interni, si sia mai pentito di aver negato la scorta a Marco Biagi. Sappiamo come poi e' andata a finire.

La P2 esiste ed e' al governo, Facci ne e' la dimostrazione lampante.

Anonimo ha detto...

fiato sprecato il tuo...Facci è solo un dipendente che si comporta da dipendente...il padrone e il fratello editore vanno rispettati e leccati a dovere altrimenti raus!

Anonimo ha detto...

Facci è l'esempio dello schifo clientelare che si è formato sempre di più in Italia. Si pensava che con tangentopoli questo si fosse fermato. No, anzi è diventato ancora più forte e più difficile da scovare. E poi Facci ha il coraggio di parlare che definisce Craxi un grande uomo? Ma stiamo scherzando? E poi in certe sue citazioni su come campava negli anni 80 ci evince la sua strategia da piazzista. Secondo me è stato messo come risposta alla posizione che in internet stava prendendo spazio. Guarda casa scrive su vari blog e parla sempre di Internet (quindi Grillo e altri). Sembra proprio studiata a tavolino questa posizione. Anche il Silvio ha capito che cmq Internet può diventare pericoloso per le idee che girano (difficile da controllare). Allora è meglio attrezzarsi e cercare almeno di rispondere visto che non si può ancora controllare