lunedì 14 luglio 2008

Il calvario di Contrada, piantonato in ospedale. Dimitri Buffa

Gli esami per Bruno Contrada sembrano non dover finire mai. Quelli clinici si intende. Una sorta di ping pong burocratico infinito per cui lui da una parte “si ostina” a chiedere tramite i propri avvocati il differimento della pena per motivi di salute e il tribunale di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere, dall’altra, ne ordina automaticamente il ricovero coatto al Policlinico di Napoli per ulteriori accertamenti clinici. In attesa di una sentenza di rigetto che finora è arrivata puntualmente per almeno cinque volte. La prossima è prevista per il 23 luglio. Qualcuno potrebbe pensare a una vessazione, a una tortura psicologica. Magari si liberano i pentiti omicidi del caso Tortora, che poi continuano a uccidere la gente come se niente fosse o i massacratori del Circeo. Ma per “lo sbirro” Contrada non c’è proprio niente da fare. Il simbolo della lotta alla mafia che si faceva una volta, non quella dei pentiti e delle intercettazioni che si fa adesso, deve morire insieme alla persona. Con il marchio dell’infamia e del tradimento. Con il sospetto di essere stato il basista della strage di via D’Amelio (anche se le prove non si troveranno mai) e soprattutto in galera. Come se in Italia l’unica pena certa debba essere la sua.

Ovviamente Contrada si è opposto, con una lettera scritta di proprio pugno e con un’istanza del proprio difensore Giuseppe Lipera, al ricovero coatto presso il Policlinico di Napoli stare lì due settimane in una specie di regime di 41 bis lo deprime. Qualcuno crede che l’ostinazione dei magistrati di sorveglianza del collegio di Santa Maria Capua Vetere, la nota presidente Angelica Di Giovanni e la sua vice Daniela Della Pietra, nel volere negare a Contrada il differimento della pena in carcere, cosa che nessuno ha negato ad esempio all’assassino di Moro Prospero Gallinari a suo tempo, non sia legata a fattori politici ma a concretissimi timori di carriera. Contrada a suo modo è un detenuto politico, anzi un ostaggio, dell’antimafia militante. Chi se la prende la responsabilità di mandarlo a casa se dieci minuti dopo ti va in televisione un Leoluca Orlando, un Di Pietro o una Rita Borsellino a strapparsi i capelli dicendo che lo stato “ha abbassato la guardia nella lotta alla mafia”? Nessuno.

Se liberano un balordo dell’est europeo che poi violenta una ragazza nella periferia di Roma o di Milano, poco male. Se liberano Izzo e quello poi fa un duplice omicidio si potrà sempre dire che le relazioni mediche e quelle dello psicologo del carcere erano positive e comunque sia, questa è la prassi, in Italia i magistrati non pagano mai per gli errori fatti. Senza neanche il bisogno di una legge ad personam o uno straccio di “lodo”. Se però qualcuno si mette di traverso alle vendette dei professionisti dell’Antimafia.. allora il discorso cambia. Per questo Contrada non solo non lo vogliono fare uscire dal carcere ma anche quando si tratta di fargli degli esami per la salute i giudici osano negargli il ricovero giornaliero nel day hospital e lo mandano sotto scorta in un ospedale, nel settore del 41 bis, come se fosse Totò Riina. (l'Opinione)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Contrada a suo modo è un detenuto politico, anzi un ostaggio, dell’antimafia militante.

si, e Giuliano Ferrara è anoressico...

Buffa... ma vattelo a pija 'n der culo