Piuttosto che all’Ocse, per le previsioni, rivolgetevi alla chiromante. Vi prenderà in giro e basta, bontà sua, per poca pecunia. Nell’autunno scorso cominciammo a scrivere (carta canta) che gli effetti della crisi finanziaria si sarebbero sentiti, in termini reali e dalle nostre parti, nel tardo inverno-primavera successivi. Ora, quindi. Sarebbero stati dolori per molte aziende e per molti lavoratori. In quello stesso momento, esattamente nel novembre del 2008, l’Ocse prevedeva, per i Paesi che la compongono, un calo del prodotto interno pari allo 0,3% nel 2009, ed una sontuosa ripresa nel 2010, con un più 1,5. Noi eravamo gufi, insomma, loro allodole. Invece erano merli, perché oggi ritoccano un tantinello le loro preziose e professionali vedute del futuro: meno 4,3 nel 2009, e meno 0,1 l’anno appresso.
Si potrebbe invitarli al bar per una bicchierata, e dovrebbero offrire loro visto che noi, a naso, parlavamo di meno 3 quando loro sentivano il bisogno di metterci uno zero davanti. Il presidente del Consiglio, questa volta, ha preferito evitare le spiritosaggini e s’è dedicato ai saggi consigli: “Prima non sono stati capaci di prevedere la crisi e poi fanno previsioni negative. Ma state zitti!”. L’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) nacque, nel secondo dopoguerra, per accompagnare l’attuazione dell’European Recovery Program, meglio noto come Piano Marshall: soldi statunitensi per aiutare l’Europa distrutta. Oggi raggruppa trenta Paesi, ma la funzione è meno chiara. Producono molta carta stampata, per diffondere previsioni che, come s’è visto, peccano di una certa imprecisione. Quando Roosevelt, presidente americano, varò il New Deal, evolvendo il concetto stesso di stato sociale, creò molti uffici statali nuovi. Ci sono quelli vecchi, gli dicevano. E lui: quelli vecchi fanno cose vecchie, li chiuderemo. Un programma ancora attuale, che negli uffici Ocse dovrebbe suonare da monito.
Berlusconi, ieri, ha detto parole severe anche per i commissari europei, “che continuano, invece di lavorare, a fare prediche ai governi”. In questo caso, però, la colpa non è tutta loro, perché la crisi mette a nudo il poderoso equivoco di istituzioni che pretendono di governare un non-Stato, per giunta senza mandato popolare. Sono guardiani di un bidone che è stato concepito nell’assunto che l’integrazione economica avrebbe portato a quella politica, ed in un’epoca in cui il nemico pubblico numero uno era l’inflazione. Ci ritroviamo, invece (e lo dico da europeista) in un’Europa in cui c’è l’area dell’euro, ove i governi hanno rinunciato ad amministrare la politica monetaria, fioriscono regolamentazioni come funghi, senza che i mercati nazionali cedano, e la Costituzione è bocciata a furor di popolo. Non possiamo continuare così, il gioco s’è inceppato.
Statunitensi ed inglesi stanno stampando moneta. Si può discutere se fanno bene o male (non hanno molta scelta), ed è facile prevedere, ma non ditelo a quelli dell’Ocse, che con la ripresa questo produrrà inflazione. Mentre si discute, però, dobbiamo sapere che noi non possiamo fare altrettanto, perché la Banca Centrale Europea, così come l’euro, sono stati concepiti per missioni diverse ed opposte. Abbiamo la piccozza e le mutande di lana, ma siamo ai tropici, sulla spiaggia. E non basta, perché c’è un club di burocrati che pretende di farci indossare gli scarponi chiodati. Sicché capita che taluno guardi la piccozza, con occhi sottili, sguardo febbricitante e cattive intenzioni.
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