Forse Ezio Mauro e Beppe D’Avanzo non se ne rendono conto ma stanno avvelenando i pozzi. Dopo questa torbida campagna stampa niente resterà come prima. La scena italiana sarà mutata una volta per sempre e i veleni propagati in queste settimane saranno più dannosi del fumo di Chernobyl. Cercherò di elencare freddamente i danni collaterali della campagna stampa di Repubblica soprattutto dopo che l’Espresso ha trascritto e pubblicato le registrazioni della signora D’Addario. A differenza di D’Avanzo non appesantirò questi pezzo di inutili citazioni colte, ma trarrò da un’antica dimestichezza con i testi classici delle cultura politica democratica gli elementi per raccontare quanto costa e costerà questa campagna di stampa.
Primo danno. È in discussione in Parlamento la legge sulle intercettazioni telefoniche. C’è uno scontro aspro fra maggioranza e opposizione attorno alle limitazioni introdotte dalla proposta del governo. Il capo dello Stato è intervenuto più volte, persino martedì, per sollecitare un dialogo che consenta di approvare una buona legge. Per fare una buona legge occorre che vi sia un clima adeguato e che nessuna delle parti si senta minacciata. Nel provvedimento che il Parlamento sta discutendo vi sono norme che riguardano la pubblicazione di atti per i quali vige il segreto istruttorio e sono previste sanzioni assai severe (non approvo l’idea della detenzione per i giornalisti) per chi pubblica documenti che violino il segreto istruttorio. Il tema di fondo è se vi sia una sfera privata che debba essere severamente tutelata oppure no. I fautori di un ammorbidimento delle norme sostengono che esistono già nell’ordinamento sanzioni adeguate. È del tutto evidente che la recente svolta impressa dal gruppo De Benedetti rafforzerà l’altra tesi, quella di chi pretende maggiori tutele e garanzie. La trattativa riparte in salita. Questo è un danno a breve, ce ne sono altri che vivranno nel tempo.
Secondo danno. Stanno cambiando le regole della politica e della vita pubblica. Lo spionaggio diventerà l’arma suprema della battaglia politica e delle guerre industriali e finanziarie. Tutto ciò che finora era stato disapprovato ora diventerà legittimo. Per decenni ci siamo battuti contro la politica dei dossier. I servizi segreti sono stati più volte smantellati per aver raccolto informazioni indebite sulla vita degli uomini pubblici. Recentemente è stata decapitata la sicurezza della Telecom per aver dato vita a un sistema di spionaggio parallelo. Per lustri è stata messa al bando la stampa scandalistica che alludeva a vicende private e sollecitava morbose curiosità sulle abitudini sessuali dei potenti. C’era un’Italia rispettabile che sapeva fare diga contro l’uso abnorme delle informazioni illecitamente raccolte. La trasparenza degli uomini pubblici richiedeva anche la trasparenza della battaglia politica che andava condotta con mezzi leciti e legali. La campagna dei giornali del gruppo De Benedetti ha rovesciato e buttato per aria tutta questa tradizione democratica elevando a sistema la rivelazione truffaldinamente recuperata. Mi chiedo come si potrà fare politica e affari in un paese in cui una cimice o un registratore possono prendere il posto di una trattativa alla luce del sole, di un braccio di ferro, dello scontro di idee. Vi fidereste di un paese che non conosce limiti all’indagine sulla vita personale di uomini pubblici: politici, giornalisti, funzionari, imprenditori, banchieri e ambasciatori?
Terzo danno. Viviamo in Italia e non a Teheran o Riyad. Abbiamo per anni contestato ogni intervento della Chiesa cattolica che ci sembrava invadere il campo della sfera privata. Nelle grande battaglia per il divorzio il mondo laico-democratico aveva sconfitto la pretesa di una parte del mondo cattolico di dettare regole erga omnes attorno ai comportamenti privati. La politica aveva saputo nel nostro paese trovare una linea di confine fra le dure battaglie e il rispetto della vita personale degli avversari. Ogni volta che qualcuno aveva cercato di superare questa sottile linea di frontiera era stato contestato vivacemente. L’intera stampa italiana si scandalizzò durante gli anni di Clinton per il moralismo bacchettone dei repubblicani nella vicenda Lewinsky. Faceva a tutti un certo ribrezzo l’uso delle informazioni sulla vita personale come arma di demolizione di un personaggio pubblico. Con la campagna di Repubblica il moralismo è diventato uno dei tratti fondativi di una nuova sinistra al punto da spingerla a presentare una mozione per sindacare la vita privata degli uomini pubblici. Gli ayatollah non avrebbero saputo fare meglio.
Quarto danno. La battaglia distruttiva contro Berlusconi alimenterà una nuova campagna anti italiana. In Francia non sarebbe possibile. Qui da noi c’è una parte della pubblicistica, della politica e della pubblica opinione che si rinfranca quando il paese viene sottoposto al dileggio. Abbiamo fatto appena in tempo a incassare gli elogi sul G8 che torneremo sulle prime pagine dei giornali stranieri per le storie di escort.
Quinto danno. La sinistra italiana esce stravolta da questa vicenda. L’abbiamo già scritto. Per la prima volta è un giornale a prendere la guida della battaglia politica per imporre i temi su cui l’opposizione deve lavorare. La sinistra laica e riformista non ha avuto il coraggio di sottrarsi a questa deriva. Impaurita per la potente scesa in campo di tutta la corazzata De Benedetti e galvanizzata da un rigurgito antiberlusconiano, la sinistra italiana non ha trovato il coraggio per dire di no allo spionaggio, al moralismo, al bacchettonismo dilagante. L’argomento principe è che il premier è indifendibile perché certe frequentazioni lo esponevano al ricatto. Il ricatto è quello che si sta sviluppando in questi giorni a mezzo stampa nel tentativo di modificare il corso della legislatura con armi improprie. Dopo queste settimane, l’Italia è un paese un po’ meno laico e siamo tutti un po’ meno liberi. (il Giornale)
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TARAK BEN AMMAR, ATTACCANO ITALIA PERCHE’ VOGLIONO SIA PAESE TERZO MONDO
”E’ un attacco all’Italia, oggi si tratta di Berlusconi, prima si diceva che Andreotti era mafioso e poi attaccarono Craxi. Non avete capito che non vogliono che l’Italia sia un grande Paese ma vogliono che sia un Paese del terzo mondo.
Non leggete i giornali francesi e inglesi che hanno un odio profondo verso l’Italia”. Cosi’ Tarak Ben Ammar, finanziere franco-tunisino, presente nei consigli di amministrazione di Telecom Italia e di Mediobanca, commenta le polemiche relative alle vicende personali del premier Silvio Berlusconi. Per Ben Ammar ‘’se solo ci fosse un po’ di patriottismo sarebbe meglio, vorrei vedere cosa succederebbe se la stampa francese parlasse del suo presidente come fa certa stampa italiana. Credo che non abbiate bisogno di lezioni dagli stranieri per dirvi come vi dovete comportare”. ”Chi di noi puo’ giudicare la vita privata degli uomini. Se si comincia con questo – prosegue Ben Ammar – allora entriamo nelle case di tutti e non credo che tutti siano santi. Mischiare privato con la politica vuole dire non avere argomenti politici. Non ho lezioni da dare a La Repubblica, ma non so se fa bene all’Italia che e’ un grande Paese civile e per questo io sono qui in Mediobanca e in Telecom’.
«Pubblicare quei nastri può essere ricettazione»
«È un episodio disdicevole. Fatto salvo il diritto di informare, è necessario porre un limite alla pubblicazione indiscriminata di conversazioni registrate e intercettazioni. Anche attraverso una nuova legge». L’avvocato Giuliano Pisapia, fine giurista, ex parlamentare di Rifondazione comunista e già presidente della Commissione del ministero della Giustizia per la riforma del codice penale, rilegge il «caso D’Addario» in punta di diritto.
Avvocato, partiamo da un fatto. Patrizia D’Addario ha registrato le conversazioni col premier all’insaputa del suo interlocutore. Nessun reato?
«No, se chi registra è anche uno degli interlocutori non c’è alcun reato. Diverso sarebbe se a farlo fosse un soggetto terzo che registrasse all’insaputa delle altre due persone».
Quindi, questi dialoghi entrano lecitamente nel fascicolo penale.
«Capita spesso, soprattutto nel processo civile e penale, che un nastro magnetico su cui sono incise conversazioni “rubate” diventi una fonte di prova».
Altro discorso, però, se si parla di pubblicazione. La procura di Bari aveva secretato i dialoghi tra la D’Addario e Berlusconi. Ora sono su tutti i giornali.
«Il problema in questo caso è dimostrare chi abbia violato il segreto di indagine. Primo, perché se la diffusione avviene da parte di uno dei soggetti interessati, bisogna dimostrare che era consapevole della secretazione. Altrimenti non è perseguibile penalmente. Per quanto riguarda i giornali, poi, la legge impone che gli atti secretati non possano essere pubblicati fino alla chiusura delle indagini».
Ma...
«Purtroppo è una norma che viene quotidianamente violata. E il reato è oblabile, cioè sanabile, con 136 euro».
E se a farlo fossero stati i magistrati pugliesi?
«In questo caso, la violazione sarebbe ancora più grave. Ma va dimostrato, e non è mai semplice».
Da Bari, il procuratore capo Emilio Marzano garantisce: «La pubblicazione di conversazioni asseritamente registrate non è riferibile in modo alcuno agli uffici di questa Procura».
«Lo si sente sempre dire, e in questo caso sono convinto che sia vero, perché i magistrati non avevano alcun interesse alla divulgazione. Però ognuno si prende le proprie responsabilità».
L’avvocato del premier, Niccolò Ghedini, minaccia azioni legali contro chi riprenderà il materiale già pubblicato.
«Come detto, se la diffusione è stata fatta da persone che non erano consapevoli della secretazione, è un fatto disdicevole ma non c’è reato. Per quanto riguarda i giornalisti che hanno pubblicato le registrazioni, si potrebbe ipotizzare il reato di ricettazione se si provasse che hanno acquisito i nastri in modo illegittimo».
Molti «se». Ma in pratica?
«Non si riesce mai a dimostrare. E così restano solo profili civilistici di risarcimento del danno».
Crede sia necessaria una nuova legge?
«Sicuramente sì. È indispensabile un equilibrio. Già oggi il codice autorizza l’uso delle intercettazioni nei casi in cui risultino “assolutamente indispensabili”, e invece è diventato uno strumento ordinario di indagine. Però, autorizzarle solo quando ci sono evidenti indizi di colpevolezza mi sembra un controsenso. Quanto alla pubblicazione, servono dei “paletti” che garantiscano il diritto di informare, ma anche la tutela delle indagini e delle persone».
Da spettatore, che idea si è fatto della vicenda?
«Uso le parole del presidente Napolitano, che ancora una volta si è dimostrato saggio ed equilibrato. È inutile difendere l’indifendibile, ma bisogna garantire la riservatezza delle indagini ed evitare gli eccessi e le spettacolarizzazioni».
"Repubblica" spara sul premier per coprire i guai dell’Ingegnere
Contro Silvio Berlusconi si usa una mancanza di gusto che stupisce anche in quotidiani e settimanali come La Repubblica e L’Espresso abituati a picchiare duro. Si era discusso in quel gruppo sul posizionamento dei media della casa. Carlo De Benedetti aveva fatto trapelare l’intenzione di una linea più autorevole, di opposizione ma con un profilo alto. Ezio Mauro dava per scontata la partenza, peraltro dopo circa dieci anni di onorato lavoro. Giuseppe D’Avanzo, abbandonato dagli alti contatti negli apparati dello Stato che ne avevano fatto una star dell’informazione giudiziaria, aveva prima tentato di guidare la svolta pacificatrice (raccontando pasticci vacanzieri di Marco Travaglio con persone poi risultate colluse con la mafia), poi, quando aveva compreso che non era su di lui che si puntava, aveva cercato già nel luglio del 2008 di lanciare la campagna per la delegittimazione di Berlusconi cercando di usare le registrazioni di telefonate collegate a procedimenti contro Agostino Saccà e Luigi Crespi. Il quotidiano di Largo Fochetti aveva tenuto sulla tentata operazione di D’Avanzo (che prometteva coordinamenti con il Corriere della Sera che non ci furono) una linea cauta. Anche in considerazione della possibile svolta verso l’autorevolezza.
Come mai da queste aspirazioni si arriva al festival di mutanda pazza? Senza dubbio pesano i problemi editoriali: la svolta «autorevole» l’ha fatta il Corriere della Sera e il suo posizionamento crea problemi strategici a Largo Fochetti. E in una fase difficile per tirature e pubblicità sventolare mutande conquista (sul momento) copie. Però un pur autorevole Mauro non decide da solo di condurre una campagna di questo tipo in cui fatti limitati e sostanzialmente privati vengono gonfiati con tutte le volgarità possibili. Qualcosa deve essere passato per la testa di un editore che sino a qualche minuto prima pensava a un dibattito in frac, e si trova ora a strillonare l’ultimo grido di qualche prostituta. La svolta del «gruppo» avviene in una fase di duro declino per De Benedetti. Prima ha tentato di separare le attività editoriali dalle industriali del gruppo Cir, infastidito dal figlio Rodolfo che lo critica per le sue scarse attitudini industriali (a cui in questo periodo si sono assommate anche assai insoddisfacenti speculazioni finanziarie di cui pure il vecchio De Benedetti era maestro), ma viene bloccato da fondi presenti nell’azionariato Cir che non ci stanno a caricarsi rischi per risolvere problemi di famiglia. E così i piani vengono dismessi e si cerca una nuova via. Che si presenta drammaticamente con le dimissioni da tutti gli incarichi di De Benedetti, e poi viene corretta in modi poco chiari, in dimissioni da tutto tranne che dal ruolo di «king maker» del gruppo Repubblica-Espresso. Intanto, ed è cosa di questi giorni, va in crisi il gioiellino Management & capitali, finanziaria di promozione di imprese che De Benedetti si era costruito (in un primo tempo anche in dialogo con Berlusconi) per dimostrare a una Confindustria che lo aveva tenuto fuori dagli organi dirigenti (durante gli strascichi del torbido caso Banco Ambrosiano) di che pasta era fatto. Anche in questo caso la liquidazione di M&C avviene in rottura con un socio fondamentale, Gianni Tamburi, che ritiene il prezzo fissato da De Benedetti (più storici alleati della famiglia Segre) basso: naturalmente opa e contro-opa sono una benedizione per gli azionisti, ma la rottura con Tamburi è un’altra prova che il tocco magico debenedettiano sulle questioni di finanza si è perso.
È questo il quadro di un uomo che ha a lungo coltivato l’idea di essere perno della nuova Italia: arrivando a proclamarsi tessera numero 1 del Partito democratico, essendo quello che faceva e disfaceva i leader della sinistra. Prevedendo per sé un ruolo non più da outsider ma «centrale». Da qui anche l’idea di una svolta moderata della sua stampa. E ora De Benedetti si vede malmesso economicamente e poco influente politicamente (anche nel dibattito sul Pd i Sergio Romano e i Michele Salvati stanno diventando più «pesanti» del suo bolso Eugenio Scalfari). In un’Italia che sta mettendo a posto molte cose ma che è ancora instabile, alcune persone anziane già protagoniste e ora sulla via del tramonto, che, invece di aiutare a conciliare la società, creano sconquassi per compensare le proprie frustrazioni e distruggere quel che non possono essere loro a costruire, hanno un peso consistente. Molto delle macerie che ingombrano questa nostra seconda Repubblica sono state prodotte da tipi così, come Oscar Luigi Scalfaro. De Benedetti ha l’aria di avere scelto questa strada.
Primo danno. È in discussione in Parlamento la legge sulle intercettazioni telefoniche. C’è uno scontro aspro fra maggioranza e opposizione attorno alle limitazioni introdotte dalla proposta del governo. Il capo dello Stato è intervenuto più volte, persino martedì, per sollecitare un dialogo che consenta di approvare una buona legge. Per fare una buona legge occorre che vi sia un clima adeguato e che nessuna delle parti si senta minacciata. Nel provvedimento che il Parlamento sta discutendo vi sono norme che riguardano la pubblicazione di atti per i quali vige il segreto istruttorio e sono previste sanzioni assai severe (non approvo l’idea della detenzione per i giornalisti) per chi pubblica documenti che violino il segreto istruttorio. Il tema di fondo è se vi sia una sfera privata che debba essere severamente tutelata oppure no. I fautori di un ammorbidimento delle norme sostengono che esistono già nell’ordinamento sanzioni adeguate. È del tutto evidente che la recente svolta impressa dal gruppo De Benedetti rafforzerà l’altra tesi, quella di chi pretende maggiori tutele e garanzie. La trattativa riparte in salita. Questo è un danno a breve, ce ne sono altri che vivranno nel tempo.
Secondo danno. Stanno cambiando le regole della politica e della vita pubblica. Lo spionaggio diventerà l’arma suprema della battaglia politica e delle guerre industriali e finanziarie. Tutto ciò che finora era stato disapprovato ora diventerà legittimo. Per decenni ci siamo battuti contro la politica dei dossier. I servizi segreti sono stati più volte smantellati per aver raccolto informazioni indebite sulla vita degli uomini pubblici. Recentemente è stata decapitata la sicurezza della Telecom per aver dato vita a un sistema di spionaggio parallelo. Per lustri è stata messa al bando la stampa scandalistica che alludeva a vicende private e sollecitava morbose curiosità sulle abitudini sessuali dei potenti. C’era un’Italia rispettabile che sapeva fare diga contro l’uso abnorme delle informazioni illecitamente raccolte. La trasparenza degli uomini pubblici richiedeva anche la trasparenza della battaglia politica che andava condotta con mezzi leciti e legali. La campagna dei giornali del gruppo De Benedetti ha rovesciato e buttato per aria tutta questa tradizione democratica elevando a sistema la rivelazione truffaldinamente recuperata. Mi chiedo come si potrà fare politica e affari in un paese in cui una cimice o un registratore possono prendere il posto di una trattativa alla luce del sole, di un braccio di ferro, dello scontro di idee.
Non leggete i giornali francesi e inglesi che hanno un odio profondo verso l’Italia”. Cosi’ Tarak Ben Ammar, finanziere franco-tunisino, presente nei consigli di amministrazione di Telecom Italia e di Mediobanca, commenta le polemiche relative alle vicende personali del premier Silvio Berlusconi. Per Ben Ammar ‘’se solo ci fosse un po’ di patriottismo sarebbe meglio, vorrei vedere cosa succederebbe se la stampa francese parlasse del suo presidente come fa certa stampa italiana. Credo che non abbiate bisogno di lezioni dagli stranieri per dirvi come vi dovete comportare”. ”Chi di noi puo’ giudicare la vita privata degli uomini. Se si comincia con questo – prosegue Ben Ammar – allora entriamo nelle case di tutti e non credo che tutti siano santi. Mischiare privato con la politica vuole dire non avere argomenti politici. Non ho lezioni da dare a La Repubblica, ma non so se fa bene all’Italia che e’ un grande Paese civile e per questo io sono qui in Mediobanca e in Telecom’.
Che si presenta drammaticamente con le dimissioni da tutti gli incarichi di De Benedetti, e poi viene corretta in modi poco chiari, in dimissioni da tutto tranne che dal ruolo di «king maker» del gruppo Repubblica-Espresso. Intanto, ed è cosa di questi giorni, va in crisi il gioiellino Management & capitali, finanziaria di promozione di imprese che De Benedetti si era costruito (in un primo tempo anche in dialogo con Berlusconi) per dimostrare a una Confindustria che lo aveva tenuto fuori dagli organi dirigenti (durante gli strascichi del torbido caso Banco Ambrosiano) di che pasta era fatto. Anche in questo caso la liquidazione di M&C avviene in rottura con un socio fondamentale, Gianni Tamburi, che ritiene il prezzo fissato da De Benedetti (più storici alleati della famiglia Segre) basso: naturalmente opa e contro-opa sono una benedizione per gli azionisti, ma la rottura con Tamburi è un’altra prova che il tocco magico debenedettiano sulle questioni di finanza si è perso.
L'udienza preliminare, nata da un'inchiesta della procura di Torino, riguarda i casi di esposizione all'amianto lavorato in quattro stabilimenti italiani dell'Eternit (Casale Monferrato, Cavagnolo nel Torinese, Ruviera in Emilia e Bagnoli in Campania). Il processo sarà il più grande, per numero di casi trattati e per il ruolo dei dirigenti coinvolti, mai celebrato per questioni legate all'amianto.
"Oggi è stata scritta una pagina importante nella tormentata storia dell'amianto in Piemonte, in Italia e credo in tutto il mondo". Questo il primo commento del procuratore Raffaele Guariniello all'uscita dall'aula. "C'è stato un esame approfondito da parte del gup - ha proseguito Guariniello - di tutte le questioni poste: il giudice ha ritenuto fondata la nostra impostazione tanto che ha respinto tutte le eccezioni della difesa". "Questa vicenda rimarca che in materia di sicurezza sul lavoro - ha concluso il magistrato - il ruolo della magistratura è fondamentale e serve che diventi ancora più incisivo".
"Non è una sentenza ma un decreto che dispone il giudizio", ha detto Cesare Zaccone, uno dei legali della difesa, parlando di una "decisione attesa". "Dovremo riformulare le nostre eccezioni e le nostre ragioni", ha aggiunto l'avvocato.
Fino a mezzo milione di posti di lavoro a rischio nel 2009 per effetto della crisi. È questa la prospettiva contenuta nel Rapporto sul mercato del lavoro del Cnel (Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro) riferita all'ipotesi peggiore per i prossimi mesi, quando «la disoccupazione continuerà ad aumentare e il ricorso agli ammortizzatori sociali sarà ancora significativo». In particolare, il rapporto messo a punto dalla commissione dell'informazione, indica la stima che nell'anno possa esserci una perdita di posti di lavoro tra le 350mila e le 540mila unità se misurati in forze di lavoro e tra le 620mila e le 820mila in termini di Ula (Unità lavorative annue). Quanto ai disoccupati, potrebbero aumentare in una forchetta che oscilla tra le 270mila e 460mila unità.
DISOCCUPAZIONE A FINE ANNO POCO AL DI SOTTO DEL 9% - Il tasso di disoccupazione a fine anno potrebbe collocarsi, nella peggiore delle ipotesi, «poco al di sotto del 9%». Nello specifico, le tabelle indicano un range tra il 7,9% come ipotesi ottimista e l'8,6% come ipotesi sfavorevole (8,3% lo scenario base). Peggio per le donne, per le quali il tasso di disoccupazione è atteso al 10% nel dato medio annuo, nello scenario base, rispetto all'8,5% del 2008, mentre per gli uomini passerebbe dal 5,5 al 7,1%. «Cruciali» nel determinare «caratteristiche e intensità della ripresa», viene quindi sottolineato, saranno gli ultimi mesi del 2009 ed i primi del 2010. Per questo motivo, «è importante che vi sia piena consapevolezza del fatto che nei prossimi mesi potrebbero rendersi necessari ulteriori interventi per estendere e rendere ancora più flessibili i sostegni al reddito, così come diventa determinante anche l'impulso che le stesse parti sociali e le autorità regionali potranno dare agli strumenti in loro possesso (enti bilaterali, fondi interprofessionali, risorse regionali e soprattutto comunitarie)». A oggi, comunque, viene inoltre rilevato, «gli ammortizzatori sociali si stanno dimostrando più efficaci del previsto nel fronteggiare la caduta dell'occupazione» e le risorse stanziate dal governo, anche con il concorso delle regioni, destinate agli strumenti ordinari e straordinari, «coprono la maggior parte dei lavoratori».
«Come detto, se la diffusione è stata fatta da persone che non erano consapevoli della secretazione, è un fatto disdicevole ma non c’è reato. Per quanto riguarda i giornalisti che hanno pubblicato le registrazioni, si potrebbe ipotizzare il reato di ricettazione se si provasse che hanno acquisito i nastri in modo illegittimo».
Molti «se». Ma in pratica?
«Non si riesce mai a dimostrare. E così restano solo profili civilistici di risarcimento del danno».
Crede sia necessaria una nuova legge?
«Sicuramente sì. È indispensabile un equilibrio. Già oggi il codice autorizza l’uso delle intercettazioni nei casi in cui risultino “assolutamente indispensabili”, e invece è diventato uno strumento ordinario di indagine. Però, autorizzarle solo quando ci sono evidenti indizi di colpevolezza mi sembra un controsenso. Quanto alla pubblicazione, servono dei “paletti” che garantiscano il diritto di informare, ma anche la tutela delle indagini e delle persone».
Quello che ieri abbiamo scoperto, in realtà, è che si può morire in casa o mentre si passeggia, al ritorno dal mare, solo perché un treno esplode. E abbiamo scoperto che il treno esplode non per colpa di un macchinista stanco o di un binario curato male, ma per colpa di convogli che arrivano dall’estero. Che sono pericolosi. E per i quali, per il momento, non è previsto nessun respingimento e nessun decreto d’espulsione.
Proviamo a dirlo ancor più chiaramente: il problema, a quanto pare, sono le norme europee. Da quando l’Ue si è allargata sono stati abbassati i parametri di sicurezza.
Vorrò esser breve e conciso per non tediare i lettori con mille argomentazioni confuse come quelle che leggo sopra: rassegnatevi, ormai lo si deve considerare perso, è indifendibile; pensate chi possa sostituirlo e auguri.
Naturalmente mi riferisco a di pietro, un vero "mostro" come scrive caldarola
Vediamo se ce la faccio a commentare punto per punto.
Primo danno. La discussione in Parlamento non deve tener conto di episodi specifici che accadono al Cavaliere Mascarato, ma individuare un giusto equilibrio che porti la magistratura a conoscenza di illeciti penali salvaguardando il diritto alla privacy di qualsiasi cittadino. Per inciso, vi faccio notare, che nel caso specifico, stiamo parlando di registrazioni private e non di intercettazioni telefoniche da parte degli organi giudiziari.
Secondo danno. "Vi fidereste di un paese che non conosce limiti all’indagine sulla vita personale di uomini pubblici: politici, giornalisti, funzionari, imprenditori, banchieri e ambasciatori?" La mia risposta è sì, voglio un paese dove i miei rappresentanti, anche di altra fede politica, siano e integerrimi e diano continuamente conto alla cittadinanza del loro operato, e questo anche a costo di qualche intercettazione.
Terzo danno: Il problema di Clinton fu quello di aver mentito al Congresso, e non quello di essersi fatto fare un pompino. In Italia il ladro maximo ha mentito solo alle televisioni, ma non nelle sedi ufficiali alle quali si è rifiutato di presentarsi (no parlamento? no impichment). Il pericolo di un'ingerenza della Chiesa esiste anche quando ci si presenta come paladini del Family-day.
Quarto danno. La battaglia distruttiva contro Berlusconi se l'è cercata da solo andando a puttane e mentendo sul fatto che è andato a puttane. La parola "tregua" non è mai stata sinonimo di "armistizio".
Quinto danno. La destra provveda a ricompattarsi e a pensare al dopo Berlusconi e non detti l'agenda alla sinistra di cosa deve fare, state tranquilli che vi verranno tranquillamente appresso come dei cagnolini comunque. Per quanto riguarda il comportamento di De Benedetti, ma voi pensate davvero che abbia sopportato l'esproprio della Mondadori? Testa d'asfalto si è fatto molti nemici durante la sua vita, ed alcuni di questi non potrà mai comprarseli. Prima o poi arriva l'ora di pagare tutto e questo sembra il momento. A quanto pare, almeno due dei nemici che si è fatto si sono messi d'accordo. Attenzione non se ne aggiungano altri alla cordata. Personalmente, per quanto riguarda il futuro della destra e di Berlusconi, la vedo dura.
Cari amici, come potete capire sto dalla parte di De benedetti , di murdoch e dei poteri forti che vogliono attaccare non solo berlusconi , ma il nostro paese perchè questo è un attacco all italia come lo è stato per craxi e andreotti (e non dimentichiamoci mattei).
Sono dispostoa tutto , a sputtanare il mio paese all estero come ha fatto di pietro , a insozzarmi le mani e guardare sotto le coperte di silvio purchè il mio paese sia devastato da de benedetti murdoch e di pietro.
Per questo mi vergogno di essere italiano...
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