venerdì 29 ottobre 2010

Guerra civile istituzionale, Davide Giacalone

Inviamo un messaggio chiaro ai giovani: se non sei un criminale, al Ros (Reparto operativo speciale) dei Carabinieri non ti pigliano, quindi è inutile fare domanda. L’ex comandante, Mario Mori, è accusato di concorso esterno con la mafia. L’attuale comandante, Giampaolo Ganzer, è stato condannato a quattordici anni di galera, in primo grado, quale trafficante di droga. Spero, con queste parole, di avere donato serenità ai tanti italiani che, poveri illusi, credono nello Stato e nella giustizia. Ora, invece, mi rivolgo agli italiani che cercano di capire quel che sta succedendo: è in corso, da anni, uno scontro durissimo fra apparati dello Stato. Una guerra civile interna alle istituzioni. La guerra non è segreta, né nascosta. Si svolge sotto gli occhi di tutti. Salvo che pochi sono in grado di capirla. Gli altri, la gente per bene che spera di potersi fidare, chiede solo di applaudire i veri combattenti contro la mafia. Ma non hanno ancora finito di battere le mani a uno che già arriva l’accusa del contrario. Allora applaudono chi li accusa, e poi vengono a sapere, con le mani ancora rosse, che le cose stanno diversamente. Io stesso ho tante volte scritto di queste cose, cercando d’essere il più lineare e semplice possibile. Poi ricevo messaggi dei lettori: in queste cose siciliane non ci si capisce un accidente. Lo ammetto, sono complicate. Ma non sono siciliane.
Mettiamo qualche fatto in fila, così cerchiamo d’intenderci. Una volta le indagini sulla mafia si facevano cercando di far parlare i picciotti e ricostruire gli alberi genealogici delle cosche. Tempo perso, roba buona per la letteratura. L’innovazione arriva con Giovanni Falcone, che trova in Rocco Chinnici (lo stesso che chiamo Paolo Borsellino a collaborare) un consigliere istruttore capace di capire e assecondare, la chiave è semplice: messe da parte tutte le minchionerie rituali e le fanfaluche sull’onore, la mafia è tale per avere potere e soldi, le indagini, quindi, vanno fatte sui soldi. Il che porta a rintracciare fili diversi, che collegano i mafiosi agli appalti truccati e questi alle aziende che partecipano e vincono, intente a riciclare i soldi provenienti da traffici illeciti. Fili che portano fuori dalla Sicilia.
Il primo a saltare in aria è Chinnici, il 29 luglio 1983, ucciso con tecnica definita “libanese”: una macchina imbottita d’esplosivo. Sistema che fece scuola. Falcone e Borsellino continuano a lavorare, non cambiando approccio. Incontrano mille difficoltà e, alla fine, sono entrambe dei perdenti. Mettetevelo in testa: prima ancora di morire avevano già perso, perché erano isolati e perché s’impediva loro di lavorare. La responsabilità di questo ricade, principalmente, sul Consiglio Superiore della Magistratura. Il teorizzatore politico della loro sconfitta ha nome e cognome: Luciano Violante.
Uno dei prodotti del loro metodo è il lavoro commissionato al Ros: il rapporto mafia-appalti. Prendete fiato, qui siamo al dunque. Falcone perde il posto e non riesce ad arrivare alla procura antimafia nel mentre sollecita questo rapporto. Borsellino incontra segretamente Mori per invitarlo ad andare avanti. Guardate le date: il 23 maggio 1992 Falcone viene ammazzato, il 19 luglio successivo tocca a Borsellino, il 20 luglio, il giorno appresso, la procura chiede l’archiviazione del rapporto, disposta il 14 agosto, in una Palermo assolata e vacanziera, in un’Italia che ancora non ha capito.
Mori punta il dito contro la procura di Palermo. La procura di Palermo accusa Mori e trascina i carabinieri del Ros sul banco degli imputati. Sergio Di Caprio, detto “Ultimo”, subisce il processo per non avere perquisito la casa di Riina. E’ assolto con formula piena. Poi dice: “in dibattimento non vedevo il pm, ma Riina”, erano i corleonesi che si stavano vendicando. Davanti a questa scena, ammesso che riesca a seguirla senza svenire, chi cavolo applaude il cittadino per bene, quello che ci vuole credere, quello che ha fiducia? Forse è meglio che si prenda a schiaffi, per svegliarsi.
Intanto la retorica un tanto al chilo celebra l’eroismo lungimirante delle due icone, che aveva provveduto a neutralizzare: Falcone e Borsellino. E mentre celebra e falsamente si commuove va sostenendo che tutti i loro collaboratori erano mafiosi. Se fossero vivi si potrebbe indagare anche loro, siccome sono morti ammazzati, si fa fare loro la parte degli scemi.
Queste non sono faccende sicule, questa è la merda calda della guerra civile interna alle istituzioni. Quelli che si dimenano per apparire e vivere la loro giornata da protagonisti, i procuratori che amano guardarsi allo specchio e riconoscersi eredi di coloro che non hanno manco capito, quelli che cercano la ragione politica che spieghi lo scontro ventennale, sono solo contorno. Folclore. Lo scontro di potere si svolge in un’altra stanza, più vicina ai soldi, alle società apparentemente pulite, magari quotate, al riciclaggio che viaggia intorno al mondo, con i canali della finanza. Nulla di occulto, ma molto forte e convincente, coinvolgente mondi e interessi diversi. Capace di comprare. Al pubblico s’ammollano le figurine Panini della raccolta retorica per allocchi.
Bene, ora possiamo tornare ad occuparci delle cose serie, dalle quali dipende il nostro avvenire collettivo: con chi s’è trastullato, ieri notte, il presidente del Consiglio? Ci avete fatto caso? tutte meridionali.

Nessun commento: