In principio fu il politicamente corretto.
Una magia linguistica che non è servita, per dire, a ridare la vista ai ciechi, ma in compenso li ha trasformati in “non-vedenti”, senza peraltro, per la verità, migliorare tangibilmente (almeno in Italia, dalle altre parti non sappiamo) le loro condizioni di vita.
Alla base di questo atteggiamento, diffuso in più o meno tutto il mondo occidentale, c’è, fondamentalmente, la convinzione che si debbano moderare i toni del linguaggio per evitare di offendere singole persone o categorie ritenute “svantaggiate”, più deboli, spesso discriminate per le loro condizioni oggettive più che per loro colpa.
L’intento è sicuramente lodevole, i risultati un po’ meno: quello che era un atteggiamento sostanzialmente condivisibile si è tramutato in un campo minato di divieti non scritti, proteiformi, per cui per tutti, e tanto più per un personaggio pubblico, è pericoloso dire praticamente qualunque cosa, poiché chiunque potrebbe saltar su strepitando di sentirsi offeso (e, naturalmente, pretendere immediata e pubblica ammenda) per la categoria che ritiene di rappresentare.
Insomma, questa ormai onnipresente e onnicomprensiva correttezza politica ha prodotto proprio il contrario di quella società più aperta alle minoranze che voleva realizzare: ci ritroviamo tutti l’un contro l’altro armati, tutti appollaiati come falchi ad aspettare che il nemico dica qualcosa di “offensivo” per poter cominciare ad elevare grida di sdegno, indignati come donne, come uomini, come vecchi, come giovani, come qualunque cosa in quel momento ci faccia comodo essere.
A queste condizioni, pare che la realtà delle cose conti meno della loro definizione: gli strilli d’indignazione partono non a seconda di ciò che l’avversario fa, ma di come lo chiama. Nessuno s’indigna più, banalmente e semplicemente, come persona, ma ci si indigna ”a pezzi”, per argomenti, per aree tematiche, con conseguenze disastrose per il dibattito politico.
Quando non si riescono più a sostenere delle argomentazioni logiche, ci si rifugia nella comoda scappatoia del sentirsi offesi come esponenti di una qualunque minoranza. Il risultato?
Il risultato è che rimanere minoranza è diventato quanto mai comodo: perciò, visto che tutti sono occupati a salvaguardare i privilegi particolari – quasi sempre solo verbali – derivanti dal far parte di questo o di quel gruppo sociale “discriminato”, quasi nessuno ritiene che gli convenga impegnarsi seriamente in battaglie volte ad eliminare le discriminazioni.
Per molto tempo, in Italia ma non solo, il monopolio del politicamente corretto è appartenuto alla sinistra, che, se da una parte si faceva promotrice della ribellione contro l’ordine costituito, dall’altra cercava di costituire secondo i propri canoni un nuovo ordine, i cui cardini fossero i concetti di “giusto”, “rispettoso”, “tollerante”. Sulla carta, un progetto bellissimo.
Peccato però che, per realizzarlo, negli ultimi trent’anni abbiamo visto salire in cattedra personaggi sempre più improbabili, convinti di essere “la parte migliore del Paese” in virtù della loro appartenenza politica, i quali avevano lo scopo dichiarato di insegnare la giustizia e il rispetto a noialtri incolti barbari (nonché, ça va sans dire, “parte peggiore del Paese”).
Date le premesse, non c’è bisogno di un padre della psicanalisi per spiegare come mai, sulla stragrande maggioranza del popolo italiano, il politically correct non abbia fatto granché presa; sentirsi continuamente sul banco degli imputati di un invisibile tribunale (la cui giuria, per di più, è formata da gente tipo Massimo Giannini) non è esattamente, se non per una piccola minoranza di masochisti, un quadro ideale di felicità.
In un contesto così subdolamente soffocante, l’irriverenza di un Berlusconi è arrivata come una ventata d’aria fresca: ecco finalmente un politico che sembra dire pane al pane, che sembra dare importanza alla sostanza e non alla forma, che non si mette in cattedra a giudicare chi non dice “diversamente azzurro” per indicare il colore rosa.
Esasperati dal politicamente corretto, stufi di sentire grida di scandalo ogni volta che cercavano di esprimere un’opinione leggermente fuori dai canoni ammessi, molti, tra cui chi scrive, non si sono sentiti di condannare troppo duramente certi episodi, pur obiettivamente inopportuni, della vita politica del nostro premier, come le corna nelle foto ufficiali o il chiamare Barack Obama “abbronzato”.
Giusti o sbagliati che siano, comunque, i modi diretti di Berlusconi si sono imposti nella politica italiana, innescando, all’estremo opposto rispetto ad una sinistra sempre più bacchettona, un’escalation di esternazioni e gesti sempre più triviali. La strategia, a quanto pare, ha funzionato: gli italiani lo amano, l’opposizione non riesce a tenergli testa (a meno, forse, di non arruolare quel raffinato gentleman di Oliviero Toscani), Lukashenko e Putin lo adorano (di Gheddafi, nell’incertezza del momento, meglio non parlare), insomma, la sua intrinseca scorrettezza politica ha vinto su tutto il fronte.
Da qualche tempo, però, lo spettro del politicamente corretto ha cominciato ad aggirarsi anche nel PDL. L’ultimo, in ordine di tempo, ad averlo incrociato è stato il senatore Alessio Butti, che, ispirato, ha creato il seguente capolavoro di acrobazia verbale: “Minzolini è fazioso, ma in modo sano“.
Una frase che fa il paio con l’arrampicata sugli specchi di Maurizio Sacconi, il quale non ci sta a passare per uno che segue in tutto e per tutto i dettami del Vaticano, perciò si definisce “laico”, ma in modo “adulto”. Che poi la “laicità adulta” coincida in maniera quasi perfetta con l’ “ateismo devoto”, che coincide a sua volta con l’ascoltare, in materia di scienza, i vescovi e non i medici, beh, questa è una questione secondaria.
Presidente Berlusconi, dia retta: se li lascia fare, questi tra un anno ce li ritroviamo a bacchettare i non-conformi peggio di Concita De Gregorio.
Immagini la scena: quando qualche prete vecchio stampo oserà definirsi “clericale”, gli piomberà addosso Sacconi, gridando “No! No! Cattivo! Clericale è una parolaccia! Devi dire laico adulto!”
La prego, Presidente, usi i suoi poteri taumaturgici, cerchi di frenare questa deriva. La smetta di farsi “contestualizzare” le bestemmie, non ceda a chi nelle sue (presunte) elargizioni di denaro a miss Ruby Rubacuori vede nient’altro che carità cristiana, torni a fare corna anziché baciare mani (a conti fatti, le corna convenivano di più), e soprattutto, per l’amor del Cielo, la smetta di fare continuamente l’offeso.
Guardi che così i suoi elettori non si divertono più, eh. Ci faccia questo piacere, ritorni agli ameni siparietti di una volta che ci facevano tanto ridere.
Altrimenti, beh, altrimenti… noi italiani abbiamo un carattere piuttosto birichino, dovrebbe saperlo meglio di chiunque altro.
Prima o poi, per dispetto, potremmo pure finire per eleggere una persona seria. (Libertiamo)
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L'indignatore a cachet Roberto Saviano ha un sito gestito dal suo staff, attraverso il quale si possono chiedere informazioni per appuntamenti ed eventi. Ormai Saviano emula Grillo nel fare cassetta. Entrambi fanno finta di avere un solido retroterra culturale, ma uno ha alle spalle Drive In, l'altro l'editing abile della sua agenzia letteraria e della Mondadori (poiché se scrivesse come parla, sarebbe un disastro). Addirittura Saviano, che scriveva fre lance per il Manifesto (che mai lo ha ritenuto degno di assunzione) e raccoglieva ritagli di cronache sul crimine, ha spacciato addirittura come suoi autori di riferimento Ernst Jünger, Ezra Pound, Louis Ferdinand Céline, Carl Schmitt, intellettuali del pantheon della Destra culturale che dubito egli abbia letto nella loro interezza o abbia capito nella loro complessità. Ma la stranezza è un altra: questi autori, aristocratici del pensiero, non possono essere definiti né democratici né liberali. Saviano se ne appropria per darsi un tono, perché se avesse citato Marx o Gramsci sarebbe stato sbugiardato subito con una sola domanda. E allora, chiedetevi come un modesto cronista campano divenuto incomprensibilmente un vate dell'intellettualità radical-chic, con all'attivo un romanzo di attualità camorristica, non abbia fatto uno sforzo di volontà nei suoi trent'anni per, non dico studiare, ma almeno "annusare" il pensiero del suo corregionale Benedetto Croce, la cui filosofia liberale ha ancora molto da dire alla società. Speriamo che Saviano lo "annusi" nei prossimi trent'anni, anziché perdere tempo con le ovvie prediche da Fazio, un altro che fa finta di essere colto, con i menabò che gli preparano.
Fabrizio Spinella
ERRATA CORRIGE sostituire il testo precedente con questo.
L'indignatore a cachet Roberto Saviano ha un sito gestito dal suo staff, attraverso il quale si possono chiedere informazioni per appuntamenti ed eventi. Ormai Saviano emula Grillo nel fare cassetta. Entrambi fanno finta di avere un solido retroterra culturale, ma uno ha alle spalle Drive In, l'altro l'editing abile della sua agenzia letteraria e della Mondadori (poiché se scrivesse come parla, sarebbe un disastro). Addirittura Saviano, che scriveva free lance per il Manifesto (che mai lo ha ritenuto degno di assunzione) e raccoglieva ritagli di cronache sul crimine, ha spacciato addirittura come suoi autori di riferimento Ernst Jünger, Ezra Pound, Louis Ferdinand Céline, Carl Schmitt, intellettuali del pantheon della Destra culturale che dubito egli abbia letto nella loro interezza o abbia capito nella loro complessità. Ma la stranezza è un'altra: questi autori, aristocratici del pensiero, non possono essere definiti né democratici né liberali. Saviano se ne appropria per darsi un tono, perché se avesse citato Marx o Gramsci sarebbe stato sbugiardato subito con una sola domanda. E allora, chiedetevi come un modesto cronista campano divenuto incomprensibilmente un vate dell'intellettualità radical-chic, con all'attivo un romanzo di attualità camorristica, non abbia fatto uno sforzo di volontà nei suoi trent'anni per, non dico studiare, ma almeno "annusare" il pensiero del suo corregionale Benedetto Croce, la cui filosofia liberale ha ancora molto da dire alla società. Speriamo che Saviano lo "annusi" nei prossimi trent'anni, anziché perdere tempo con le ovvie prediche da Fazio, un altro che fa finta di essere colto, con i menabò che gli preparano.
Fabrizio Spinella
La Herling: «Su Croce,
Saviano inventa storie»
La nipote del filosofo critica un capitolo di «Vieni via
con me» sulla ricostruzione del terremoto del 1883
Benedetto Croce
di MARTA HERLING
Caro direttore,
in uno dei suoi monologhi televisivi ora raccolti nel volume Vieni via con me (Feltrinelli), Roberto Saviano afferma (Il terremoto a L'Aquila, p. 7): «Nel luglio del 1883 il filosofo Benedetto Croce si trovava in vacanza con la famiglia a Casamicciola, a Ischia. Era un ragazzo di diciassette anni. Era a tavola per la cena con la mamma, la sorella e il padre e si accingeva a prendere posto. A un tratto, come alleggerito, vide suo padre ondeggiare e subito sprofondare sul pavimento, mentre sua sorella schizzava in alto verso il tetto. Terrorizzato, cercò con lo sguardo la madre e la raggiunse sul balcone, da cui insieme precipitarono. Svenne e rimase sepolto fino al collo nelle macerie. Per molte ore il padre gli parlò, prima di spegnersi. Gli disse: "Offri centomila lire a chi ti salva". Benedetto sarà l’unico supersite della sua famiglia massacrata dal terremoto».
Da dove l’autore di Gomorra ha tratto la ricostruzione di quella tragedia? Dalla sua mente di profeta del passato e del futuro, di scrittore la cui celebrità meritata con la sua opera prima, è stata trascinata dall’onda mediatica e del mercato editoriale, al quale è concesso di non verificare la corrispondenza fra le parole e fatti, o come insegnano gli storici, fra il racconto, la narrazione degli eventi, e le fonti, i documenti che ne sono diretta testimonianza. Uno scrittore che vuole riscrivere quello che altri hanno scritto non con le sole parole ma con l’esperienza vissuta: dal terremoto di Casamicciola, ad Auschwitz, al gulag, alla Kolyma. Dove Saviano ha orecchiato la storia che racconta nell’incipit del suo monologo? Certo non dalla lettura del testo del suo protagonista principale poiché sopravvissuto, Benedetto Croce, testo che si è tramandato intatto senza una parola in più di commento o di spiegazione, nella nostra memoria famigliare e nelle biografie del filosofo, che lo riportano a illustrare quella pagina tragica della vita sua e dei suoi cari. Ora lo citiamo integralmente per il rispetto e la considerazione che abbiamo dei milioni di ascoltatori del Saviano in versione televisiva e dei lettori, della sua versione a stampa. E per la dignità del ricordo di chi quella tragedia ha vissuto e potuto testimoniare.
Nelle Memorie della mia vita (10 aprile 1902), Benedetto Croce scrive: «Nel luglio 1883 mi trovavo da pochi giorni, con mio padre, mia madre e mia sorella Maria, a Casamicciola, in una pensione chiamata Villa Verde nell’alto della città, quando la sera del 29 accadde il terribile tremoto. Ricordo che si era finito di pranzare, e stavamo raccolti tutti in una stanza che dava sulla terrazza: mio padre scriveva una lettera, io leggevo di fronte a lui, mia madre e mia sorella discorrevano in un angolo l’una accanto all’altra, quando un rombo si udì cupo e prolungato, e nell’attimo stesso l’edifizio si sgretolò su di noi. Vidi in un baleno mio padre levarsi in piedi e mia sorella gettarsi nelle braccia di mia madre; io istintivamente sbalzai sulla terrazza, che mi si aprì sotto i piedi, e perdetti ogni coscienza. Rinvenni a notte alta, e mi trovai sepolto fino al collo, e sul mio capo scintillavano le stelle, e vedevo intorno il terriccio giallo, e non riuscivo a raccapezzarmi su ciò che era accaduto, e mi pareva di sognare. Compresi dopo un poco, e restai calmo, come accade nelle grandi disgrazie. Chiamai al soccorso per me e per mio padre, di cui ascoltavo la voce poco lontano; malgrado ogni sforzo, non riuscii da me solo a districarmi. Verso la mattina, fui cavato fuori da due soldati e steso su una barella all’aperto. Mio cugino fu tra i primi a recarsi da Napoli a Casamicciola, appena giunta notizia vaga del disastro. Ed egli mi fece trasportare a Napoli in casa sua. Mio padre, mia madre e mia sorella, furono rinvenuti solo nei giorni seguenti, morti sotto le macerie: mia sorella e mia madre abbracciate. Io m’ero rotto il braccio destro nel gomito, e fratturato in più punti il femore destro; ma risentivo poco o nessuna sofferenza, anzi come una certa consolazione di avere, in quel disastro, anche io ricevuto qualche danno: provavo come un rimorso di essermi salvato solo tra i miei, e l’idea di restare storpio o altrimenti offeso mi riusciva indifferente» .
Non è necessario, né opportuno, sottoporre i due testi a un confronto per evidenziarne le discrepanze, che balzano agli occhi di chiunque li legga l’uno dopo l’altro. Fra tutti i particolari che riporta Saviano, e che non corrispondono alla testimonianza di Croce, uno colpisce: non solo perché inventato dallo scrittore (licenza inaccettabile quando si parla di fatti realmente accaduti), ma improponibile in sé. «Per molte ore il padre gli parlò, prima di spegnersi. Gli disse: “ Offri centomila lire a chi ti salva”». Quel parlare nell’agonia, separati, soffocati e sepolti dalle macerie...; quella cifra inimmaginabile per l’anno 1883, perché non bisogna essere economisti per sapere che il valore della lira a quell’epoca impedisce di supporre una simile offerta dalla mente e soprattutto dalle tasche degli uomini di allora. Forse Saviano ha orecchiato la testimonianza di un turista tedesco in vacanza a Casamicciola nel 1883, il quale in un libretto di recente pubblicato dichiara di aver ascoltato la voce di chi identifica con Benedetto Croce, dalle macerie, offrire una certa somma per essere liberato? Ma come può essere credibile nella foga del suo monologo? Perché nel messaggio che Saviano ci vuole comunicare e imporre, questo fa intendere: «mazzette» allora per i terremoti, «mazzette» oggi, la storia si ripete e soprattutto si perpetuano i grandi mali del nostro Mezzogiorno, mali atavici dai quali non può essere immune nessuno di noi, che abitiamo queste terre e abbiamo vissuto i loro terremoti — ultimi quelli dell’Irpinia del 1980 e dell’Abruzzo del 2009 — proprio perché non ne sarebbe stato immune, anche se inconsapevolmente per la necessità imposta dalla tragedia, uno dei loro più illustri figli. Caro Saviano, mi dispiace, c’è anche chi non offre e non riceve «le mance e le mazzette» : questa è mistificazione della storia e della memoria.
Saviano è un Cialtrone e un Mistificatore.
I suoi libri sono pieni di inesattezze,si appropia di idee non sue,polemizza con la mondadori ma prende i suoi bei soldoni, parla di moralità ma non di suo padre, inventa dei fatti di sana pianta, parla di lotta alla mafia salvo diffamare l associazione impastato (con tanto di querela), eccetera eccetera
Avete provato ad ascoltare Saviano per mezzora, e dopo la “standig ovation” provare a ripetere cosa ha detto? Saviano non dice nulla, mostra solo la faccia.
Saviano è l’uomo del potere. Per capire bisogna fare il paragone con Peppino Impastato:
–Saviano è invitato dappertutto, pubblica articoli sui maggiori quotidiani del mondo, gli daranno il premio Nobel, come a Obama… Impastato non lo invitava nessuno, se ne parlava il meno possibile, nessuno gli avrebbe dato la laurea honoris causa o fatto fare un programma alla tv di stato.
–Saviano è favorevole alle guerre schifose americane, è filoamericano al 100%, è un "Debenedettiano" Doc, che va in vacanza nella villa al mare di Corrado Passera, Impastato era anti imperialista.
–A Saviano danno la scorta, a Impastato la scorta non la dava nessuno.
–Saviano si fa i soldi, Impastato era povero.
–Saviano non lo tocca nessuno, Impastato lo hanno ucciso, e le indagini furono insabbiate.
SAVIANO è UN UOMO CHE POSA, ATTIVO SOSTENITORE DI TUTTE LE GUERRE SCHIFOSE AMERICANE, CHE VIENE PROPOSTO COME MODELLO ALLA GIOVENTU IN UN PROGETTO MEDIATICO DI SOSTEGNO ALLA POLITICA AMERICANA IN ITALIA TARGATO REPUBBLICA/ESPRESSO/PD.
IMPASTATO ERA UN GUERRIERO, SAVIANO è STRUMENTO DI QUELLA MAFIA DEGLI AFFARI CHE CI FOTTE I SOLDI CON BANCHE, SIGARETTE, FARMACI E PETROLIO.
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