venerdì 28 settembre 2012

Note sulla Costituzione - X - Lo Sciopero. Gianni Pardo

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Il diritto di sciopero è fondamentale in un Paese libero. Il dogma secondo cui lo Stato è talmente saggio da non sbagliare in nessun caso le modalità del lavoro è stato concepibile solo nelle dittature comuniste: dove infatti lo sciopero era vietato. Se invece vige l’economia di mercato, come i datori di lavoro devono – anzi, dovrebbero - essere liberi di proporre una paga ai lavoratori, i lavoratori dovrebbero essere – anzi, sono – liberi di lottare per migliori condizioni di retribuzione o di lavoro. Con lo sciopero. E l’art.40 stabilisce: “Il diritto di sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo regolano”. La parola diritto per una volta è usata in senso proprio. Purtroppo per i sindacati, essa è seguita dall’accenno alle “leggi che lo regolano”: una limitazione cui l’intero sinistrismo italiano ha tanto vivacemente reagito da riuscire a vietare, per decenni, che a quella parte dell’articolo fosse data attuazione. Dal 1948 al 1990, per quarantadue anni, il diritto di sciopero è stato totale: anche quando ha avuto puri scopi politici, anche quando ha danneggiato l’economia della nazione, anche quando ha violato la libertà dei cittadini. Non è qualche antisindacalista viscerale che sostiene questa tesi: lo afferma la legge 12 giugno 1990, n.146. Se infatti, in occasione dello sciopero, essa ha sentito l’esigenza di garantire, con norme precise, “il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà ed alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all’assistenza e previdenza sociale, all’istruzione ed alla libertà di comunicazione” dei cittadini, è segno che prima questi stessi diritti non erano garantiti. Anzi erano spesso violati. Purtroppo, quando gli serve gli italiani si dichiarano proni veneratori di una Costituzione più intangibile del Corano, quando essa gli dà fastidio impongono che sia dimenticata. Magari per più di quarant’anni.
Fra l’altro, che delle norme fossero necessarie è provato dal fatto che non solo si è votata la legge del 1990 ma se ne aggiunta una seconda (11 aprile 2000 n.83): tanto che il testo finale è un oceano di circa quattromila parola. Cinque volte un normale articolo di giornale.
Tutto ciò non ha tuttavia diminuito di molto il potere dei sindacati. Essi sono stati tanto potenti da contribuire a portarci alla situazione economica attuale: con i capitali italiani che fuggono (per non parlare della Fiat) gli stranieri che non investono da noi e con prospettive così negative da non escludere il fallimento del Paese. L’accusa ai sindacati sembra gravissima ma così non è: essi infatti non sono i primi colpevoli.
Un bambino fa i capricci perché l’esperienza gli ha insegnato che, in quel modo, ottiene quello che vuole. Se egli si intestardisce ad avere un cibo che gli fa male, e se i suoi genitori, malgrado le controindicazioni, glielo concedono, di chi sarà la colpa del malessere del bambino? Nello stesso modo, i sindacati abusarono spesso del loro potere ma dopo tutto essi erano emanazioni di una delle parti in conflitto. Che i loro associati avessero ragione o che avessero torto, essi li sostenevano. Stava alla magistratura e al Parlamento, realizzare l’equilibrio. E soprattutto stava allo Stato arbitrare in modo che nessuno prevaricasse. Se invece, per oltre quarant’anni, non si è avuto il coraggio di mettere in discussione un potere irresponsabile, il risultato non poteva che essere quello che ottengono i genitori coi figli viziati.
Alle leggi che regolano lo sciopero si è arrivati quando l’economia era stagnante, quando ci si avviava alla situazione attuale e quando il debito pubblico era già esploso: nel 1991-92 eravamo già al 100% del Pil e vent’anni dopo siamo solo al 120%. Per decenni si sono create aspettative irrealistiche, una sensazione di onnipotenza (lo sciopero risolve qualunque problema) e soprattutto l’idea che l’economia possa prescindere dal dare e dall’avere.
Ora non si sa più da che lato risparmiare. Non si sa da dove trarre risorse per pagare gli interessi sul debito pubblico. Non si sa come rilanciare l’economia. Non si sa come salvare l’Italia da una crisi che potrebbe farla sprofondare. Le conseguenze delle follie dei genitori, incoraggiati da Dc e Pci, ricadono si figli e nipoti, ormai intrappolati in una situazione senza uscita. Con un un modello sociale che promette solo disoccupazione e miseria. La Costituzione, col suo “diritto al lavoro”,0 sembra irridere i disoccupati.(il Legno storto)

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