C’è molta differenza tra l’attuale situazione e quella che, una ventina di anni fa, caratterizzò la vicenda di Mani Pulite. Allora il disegno politico sottostante a quell’operazione (vi fu davvero una regia dei servizi segreti?) tendeva a colpire una parte del mondo politico e a salvarne un’altra (la cosa divenne più volte esplicita), a cui sarebbe stato consegnato su di un piatto d’argento il potere e il compito di governare il Paese. I registi seppero persino distinguere tra le correnti e le diverse tendenze interne ai partiti: della Dc salvarono le componenti di sinistra, dell’ex Pci colpirono settori dei c.d. miglioristi. Ma non applicarono mai, visibilmente, l’assunto
Sono note le vicende che seguirono quell’evento: da allora a Silvio Berlusconi venne dichiarata una guerra implacabile che è ancora in atto, le cui conseguenze furono di volta in volta contraddistinte da sconfitte, risalite, vittorie e di nuovo sconfitte, in un braccio di ferro, senza risparmio di colpi, che ha dato avvio ad una lotta politica priva di principi, che ha asservito ed abusato dei più delicati meccanismi istituzionali e logorato il tessuto democratico del Paese. Ma in tutti questi anni, alcuni settori politici, economici ed istituzionali, furono risparmiati. E ad essi si poteva fare ricorso nei momenti difficili. Si pensi al ruolo svolto dalla Banca d’Italia. Ma anche a quello degli stessi governi di centro sinistra che, con Romano Prodi, furono protagonisti delle scelte fondamentali compiute dal Paese per l’Unione europea, il suo allargamento e la moneta unica.
Questo tessuto connettivo oggi è messo in discussione: il vento e le forze dell’antipolitica – alimentati con impegno e meticolosità – non salvano nessuno e soprattutto – questo è il guaio – non sono in grado di rappresentare un’alternativa. Non sono capaci di nessuna proposta politica idonea a gestire una società complessa e in grave difficoltà; sanno solo fomentare un odio fine a se stesso, andare alla ricerca di
Queste analisi, tuttavia, sono ormai tanto palesi da divenire inutili sottolineature di quanto accade, tutti i giorni, sotto i nostri occhi. Chi scrive – che ha una visione oltremodo pessimistica del futuro – non riesce, però, a capacitarsi del ruolo che, in una fase delicata come l’attuale, svolge l’informazione. Capisco che si tratta di un discorso delicato che rischia di essere mal interpretato, anche garantendo di non avere alcuna nostalgia per la censura (e l’autocensura) e le
Ma ciò che trovo ancor più inaccettabile è il modo con cui i media presentano la vita economica e sociale del Paese. Il motivo comune di tutti i talk show televisivi è quello dello sfascio senza speranza, della rabbia priva di sbocchi. Anche i casi delle grandi vertenze del lavoro vengono presentati in modo esasperato come se si dovesse parlare alla pancia e non alla testa dei cittadini. Consideriamo per un momento le vicende della CarboSulcis e dell’Alcoa, in Sardegna. Quei lavoratori in lotta vanno sicuramente tutelati anche sul piano dell’informazione. Ma perché nessuno si sforza di spiegare che quella miniera e quella fabbrica chiudono non perché i padroni sono cattivi e i governi inefficienti, ma perché vi sono regole di mercato e condizioni produttive che non consentono di mantenere in vita, in modo proficuo, quelle attività? E che non ha senso impiegare risorse importanti per sostenere posti di lavoro divenuti improduttivi, ma che, anzi, questo è il modo per remare contro lo sviluppo?
I sindacati ne sono consapevoli, ma anche loro vengono travolti dall’impatto sull’opinione pubblica, che ad un certo punto – si veda l’atto di quell’operaio che si è tagliato un braccio – induce a gesti clamorosi sul piano mediatico, come se fossero i soli a contare. Certo, non bastano le promesse, servono i fatti. Ma è un conto condurre campagne orientate a cercare delle alternative, un altro difendere accanitamente la realtà esistente se è ormai insostenibile. Io poi continuo a non capire perché i sardi, che vivono in un’isola tra le più belle del mondo, non riescano ad apprezzare e a valorizzare l’industria del turismo (che per esempio ha fatto la fortuna della riviera romagnola), mentre continuino a coltivare alcuni dei mestieri – quali la pastorizia e il lavoro in miniera – tra i peggiori come condizioni di lavoro e di vita. Le culture, le tradizioni sono importanti, ma possono e devono poter cambiare. (l'Occidentale)
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