lunedì 3 settembre 2012

Se vi fosse una corretta informazione, l'Italia sarebbe molto meno allo sfascio. Giuliano Cazzola

Che in Italia si stia giocando da tempo allo sfascio (nell’interesse di chi non è dato comprendere) sembra evidente. L’offensiva delle si è spinta fino ad assediare il Colle, l’ultima Cittadella della tenuta del sistema politico-istituzionale, che, se dovesse cadere, lascerebbe il Paese in mano al caos.

C’è molta differenza tra l’attuale situazione e quella che, una ventina di anni fa, caratterizzò la vicenda di Mani Pulite. Allora il disegno politico sottostante a quell’operazione (vi fu davvero una regia dei servizi segreti?) tendeva a colpire una parte del mondo politico e a salvarne un’altra (la cosa divenne più volte esplicita), a cui sarebbe stato consegnato su di un piatto d’argento il potere e il compito di governare il Paese. I registi seppero persino distinguere tra le correnti e le diverse tendenze interne ai partiti: della Dc salvarono le componenti di sinistra, dell’ex Pci colpirono settori dei c.d. miglioristi. Ma non applicarono mai, visibilmente, l’assunto ai vertici di quel partito. Per loro disgrazia (e per nostra fortuna) i loro calcoli andarono in fumo perché un versatile imprenditore (che Achille Occhetto minacciava di mandare ) si accorse che e sfidò la dei Progressisti, raccogliendo, intorno ad una classe dirigente improvvisata, la gran parte dell’elettorato dei partiti spazzati via dalla offensiva giudiziaria.

Sono note le vicende che seguirono quell’evento: da allora a Silvio Berlusconi venne dichiarata una guerra implacabile che è ancora in atto, le cui conseguenze furono di volta in volta contraddistinte da sconfitte, risalite, vittorie e di nuovo sconfitte, in un braccio di ferro, senza risparmio di colpi, che ha dato avvio ad una lotta politica priva di principi, che ha asservito ed abusato dei più delicati meccanismi istituzionali e logorato il tessuto democratico del Paese. Ma in tutti questi anni, alcuni settori politici, economici ed istituzionali, furono risparmiati. E ad essi si poteva fare ricorso nei momenti difficili. Si pensi al ruolo svolto dalla Banca d’Italia. Ma anche a quello degli stessi governi di centro sinistra che, con Romano Prodi, furono protagonisti delle scelte fondamentali compiute dal Paese per l’Unione europea, il suo allargamento e la moneta unica.

Questo tessuto connettivo oggi è messo in discussione: il vento e le forze dell’antipolitica – alimentati con impegno e meticolosità – non salvano nessuno e soprattutto – questo è il guaio – non sono in grado di rappresentare un’alternativa. Non sono capaci di nessuna proposta politica idonea a gestire una società complessa e in grave difficoltà; sanno solo fomentare un odio fine a se stesso, andare alla ricerca di , fare promesse irrealizzabili, indicare scenari che porterebbero al disastro. Questa offensiva delle forze del caos non risparmia nessuno, neppure il tentativo – rappresentato dal governo Monti – di mettere in campo la longa manus dei poteri forti e delle grandi lobby europee ed internazionali.

Queste analisi, tuttavia, sono ormai tanto palesi da divenire inutili sottolineature di quanto accade, tutti i giorni, sotto i nostri occhi. Chi scrive – che ha una visione oltremodo pessimistica del futuro – non riesce, però, a capacitarsi del ruolo che, in una fase delicata come l’attuale, svolge l’informazione. Capisco che si tratta di un discorso delicato che rischia di essere mal interpretato, anche garantendo di non avere alcuna nostalgia per la censura (e l’autocensura) e le (di carta e non in carne ed ossa). Senza dover ricorrere ad iniziative legislative, sarebbe sufficiente che gli organi di informazione adottassero un codice deontologico. Perché prestarsi allo delle persone tramite la pubblicazione di intercettazioni telefoniche prive di qualunque rilievo penale?

Ma ciò che trovo ancor più inaccettabile è il modo con cui i media presentano la vita economica e sociale del Paese. Il motivo comune di tutti i talk show televisivi è quello dello sfascio senza speranza, della rabbia priva di sbocchi. Anche i casi delle grandi vertenze del lavoro vengono presentati in modo esasperato come se si dovesse parlare alla pancia e non alla testa dei cittadini. Consideriamo per un momento le vicende della CarboSulcis e dell’Alcoa, in Sardegna. Quei lavoratori in lotta vanno sicuramente tutelati anche sul piano dell’informazione. Ma perché nessuno si sforza di spiegare che quella miniera e quella fabbrica chiudono non perché i padroni sono cattivi e i governi inefficienti, ma perché vi sono regole di mercato e condizioni produttive che non consentono di mantenere in vita, in modo proficuo, quelle attività? E che non ha senso impiegare risorse importanti per sostenere posti di lavoro divenuti improduttivi, ma che, anzi, questo è il modo per remare contro lo sviluppo?

I sindacati ne sono consapevoli, ma anche loro vengono travolti dall’impatto sull’opinione pubblica, che ad un certo punto – si veda l’atto di quell’operaio che si è tagliato un braccio – induce a gesti clamorosi sul piano mediatico, come se fossero i soli a contare. Certo, non bastano le promesse, servono i fatti. Ma è un conto condurre campagne orientate a cercare delle alternative, un altro difendere accanitamente la realtà esistente se è ormai insostenibile. Io poi continuo a non capire perché i sardi, che vivono in un’isola tra le più belle del mondo, non riescano ad apprezzare e a valorizzare l’industria del turismo (che per esempio ha fatto la fortuna della riviera romagnola), mentre continuino a coltivare alcuni dei mestieri – quali la pastorizia e il lavoro in miniera – tra i peggiori come condizioni di lavoro e di vita. Le culture, le tradizioni sono importanti, ma possono e devono poter cambiare. (l'Occidentale)

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