giovedì 4 luglio 2013

Quando la giustizia rende meno liberi. Giampaolo Rossi

Era il 2001. In un bar al centro di Roma si parlava delle elezioni politiche appena vinte da Berlusconi e dal centrodestra. Interlocutori, due intelligenti amici di sinistra: analisi sensate, lucide, tutto sommato in grado di mediare prospettive diverse all'interno di una dimensione politica in cui chi vince e chi perde è, comunque, parte di un gioco democratico di alternanza e di lealtà nazionale.

Ad un certo punto sopraggiunge l'ospite imprevisto: il fine intellettuale del Manifesto, conduttore di trasmissioni radiofoniche, con occhialetti gramsciani d'ordinanza e riccioli ribelli un po' datati. Pensando di essere "tra compagni" e non immaginando che al tavolo sedeva un infiltrato della reazione, se ne esce con la frase fatidica: "questi rischiamo di tenerceli 10 anni. Speriamo ci pensino i magistrati". Un brivido attraversò gli altri due interlocutori, non tanto per la gaffe, quanto perché capirono subito il pericoloso abisso di idiozia nel quale l'intellettuale stava gettando anche loro.

A dodici anni di distanza, l'idea che la magistratura debba supplire l'incapacità della sinistra di contrastare i propri avversari politici, è più diffusa di quanto si pensi e ha accompagnato l'involuzione di un mondo che, dalla morte di Berlinguer, non ha saputo esprimere un leader credibile né una classe dirigente. Il fatto che intellettuali, politici ed elettori di sinistra, concepiscano i magistrati non come un potere indipendente dello Stato e garante della Costituzione, ma come alleati politici di cui servirsi quando occorre, è qualcosa che fa accapponare la pelle.
Il problema è serio e trascende Berlusconi e suoi guai giudiziari.

E' uno dei segni dell'immane debolezza di un Paese stretto tra la conservazione immutabile di una Costituzione antifascista che ha dato al potere giudiziario un'autonomia ed un'impunità che non ha eguali nelle democrazie occidentali e l'ipocrisia che ha trasformato il diritto in morale e il ruolo della magistratura in slancio inquisitorio.

Pietro Sansonetti, spirito libero di una sinistra non conformista, ha detto che il verdetto di Milano contro Berlusconi sentenzia un potere della magistratura rivendicato con una forza tale che ricorda "le Brigate Rosse quando parlavano di potere incontrastato".

Non tutti hanno il coraggio di Sansonetti, ma a sinistra, sottovoce, molti (politici e non) iniziano a chiedersi cosa succederà dopo Berlusconi; se eliminato lui non toccherà a loro. Ad immaginare che lo sconfinamento di una magistratura senza più limiti, alteri definitivamente l'equilibrio tra poteri in cui la separazione non è più uno strumento di bilanciamento ma la supremazia di uno (quello giudiziario) sugli altri due (il legislativo e l'esecutivo).

Berlusconi, al netto delle sue responsabilità e del fallimento di quella "rivoluzione liberale" che ha predicato e mai realizzato, appare come la vittima sacrificale, il capro espiatorio necessario a purificare la coscienza di un paese stritolato nel suo moralismo ipocrita: dopo la sentenza Ruby, il primo ad affermare che "sarebbe decoroso che Berlusconi abbandonasse la vita pubblica", è stato Nichi Vendola, che fu fotografato a pranzo con il magistrato che poi l'avrebbe giudicato. Comportamenti che per alcuni sono oggetto di censure, per altri scivolano via come niente; come per quei giornalisti d'inchiesta che vanno in vacanza con i magistrati di cui poi raccontano le indagini.

Arroganza e sfrontatezza sono il rivolto psicologico di chi si sente garantito per via giudiziaria e protetto per via mediatica ma rivelano scarsa immaginazione e misera visione storica. Tra l'intellettuale del Manifesto e il dimostrante che davanti al tribunale di Milano canta "Bella Ciao" alla notizia della sentenza contro Berlusconi sono passati 13 anni, ma solo apparentemente. I sorrisini ironici e soddisfatti della Presidente della Camera Boldrini e di Livia Turco esprimono un epilogo: il sogno di vedere il nemico politico sopraffatto per via giudiziaria placa la frustrazione accumulata negli anni e giustifica l'idea di essere antropologicamente superiori, da parte di una sinistra che non capisce che la mostruosità creata renderà tutti molto meno liberi.
© Il Tempo, 2 Luglio 2013

(Il blog dell'Anarca)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Purtroppo l'articolo di Gianpaolo Rossi è una fotografia lucida della realtà in cui ci troviamo. Condivido pienamente ogni parola di questo articolo.
La Democrazia è morente se non morta, la gente comune e libera prima o poi appoggerà la reazione a questa situazione e ci sarà un riequilibrio oppure cadremo definitivamente nella Dittatura.
Per la libertà si può combattere il sistema in modo quasi invisibile e che solo l'interpretazione statistica delle tendenze può illuminare. L'arroganza del potere/istituzione dovrà fronteggiare la sovranità di milioni di individui che non condividono e l'astensionismo elettorale crescente dimostra questa verità che in definitiva è ignorata ma che sconsacra definitivamente la Democrazia come ci viene proposta.