mercoledì 5 novembre 2008

La vera sciagura saranno gli obamiani italici. Lanfranco Pace

Un po’ per tigna, un po’ per una certa consuetudine con il tavolo verde, so che finché hai una fiche e una sedia, non hai ancora perso. La vittoria gli altri se la devono comunque sudare. Obama ha sudato, mese dopo mese, andando a mille, adrenalina al massimo, mettendo in riga tutti. Per diritto democratico e forza della leadership il presente e l’avvenire sono innegabilmente suoi. Non hanno sudato affatto invece gli adoranti di questa contrada, le giovani marmotte che sognano l’altra faccia dell’America e che hanno già ordinato balle di tubini neri e camicie bianche immacolate da portare con il colletto aperto. Nei mesi a venire dunque la sciagura non sarà Obama, ma gli obamiani italici, i residuali del riciclo, gli specialisti fantasiosi della protesi e della plastica facciale.

Noi, pochi in verità, che per otto anni abbiamo approvato una politica “barbara” perché pensavamo fosse la sola in grado di difendere la democrazia e l’occidente, fregandocene dell’evidente mancanza di carisma e d’appeal del comandante in capo, perdonandolo anche quando si comportava come un “ganascia” di periferia, ecco noi possiamo sopportare tutto ma non un crepuscolo malinconico. Perché, delle due l’una. O abbiamo preso una crudele cantonata e allora dovremmo ammetterlo. Oppure se siamo ancora convinti che il bushismo continuerà oltre Bush, al più con qualche correzione di forma, dobbiamo saper aspettare con spavalderia.

Siccome mi sono fatto due palle così a sentire chiacchiere stravaghe di gente che diceva che Bin Laden l’avevano inventato gli americani e quindi spettava a loro chiedere scusa all’islam e al mondo, ho visto pure uomini con occhialetti d’acciaio e donne tacco zero precipitarsi alle peggiori cagate di Michael Moore, proprio io che amo follemente l’America da quando vidi “Via col vento” e “Ombre rosse” e che l’amo tutta intera perché è un paese e uno solo e Humphrey Bogart e John Wayne sono due facce dello stesso mito, ecco io a questi qua non gliela darò mai vinta. Poi si vede già che Obama ha un che di sceriffo, sarà Morgan Freeman e non il Duke, va bene lo stesso: quando se ne accorgeranno qui, ci sarà da ridere. (il Foglio)

7 commenti:

Anonimo ha detto...

A ttuti quelli del foglio una bella supposta negra non fa male!!
tutt'indo cul!!

NostraDomus ha detto...

Qualcuno deve dire a Veltroni che ieri notte, le elezioni si sono tenute in America e le ha vinte Barak Obama. E non come gli ha fatto credere Franceschini, che le elezioni si sono svolte in Italia, e le ha perse Berlusconi.

Anonimo ha detto...

La parola agli esperti
"Mc Cain è una garanzia per la difesa della civiltà cristiana sotto attacco dei musulmani".
(Roberto Castelli, Lega Nord, 3 novembre 2008).

"John Mc Cain offre maggiore sicurezza contro l'Islam e l'immigrazione clandestina".
(Roberto Cota, Lega Nord, 3 novembre 2008).

"Dovesse vincere Obama, prenderei le distanze della Casa Bianca".
(Maurizio Gasparri, Pdl, 2 novembre 2008).

"Ed è subito Sarah", "Vi fareste governare da Obama?", "Perché l'idraulico Joe è il miglior alleato del soldato Mc Cain".
(titoli da Il Foglio di Giuliano Ferrara, 5 giugno, 5 settembre e 22 ottobre 2008).

"Ecco perché la strana coppia McCain-Palin può arrivare alla Casa Bianca", "Mc Cain riconquista gli americani".
(titoli de Il Giornale diretto da Mario Giordano, 6 settembre e 31 ottobre 2008).

Anonimo ha detto...

MA DITE A WALTER CHE NON È BARACK
di Redazione

La governante francese de Il Gattopardo è una figura ridicola ma anche patetica, passa il suo tempo a immaginare la felicità degli altri, segnatamente quella di Tancredi e Angelica in amore, perché lei, poverina, zitella, di felicità sua propria non ne conosce. Dalla notte tra il 4 e il 5 novembre, da quando Barack Obama è stato eletto presidente degli Stati Uniti, il sentimento della governante francese mi accompagna, mentre osservo le manifestazioni scomposte di giubilo inscenate dagli esponenti della sinistra italiana e dai loro giornali. Walter Veltroni, tra loro, è il vero «monstrum», perché è il segretario del Partito democratico italiano, e un po' di contegno dovrebbe mantenerlo, e perché nessuno ha avuto, ah i consiglieri compiacenti, il coraggio di dirgli che non è Barack Obama, non si insedierà il 20 gennaio alla Casa Bianca, non è nemmeno americano, in Italia ha stravinto Silvio Berlusconi, lui è non solo all'opposizione, che è ruolo degnissimo, ma costretto dalla crisi della sua compagine a farsi rappresentare dalla piazza fino a ieri, oggi dall'american dream. A volte la verità, anche se brutale, serve ad aprire gli occhi, e di buon grado mi assumo lo scomodo ruolo.
Barack Obama può essere o no una buona scelta, a me continua a non sembrare un granché e resisto all'ansia di consenso, ma è stato eletto nella stessa forma con la quale era stato eletto per due volte George W. Bush. Sono portatori della stessa legittimità sovrana, l'uno non avrebbe mai preso in considerazione l'idea folle di costruirsi in proprio la strage delle Twin Towers, l'altro non penserebbe mai di far contenti i terroristi di Al Qaida, al contrario nel suo programma c'è scritto che è pronto a inseguire quelli che attaccano l'Afghanistan anche oltre i confini, uno di quei gesti imperialisti che di solito fanno strillare di sdegno Veltroni.
Barack Obama ha studiato in due università prestigiose, Columbia e Harvard, preparandosi in questo modo rigoroso alla carriera professionale e poi alla rapida fortuna politica. Fortunato sì, ma con giudizio. Dietro alla sua candidatura ci sono imprenditori miliardari, potenti lobbisti e una rete di club e associazioni che sostengono e alimentano l'alta borghesia afroamericana. Sarebbe difficile spiegare a Obama che Veltroni si è diplomato all'istituto di Cinematografia della Vasca navale di Roma, ha fatto il funzionario di partito col pugno chiuso fin dall'adolescenza, insomma, non ha mai lavorato sul serio, e ha frequentato sempre lo stesso giro delle terrazze romane «de sinistra».
Barack Obama ha sostenuto una campagna elettorale di ventuno mesi, andando in giro come una trottola fra elettori e cittadini preparati e cattivissimi, contro una avversaria straordinaria che si chiama Hillary Clinton. Forse alla convention da coronando c'è arrivato soprattutto per fortuna, ma se l'è sudata. Se la memoria non mi inganna, alle cosiddette primarie del Partito democratico italiano Veltroni è arrivato da casa sua, unico candidato per scelta di vertice.
Barack Obama ha in supremo sprezzo l'organizzazione delle Nazioni Unite, e intende far valere più dei suoi predecessori il diritto di veto che spetta agli Stati Uniti. Sostiene la pena di morte, naturalmente. L'Europa per lui è un alleato marginale, è andato a Berlino ad evocare Kennedy perché lo vedessero gli americani. Faccio fatica a immaginare che trovi il tempo nei suoi primi cento giorni da presidente per incontrare il segretario di un partito europeo non al governo, il quale gli parlerebbe della moratoria contro la pena di morte ottenuta proprio nella sede delle Nazioni Unite, e del ruolo fondamentale di studenti e insegnanti che scendono in piazza assieme ai sindacati
da Il Giornale di oggi

Anonimo ha detto...

Sull’immancabile sconfitta di Obama, il Giornale ha dato il meglio di sé. Mauro della Porta Raffo, il “gran pignolo” che fa le pulci ai giornali e ci azzecca sempre, ma con gli oracoli un po’ meno, non aveva dubbi: “Adesso vi dico: John Mc Cain il prossimo 4 novembre vincerà”. E Paolo Granzotto, entusiasta: “Resto anch’io dell’opinione che il vecchio eroe sbaraglierà il giovane vagheggino… Sarah Palin trascinerà Mc Cain alla vittoria”, anche per via della “veltronizzazione della campagna del damerino Obama: e con Veltroni, si sa, si va dritti alla sconfitta”. Insomma, “Mc Cain gli farà la festa”. Mario Giordano, rabdomante dal fiuto infallibile, produceva titoli del tipo: “Ecco perché la strana coppia Mc Cain-Palin può arrivare alla Casa Bianca”. E rimbeccava i lettori rassegnati alla vittoria di Obama: “Ma lei è così sicuro che vincerà Obama? Io ho qualche dubbio”. Immediatamente avvertito a Chicago, Barak faceva i debiti scongiuri. Anche perché, ad allarmarlo vieppiù, c’erano gli editoriali di Maria Giovanna Maglie, che ha con i dati elettorali lo stesso rapporto elastico dimostrato con le note spese alla Rai. La generalessa, che scrive con l’elmetto e il colpo in canna, non ci poteva proprio credere che gli americani votassero per quell’”estremista inesperto e poco capace”, “contrario infantilmente alle centrali nucleari”, uno che “ritirerebbe incoscientemente le truppe dall’Irak”, che “rappresenta solo una fetta minoritaria di radicali”, per giunta negro, tant’è che “gli elettori democratici sono i primi a dubitarne”, ma “dubitano pure gli indecisi, gli indipendenti, i fan di Hillary”. Mentre “Old John” (così lei chiama McCain, nell’intimità) “parla da Presidente”, “può vincere le elezioni perché è un candidato credibile” e poi “ha trovato un vice ideale in Sarah Palin, la donna tutta valori, determinazione e capacità oratoria”, ma soprattutto “è pronto a costruire 45 centrali nucleari e aumenterebbe le truppe in Irak”, dunque “io dico che ce la fa”, “nonostante il can can dei media nazionali e internazionali”, tutti in mano al Comintern. Se invece “dovesse farcela Obama, sarà una vittoria di misura” (infatti avrà la maggioranza parlamentare più ampia dalla notte dei tempi). La Maria Giovanna lo vedeva già alla Casa Bianca, l’amato Old John: “Da presidente ridurrà il potere di Washington e, da vero patriota, difenderà la sicurezza degli Usa”. Pazienza, la difenderà da casa. Ma, nei momenti di sconforto, potrà sempre consolarsi con qualche visita di Maria Giovanna Maglie.

Anche il Foglio ci ha lasciato pagine indimenticabili, tutte sull’inevitabile disfatta del nero Barak. Il Platinette, dall’America, ispirava titoli tambureggianti: “Ed è subito Sarah”, “Vi fareste governare da Obama?”, “Perché l’idraulico Joe è il miglior alleato del soldato Mc Cain”. Sotto, le meglio firme del bigoncio si esercitavano nell’arte dell’oracolo.

Marina Valensise, altra neocon de noantri, credendo di farle un complimento, scriveva che “la Palin somiglia alla nostra Gelmini: una tigressa dura, determinata, sicura di sé, temprata dal gelo polare, travolgente come un animale selvaggio… una mamma che si batte contro un parolaio idealista”. Stefano Pistolini la definiva “l’ultima arrivata, forse la predestinata”. Infatti, è stata la palla al piede del povero McCain. Ma Christian Rocca, lo scopritore: “La Palin è un Obama al quadrato”, donna dall’”appeal a tratti profetico e messianico”, un incrocio fra “Bob Dylan e Erin Brockovich”, come pure il suo presunto gemello Barak, insomma “pare lei la candidata presidente e Mc Cain il suo vice”. E Obama: per l’esperto Rocca, “il candidato perfetto per una serie televisiva”, “elitario, intellettuale, troppo di sinistra e incapace di connettersi con il paese”, una “bolla che potrebbe sgonfiarsi rapidamente” visto che “da mesi viene rifiutato stato dopo stato, primaria dopo primaria, dalla working class del suo stesso partito, dai poveri, dagli ispanici, dai cattolici, dagli anziani, dalle donne, dagli ebrei e da qualsiasi categoria sociale e razziale a cui non appartengano afroamericani, studenti, intellettuali, miliardari, divi di Hollywood e fighetti”. E queste - si badi bene - “non sono opinioni”. Tiè. Resta da capire chi diavolo abbia votato per Obama. All’insaputa di Rocca fra l’altro.

NostraDomus ha detto...

Paragonare proporzionalmente gli States ad altri paesi, anche se evoluti e modernizzati, è impossibile. In America i rapporti di "pesi e misure" sono assolutamente diversi dai nostri. Negli USA, per fare un esempio, un tasso di disoccupazione prossimo al 5 per cento è considerato eccessivo. Da noi (Europa e dintorni), che abbiamo vissuto con dati disoccupativi oscillanti tra il 24 e i l2 per cento, il tasso "disastroso" americano sarebbe una vittoria sociale. Ergo, è sbagliato valutare le cose americane secondo il nostro metro. Chi ha vissuto (e non intendo per pochi mesi soltanto) in America, sa che i democratici sono solo una contrapposizione dei repubblicani, e non come si crede qui in italia, una forza comunista, contraltare della destra irriducibile. Il partito Democratico americano è più a destra della nostra destra. Obama non è un nuovo Lenin o un nuovo Castro. Egli, da buon prosecutore della politica planetaria USA, continuerà la strada di sempre, e se sarà il caso manderà marines dove ce ne sarà bisogno, sarà intransigente come deve fare un presidente USA, non disdegnando di spedire portaerei e bombardieri laddove qualche insetto ronzante cercherà di dare fastidio al gigante americano. E' stato, è, e sarà sempre così, il colore della pelle non cambia. Prima o poi Veltroni ed i suoi inquilini se ne renderanno conto e ricominceranno a fare gli anti-americani, come hanno sempre fatto.

Anonimo ha detto...

...Sull’immancabile sconfitta di Obama, il Giornale ha dato il meglio di sé...

Sono d'accordo.
Anche in questo caso, un po' di prudenza sarebbe stata più che opportuna.
Chi scommette tutto su un cavallo, rischia di ritrovarsi con i biglietti perdenti. Come si dice? Col male, col malanno e con l'uscio addosso.
E' una lezione da non dimenticare.
E così i bravi articolisti, con la sfera di cristallo, hanno fatto come i pifferi di montagna ... ed hanno collezionato un figurone!
il lib.an.