martedì 14 aprile 2009

Cambogia. La confessione del "compagno Duch". Vincenzo Merlo

Ha confessato al Tribunale Internazionale (costituito ad hoc nel maggio 2006 e frutto di un accordo tra le Nazioni Unite e il governo cambogiano) tutti i crimini commessi e ha chiesto «perdono di cuore» al popolo cambogiano per le proprie colpe: il gesto compiuto da Kaing Guek Eay, meglio conosciuto come il «compagno Duch», uno dei cinque leader del vecchio regime terroristico cambogiano, rappresenta certo una svolta epocale per un paese in cui vi sono ancora oggi divisioni e reticenze nell'analisi dei massacri compiuti dai maoisti khmer rossi. Khmer che uccisero, tra il 1975 e il 1979, un milione e settecentomila persone su una popolazione che non raggiungeva i sei milioni di abitanti.

Il «compagno Duch», primo imputato nel processo iniziato il 17 febbraio scorso contro i crimini di guerra e i crimini contro l'umanità, era il comandante della famigerata prigione S-21, all'interno della quale si compì ogni genere di crimini, dalle torture agli stupri per finire agli omicidi, più di cento al giorno. In totale, in quel terribile carcere, trovarono la morte circa diciassettemila cambogiani. Sopravvissero a quegli eccidi solo in sette, di cui tre sono ancora vivi. Tra questi Vann Nath, la cui vita ha ispirato un film sui massacri perpetrati dai khmer rossi; Nath, nato nel 1946 a Battambang, nel nord-ovest della Cambogia, ricorda con nitidezza quel giorno dell'aprile 1977, in cui venne arrestato da una squadra di khmer, legato e spintonato su un carro per buoi, senza la possibilità di salutare i propri familiari, anch'essi successivamente vittime della follia omicida dei rivoluzionari comunisti. Nath, ancora oggi uno dei più importanti artisti del paese, riuscì a sopravvivere all'inferno di S-21, solo perché fu scelto dal «compagno Duch» come artista per dipingere ritratti e realizzare sculture di Pol Pot, il fanatico ideologo maoista capo degli khmer, «formatosi» intellettualmente alla Sorbona. Nel 1979, all'indomani dell'invasione dell'esercito vietnamita e della successiva caduta del regime, il prigioniero riuscì a fuggire dal carcere; quando la prigione segreta è stata riconvertita in un museo della memoria, ne ha varcato di nuovo la soglia per lavorare alla sua ricostruzione e per testimoniare in prima persona i massacri e le torture. Attraverso i suoi quadri, l'artista ha descritto le scene di cui è stato testimone.

La storia di Vann Nath è legata, dunque, a quella del «compagno Duch», a tutt'oggi unico leader del movimento maoista ad aver ammesso le torture e le uccisioni ai danni della popolazione civile, per i quali crimini ha chiesto perdono. Nessun altro appartenente a quel regime terroristico lo ha fatto, a partire dagli altri quattro imputati in attesa del processo (Khieu Samphan, Ieng Sary, Ieng Thirith e Nuon Chea); per non parlare dello stesso Pol Pot, morto impunito. Va detto che il riconoscimento dei crimini commessi e la contestuale richiesta di perdono al popolo cambogiano rappresentano una assoluta novità nel contesto di quel paese e sono il frutto della conversione al cristianesimo che il «compagno Duch» ha scelto fin dal 1966 grazie al rapporto di amicizia nato con un pastore protestante cambogiano. «E' cambiato totalmente dopo aver abbracciato Cristo - afferma il rev. Christopher intervistato dal Time - passando dall'odio profondo all'amore. Convertendosi a Cristo, l'amore ha riempito il suo cuore». Padre Alberto Caccaro, missionario del Pime, in Cambogia da oltre dieci anni, conferma all'agenzia Asia News (diretta da Padre Bernardo Cervellera) che la «confessione» del compagno Duch assume oggi un significato ancora più profondo: «Il riconoscimento della propria colpa è il modo in cui ciascuno si percepisce davanti a Dio. L'opinione pubblica è rimasta stupita in maniera positiva dalla sua confessione, che appare come una voce fuori dal coro». Purtroppo è così.

In Cambogia, infatti, non si è ancora avviato (a trent'anni dalla fine della tragedia) un serio percorso di revisione ideologica e di analisi di quanto successo nel periodo funesto della dittatura maoista. «Il processo ai khmer rossi - continua il missionario del Pime - forse non servirà a restituire un nuovo volto alla società cambogiana, ma gesti individuali come quello del "compagno Duch" possono comunque costituire un punto di partenza per un'analisi più profonda della storia. Non bisogna trasformare il compagno Duch in un santo, ma la sua storia personale, il momento della confessione e la presa di coscienza dei crimini commessi sono un elemento nuovo per la Cambogia». (Ragionpolitica)

3 commenti:

Anonimo ha detto...

leggere l'intero blog, pretty good

Anonimo ha detto...

imparato molto

Anonimo ha detto...

Perche non:)