giovedì 16 luglio 2009

Il caso Munzenberg, ispiratore dei guastatori che affosseranno il Pd. Luca Josi

Un consiglio non richiesto per gli amici del Partito democratico l’avrei. Ok a Grillo. Benvenuto! Fantastico! Porte aperte!

Ma nel sospetto, piccolo piccolo, che la candidatura sia un poco strumentale perché non v'iscrivete tutti all'Italia dei Valori, prendete la maggioranza assoluta, cambiate il segretario e poi disponete la chiusura del partito? Almeno anticiperete quello che Di Pietro vorrebbe fare a voi.

Poi dite quello che volete. Ma i due, Di Pietro e Grillo, saranno grulli, saranno grilli, ma sono due talenti straordinari della devastazione.Portano all'ennesima potenza la provocazione.

Il gioco è presto fatto. Una volta che tu molli i freni e dici che si può dire ogni cosa sul tuo nemico - che non è mai avversario - è difficile fissare un limite. Un po' di filosofi all'inizio del Novecento la spiegavano così: «Tutto quello che può accadere accadrà». Direte: che geni! Ma la frase è meno lapalissiana di come appare. Ovvero sostiene che se in qualche parte del mondo qualcuno si mette in testa un'idea, un'intuizione, sfrucuglia una possibilità, stai tranquillo che prima o poi quella cosa troverà il modo di realizzarsi. Puoi inventare qualunque barriera morale e ideologica per fermarla ma una volta che è venuta in mente a qualcuno, presto o tardi, lui o qualcun altro, la metterà in opera.

Quindi, se la temi, ti conviene farci i conti, prevederla, governarla e preoccuparti subito subito di trovarle un antidoto o un vaccino.
Ora a vederla grigia la pandemia distruttiva potrebbe estendersi all'intero parlamento ma per il momento guardiamo cosa può accadere al nuovo Partito democratico.

La gara nella storia è sempre stata a sedersi per primi dalla parte del Giusto, del Buono, dell'Eroe e della Verità.

Dal secolo scorso questi termini sono diventati i cavalli da battaglia della propaganda. Se devi convincere qualcuno, in effetti, è meglio dire che parli per conto di queste parole, belle e rassicuranti, anziché delle parole che evocano atmosfere contrarie. Infatti, a parte una piccola minoranza di masochisti - e ci sono anche quelli - le persone amano stare dalla parte del Giusto lasciando agli altri il posto del Torto.

Di Pietro e Grillo sono un'ulteriore evoluzione, contemporanea, della rincorsa a queste promesse.

Pensate che a sinistra si erano molto arrabbiati perché dopo corsi intensivi, durati un secolo, di egemonia gramsciana a trarne vittoria è stato un geniotto capitalista che con la Sardegna del loro bistrattato fondatore condivide poco più di una batteria di ville (e oggi un po' troppo sbirciate). Lavorare sul consenso è l'Abc della politica per conquistare qualunque maggioranza. Il problema è che il Cavaliere si è ricordato che chi vende serenità, speranza, fiducia, benessere, ricchezza in terra - bada bene, in terra - è un pochettino più charmant di chi ti elenca i guai del nemico, annuncia apocalissi e invece che impegnarsi a produrre un panino in più t'invita a fare a metà con quello del vicino (un mercato anche questo, quello dei catastrofisti, anche se minoritario. D'altre parte i popoli cercano la pensione in paradiso mica all'inferno).

Ma torniamo ai due sconquassatori del Partito democratico: Di Pietro e Grillo. Essendo guastatori nati interpretano strade che nessuno gli ha mai insegnato. Il talento sta proprio in questo. È natura.

Ad Est per quasi un secolo la Pravda (il cui nome significa, Verità) costruiva in maniera industriale la mente dei suoi cittadini per trasformarli in un esercito di apostoli del comunismo.

Ad Ovest, invece, Goebbels veniva immeritatamente raccontato come il sacerdote unico, creatore della propaganda. Un'immeritata leadership sottratta a un suo connazionale, autentico genio della materia: Willy Munzenberg.

Munzenberg per Lenin e poi per Stalin inventò lo judo mediatico. La forza dell'avversario veniva ribaltata nella sua debolezza. Portò, in sostanza, il cavallo di Troia nel secolo scorso. Piuttosto che lavorare su armi e paura, Munzenberg, teorizzava che con investimenti ridotti e ben più redditizi si potesse fiaccare l'umore dei propri nemici. Invece che produrre ulteriori carri armati e incrociatori - soprattutto in tempi di pace - si sarebbe dovuto investire nella diffusione di «Verità» da infiltrare nel territorio nemico attraverso le porte maestre dei loro fragilissimi capisaldi. Facciamo degli esempi: le democrazie difendono la libertà di espressione? Usiamola! Tutelano ogni minoranza? Creiamone! Accettano il confronto e rallentano ogni azione per non offendere sensibilità diverse? Facciamo esplodere ogni contraddizione che la natura umana possa prevedere! Vi viene in mente qualcosa o qualcuno adesso? Qualche suggestione applicabile ai nostri giorni?

Così vennero finanziati movimenti per la liberazione sessuale nell'Inghilterra postvittoriana e in Europa, furono supportate intere generazioni d'intellettuali «indipendenti», si stimolarono le cause ambientaliste contro l'industrializzazione, quelle animaliste contro le industrie alimentari, quelle pacifiste contro le politiche di difesa.Oggi tutto questo ambaradan sta sdraiato sui divanetti di qualche talk show.

Non importa cosa dici ma se quello che dici vellica gli istinti peggiori dei nostri sensi.

Non importa la ricostruzione di un fatto, il suo capovolgimento, la sua confutazione ma solo l'emozione, la percezione di tutto questo. Perché non è necessario avere ragione nella Storia ma ottenerla (avendo poi, da vincitori, tutto il tempo per riscriverla).

Il nostro Munzenberg, Willy, fu suicidato nel 1940 forse da sicari di Stalin che lo impiccarono al ramo di una possente pianta.

Era irritato dall'involuzione dei suoi discepoli e per vendetta, racconta la leggenda, una notte di molti molti anni dopo, si presentò sotto false spoglie nel sonno di un leader politico. Nei panni di Morfeo suggerì all'uomo che voleva guidare al successo una gioiosa macchina da guerra un simbolo: la Quercia. Come l'albero a cui Munzenberg era stato lasciato appeso, a ciondoloni, a morire.Oggi pare che il vecchio Willy, non pago di quella punizione, si sia rimesso in azione.

PS: domanda ai lettori. Munzenberg in 60 anni di storia democratica italiana non è stato, di fatto, mai pubblicato nel nostro Paese. Perché? (il Giornale)

24 commenti:

Anonimo ha detto...

Gli articoli , senza dimenticare quelli di stefania craxi e le 2 interviste a cossiga sono questi :

OBAMA COME GIUDA di Alessandro Sallusti

http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna&currentArticle=M3KON

SE IL CAVALIERE SFIDA GLI YANKEE COME MATTEI di RENATO BESANA http://rassegna.governo.it/testo.asp?d=37161474

Il premier e la sindrome dell’«anatra zoppa»: disegno contro di me
http://www.corriere.it/politica/09_maggio_22/premier_verderami_c811f6c6-46a1-11de-a4e0-00144f02aabc.shtml

L OMBRA DEL COMPLOTTO di Lucia annunziata

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=6003&ID_sezione=29&sezione=

COSI NELLE STANZE DEL OTERE S AVANZA L OMBRA DEL COMPLOTTO

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=354668

MONTA L INTRIGO DI OBAMA CONTRO SILVIO
http://www.libero-news.it/blogs/view/546

A questi vorrei aggiungere un catreggio dell estate scorsa tra geronimo e cossica :

Caro Geronimo , su moro ti dico che ..
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=284052

Cossiga, l olp e altri misteri
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=283876

Anonimo ha detto...

Ma nel sospetto, piccolo piccolo, che la candidatura sia un poco strumentale perché non v'iscrivete tutti all'Italia dei Valori, prendete la maggioranza assoluta, cambiate il segretario e poi disponete la chiusura del partito? Almeno anticiperete quello che Di Pietro vorrebbe fare a voi.



che comico, questo non è il giornale è Zelig

ARIDATECEMONTANELLI

Anonimo ha detto...

La nuova legge non impedisce le intercettazioni. Ma i giudici dovranno essere in possesso di 'evidenti indizi di colpevolezza' per poter piazzare le microspie. Un vero paradosso


furia di sentir ripetere dal cosiddetto ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e dal vero Guardasigilli, on. avv. Niccolò Ghedini, che "per la mafia la legge sulle intercettazioni non cambia nulla", un gruppo di delinquenti comuni di Palermo si sono lasciati travolgere dall'entusiasmo. Si son portati avanti col lavoro, senz'attendere il voto finale del Parlamento. E uno si è tradito. Così sono finiti tutti e cinque in galera il 22 giugno per associazione a delinquere finalizzata a varie truffe aggravate: "Spendevano nomi di persone defunte" per ottenere contratti di finanziamento da società finanziarie per la bellezza di 554 mila euro. Il 18 dicembre erano riuniti per organizzare i piani di battaglia, ignari di essere ascoltati. Uno, in verità, qualche dubbio l'aveva: "Allora possiamo parlare qua, giusto?". Un altro, che aveva colto al volo il senso della legge Alfano, ma aveva anticipato un po' i tempi, gli ha risposto: "Le microspie ci stanno per situazioni di mafia, qui noi stiamo parlando di truffe, quindi possiamo parlare.". Ed è esploso in una sonora risata. Ma c'era poco da ridere.

Le microspie erano in agguato, la nuova legge non era ancora attiva. Se lo fosse stata, avrebbe avuto ragione lui. Non perché, in teoria, i giudici non possano più intercettare i truffatori (com'era nella prima versione della norma, che escludeva gli ascolti per tutti i reati con pene inferiori ai 10 anni, truffe incluse). Ma perché per tutti i reati, salvo mafia, terrorismo e sequestro di persona, per disporre le intercettazioni la nuova legge richiede "evidenti indizi di colpevolezza" su qualcuno: il giudice, in pratica, dovrà già conoscere il nome del colpevole. Nel qual caso, fra l'altro, non avrà più bisogno di intercettarlo. Di solito infatti si intercetta per scoprire il colpevole, non viceversa. Per le microspie, poi, il limite imposto dalla nuova legge è ancor più demenziale: l'intercettazione ambientale è consentita solo nei luoghi dove si sta commettendo un reato. E siccome la cimice serve proprio a scoprire se si sta commettendo un reato, è impossibile saperlo prima di averla piazzata.


Si dirà: se i truffatori fossero mafiosi, sarebbero intercettabili anche con la nuova legge.
Eh no, qui casca l'asino: nessuno può dire in partenza, inseguendo una truffa, se i suoi autori sono mafiosi o no. "Lo scopriremo solo vivendo", cantava Battisti. Nel nostro caso, intercettando. Ma la geniale coppia Ghedini-Alfano ha stabilito che il pm debba scoprirlo per scienza infusa, prima di intercettare. Mission impossible. Il nostro presunto truffatore, che ora è in carcere per troppa fiducia nel governo, va comunque ringraziato. Con quella frase lapidaria ("Stiamo parlando di truffe, quindi possiamo parlare") ha riassunto come meglio non si poteva l'assurdità psichedelica della legge, quasi immolandosi per fornircene una prova preventiva su strada. The future is now.

MP ha detto...

Hai fatto un buon lavoro, pubblicizzando questo articolo meraviglioso. Stavo per fare altrettanto, mi hai preceduto. Bisogna andare avanti, scavare nella storia per comprendere come sono potute succederci certe cose altrimenti incomprensibili. Inoltre tanti libri passati sotto silenzio di storia e di filosofia vanno fatti conoscere. Mentre altri aspettano di essere scritti.
Saluti. Se vuoi collegarti al mio blog ecco l'indirizzo . http://voltarpaginagenova.blogspot.com/

Anonimo ha detto...

Da ora in poi VIVACOSSIGA verrà usato solo ed esclusivamente per le interviste, gli scritti e gli interventi dell illustre senatore a vita,come questa qui sotto riportata ,tutto il resto sarà da considerarsi falso ed opera dell importunatore.

Con Reverenza

VIVACOSSIGA

Anonimo ha detto...

Quello che scrive josi non è affatto una novità , basti pensare di recente alle rivoluzioni colorate in ucraina georgia , in iran o per esempio in tibet , tutte finanziate dagli americani,
Che dire poi dell operazione mani pulite in italia, o sempre per quanto riguarda l italia quando Bettino craxi e Berlusconi finanziavano Arafat e l organizazzione per la liberazione della Palestina.

Interessanti qui mi sembrano 2 notizie che pubblicherò di seguito

Anonimo ha detto...

Gli Usa scaricano Mussavi

Obama cancella i finanziamenti del Dipartimento di stato in favore dei gruppi d’opposizione iraniani, azzerando l’apposito fondo nel “Foreign Assistance budget 2010” presentato al Congresso. Proprio mentre la repressione del dissenso da parte del regime prosegue inesorabile. Collassa così l’Iran Democracy Program, definito dal capo di gabinetto Rahm Emanuel «un inutile spreco, un relitto dell’era di Bush». Che in un quinquennio ci aveva investito quasi 400 milioni di dollari, permettendo un salto di qualità decisivo ai contestatori degli ayatollah. Si precisa dunque la strategia geopolitica del presidente democratico: dare precedenza assoluta a un riavvicinamento coi clerici di Teheran, a costo di sacrificare sull’altare della diplomazia i diritti umani e le lotte di libertà. Con l’evidente obiettivo di strappare un compromesso sul nucleare, prima che Israele scateni un armageddon.
La voce scomparsa

È la mossa che da Barack Obama non ti aspetteresti. Perché smentisce il santino che l’agiografia liberal gli ha cucito addosso. Ma il primo inquilino di Pennsylvania avenue è un giocatore di scacchi. Uno che decide a freddo puntando al lungo termine, senza badare troppo a sondaggi e umori del momento. Non si spiega altrimenti la decisione, tutt’altro che casuale, di sopprimere la voce Iran nella tabella degli aiuti esteri dell’amministrazione Usa, preventivo di spesa 2010

(www.state.gov/documents/organization/124295.pdf). Fino al 2009 compreso, nella sezione “Vicino Oriente”, la repubblica islamica d’Iran figurava appena prima di Israele e appena dopo l’Iraq (state.gov/documents/organization/101450.pdf). Nel nuovo giustificativo congressuale sono regolarmente presenti i 500 milioni in assistenza economica a Bagdad, e i 2,7 miliardi per l’esercito di Gerusalemme. Ma dei 65 milioni dedicati l’anno precedente ai perseguitati di Teheran si son perse le tracce. Eppure le risorse non mancano: circa 200 nazioni di ogni continente beneficiano di un totale di 32 miliardi di dollari in sostegno americano (6 in più rispetto al 2008 e 1 dal 2009). Erogati sotto cinque grandi capitoli tematici: Sicurezza, Governo giusto e democratico, Investire sulla gente, Crescita economica e Assistenza umanitaria. Solo per la categoria del governo giusto, nella quale ricadeva l’Iran, lo stanziamento ammonta a 2.8 miliardi. Tra i beneficiati ci sono le vittime di pseudo democrazie come Cuba, Burma, Bielorussia o Sudan, e il budget riservato al Vicino Oriente è salito di 15 milioni.
La motivazione

Esplicita, se non altro, la giustificazione offerta dal capo staff di Obama, Emanuel. Che ha spiegato come «in un momento di tumulti in Iran, gli Usa non devono prendere le parti di nessuno. Fomenterebbe l’instabilità». Aggiungendo: «Come reagiremmo se l’Iran finanziasse trasmissioni in inglese per convincere gli americani a intraprendere la jihad?». D’altronde secondo lui la cancellazione degli aiuti evita «uno spreco di risorse, che si possono impiegare meglio altrove», e costituisce «un passo verso la responsabilità fiscale». Manco fosse la scelta di una brava massaia. In realtà, se proprio si voleva risparmiare, gli esborsi inutili erano altri. In particolare i 20 milioni di dollari pubblici (non ancora assegnati) dell’agenzia per lo sviluppo (Usaid). Distribuiti annualmente, col pretesto di propagandare la causa iraniana, ad ong, college, fondazioni e filantropi americani e occidentali. Insomma a tutti meno che agli attivisti che in Iran vivono e rischiano la pelle. Il modulo per la richiesta parla chiaro: «programmi a sostegno di soggetti politici (iraniani) non verranno considerati».

Anonimo ha detto...

L’Iran democracy program (Idp) nacque ufficialmente nel febbraio 2006, con la richiesta da parte di Condoleeza Rice di 75 milioni al Congresso. Ne furono approvati 66,1. In media il bilancio del programma ha superato i 60 milioni annui. Ma il primo finanziamento da 4,5 milioni risale al biennio 2004-2005 nell’ambito del Mepi (mepi.state.gov/62704.htm).
Il programma

L’Iniziativa di partnership nel Medioriente con cui W. Bush, fedele alla Freedom agenda, sognava di democratizzare l’intera area. Anche per riparare ai golpe targati Cia (in Iran nel’53), attraverso rivoluzioni di velluto sul modello di Libano, Kyrghisistan, Ukraina e Georgia. Fondamentale per il lancio dell’iniziativa si rivelò la figlia del vicepresidente Cheney, Elizabeth, grazie al suo ruolo di assistente al segretario di stato, e agli assegni neocon dell’International Republican Institute. Scopi dichiarati dell’Idp, «promuovere democrazia, diritti umani, legalità, rafforzare la società civile, aumentare la libertà d’informazione e la capacità del popolo iraniano di organizzarsi attorno a battaglie politiche nella società e nel governo, (..) stimolando l’applicazione di codici, leggi e convenzioni esistenti, come il diritto a un giusto processo o il monitoraggio indipendente delle elezioni». Fra gli altri canali su cui investire figuravano sul fronte dei finanziamenti alla propaganda mediatica, quelli alle trasmissioni satellitari in farsi di Voice of America, captate da 15 milioni di iraniani, e di Radio Farda e Radio Free Europe/Liberty. Dimostratesi indispensabili per informare i protagonisti delle ultime proteste.
Soldi all’Onda

Ma internet e tv non bastano. Molto più efficace si è rivelato il sostegno diretto ai gruppi formali e informali dell’opposizione interna (futura Onda verde in testa), che ha assorbito circa la metà del budget. Operazioni borderline ad alto rischio, condotte dietro il paravento del National endowment for democracy o del National democratic Institute, piuttosto che con Usaid e Freedom House. Spesso in parallelo ad azioni coperte della Cia, quali il finanziamento e l’equipaggiamento degli affiliati alla Mujahideen Khalq Organization o dei militanti di Jundullah, e dei rispettivi santuari in Iraq e Pakistan. Ad esempio nel 2008, su 60 milioni totali, 30,2 sono stati assegnati a questo fine dal Dipartimento di Stato. Senza l’obbligo di un rendiconto dettagliato, per non mettere in pericolo i destinatari dei fondi. Il cui utilizzo, a vantaggio della resistenza sul campo, ha suscitato malumori nella comunità di originari iraniani residenti negli Stati Uniti. I quali, in evidente conflitto di interessi, ambivano ad essere loro gli unici araldi della battaglia per la libertà in patria. Gli hanno fatto eco le solite icone intellettuali slegate dalla realtà, come la Nobel Shirin Ebadi, che ha affermato: «La miglior cosa che Washington possa fare è lasciare soli i riformisti iraniani: la democrazia non si importa». L’ex responsabile dell’Idp, Denehy, ha replicato definendo “risibile” l’ipotesi che il programma scatenasse la repressione. E ha incassato la solidarietà di un dissidente vero, l’ex leader degli studenti del Vahdat, Akbar Atri. Incaricatosi di respingere le critiche del Niac, in quanto «frutto di individui che a stento han visitato l’Iran».

Chi certamente non si lamenta del ”provvidenziale” stop al finanziamento dei propri avversari, è la cricca degli ayatollah. Poco sorpresi dal dietrofront obamiano. La svolta era nell’aria, almeno dal recente licenziamento del più seguito polemista di Voice of America, Mohsen Sazegara: troppo netto nel denunciare i misfatti di Basiji e Pasdaran. E se invece alla fine avesse ragione Henry Kissinger? L’ex segretario di stato attribuisce ad Obama una «volontà di rendere invisibile qualunque cosa deciderà di fare in Iran». Però dal sottotraccia al nulla il passo è breve.

Anonimo ha detto...

L altra invece riguarda delle dichiarazioni interessanti su quello che succede in italia.

((Verra firmato vivacossiga solo quelle interviste, gli scritti e gli interventi dell illustre senatore a vita,come questa qui sotto riportata ,tutto il resto sarà da considerarsi falso ed opera dell importunatore.))



Uno 007 telefona a un magistrato: Cossiga chiede lumi

Una telefonata tra un alto dirigente dei servizi segreti militari e un magistrato della Procura della Repubblica di Milano finisce al centro di un’interpellanza parlamentare presentata dal senatore a vita Francesco Cossiga. Nell’interpellanza, Cossiga denuncia la irritualità di contatti diretti tra appartenenti agli apparati di intelligence e magistratura, e afferma che non a caso il «contatto» sarebbe avvenuto prudenzialmente non attraverso telefoni cellulari ma grazie alla cabina telefonica presente all’interno della sede dell’Aise (l’ex Sismi) a Forte Braschi.
Il senatore non indica le modalità con cui è venuto a conoscenza della telefonata e non specifica il nome del magistrato destinatario della chiamata. L’interpellanza indica però il nome dello 007 autore della chiamata: si tratterebbe di Vito Damiano, colonnello dei carabinieri, attualmente capo divisione all’Aise. La chiamata sarebbe avvenuta il 13 novembre 2008.

VIVACOSSIGA

Anonimo ha detto...

Esplicita, se non altro, la giustificazione offerta dal capo staff di Obama, Emanuel. Che ha spiegato come «in un momento di tumulti in Iran, gli Usa non devono prendere le parti di nessuno. Fomenterebbe l’instabilità». Aggiungendo: «Come reagiremmo se l’Iran finanziasse trasmissioni in inglese per convincere gli americani a intraprendere la jihad?». D’altronde secondo lui la cancellazione degli aiuti evita «uno spreco di risorse, che si possono impiegare meglio altrove», e costituisce «un passo verso la responsabilità fiscale». Manco fosse la scelta di una brava massaia. In realtà, se proprio si voleva risparmiare, gli esborsi inutili erano altri. In particolare i 20 milioni di dollari pubblici (non ancora assegnati) dell’agenzia per lo sviluppo (Usaid). Distribuiti annualmente, col pretesto di propagandare la causa iraniana, ad ong, college, fondazioni e filantropi americani e occidentali. Insomma a tutti meno che agli attivisti che in Iran vivono e rischiano la pelle. Il modulo per la richiesta parla chiaro: «programmi a sostegno di soggetti politici (iraniani) non verranno considerati».

Anonimo ha detto...

(www.state.gov/documents/organization/124295.pdf). Fino al 2009 compreso, nella sezione “Vicino Oriente”, la repubblica islamica d’Iran figurava appena prima di Israele e appena dopo l’Iraq (state.gov/documents/organization/101450.pdf). Nel nuovo giustificativo congressuale sono regolarmente presenti i 500 milioni in assistenza economica a Bagdad, e i 2,7 miliardi per l’esercito di Gerusalemme. Ma dei 65 milioni dedicati l’anno precedente ai perseguitati di Teheran si son perse le tracce. Eppure le risorse non mancano: circa 200 nazioni di ogni continente beneficiano di un totale di 32 miliardi di dollari in sostegno americano (6 in più rispetto al 2008 e 1 dal 2009). Erogati sotto cinque grandi capitoli tematici: Sicurezza, Governo giusto e democratico, Investire sulla gente, Crescita economica e Assistenza umanitaria. Solo per la categoria del governo giusto, nella quale ricadeva l’Iran, lo stanziamento ammonta a 2.8 miliardi. Tra i beneficiati ci sono le vittime di pseudo democrazie come Cuba, Burma, Bielorussia o Sudan, e il budget riservato al Vicino Oriente è salito di 15 milioni.
La motivazione

Esplicita, se non altro, la giustificazione offerta dal capo staff di Obama, Emanuel. Che ha spiegato come «in un momento di tumulti in Iran, gli Usa non devono prendere le parti di nessuno. Fomenterebbe l’instabilità». Aggiungendo: «Come reagiremmo se l’Iran finanziasse trasmissioni in inglese per convincere gli americani a intraprendere la jihad?». D’altronde secondo lui la cancellazione degli aiuti evita «uno spreco di risorse, che si possono impiegare meglio altrove», e costituisce «un passo verso la responsabilità fiscale». Manco fosse la scelta di una brava massaia. In realtà, se proprio si voleva risparmiare, gli esborsi inutili erano altri. In particolare i 20 milioni di dollari pubblici (non ancora assegnati) dell’agenzia per lo sviluppo (Usaid). Distribuiti annualmente, col pretesto di propagandare la causa iraniana, ad ong, college, fondazioni e filantropi americani e occidentali. Insomma a tutti meno che agli attivisti che in Iran vivono e rischiano la pelle. Il modulo per la richiesta parla chiaro: «programmi a sostegno di soggetti politici (iraniani) non verranno considerati».

Anonimo ha detto...

Obama cancella i finanziamenti del Dipartimento di stato in favore dei gruppi d’opposizione iraniani, azzerando l’apposito fondo nel “Foreign Assistance budget 2010” presentato al Congresso. Proprio mentre la repressione del dissenso da parte del regime prosegue inesorabile. Collassa così l’Iran Democracy Program, definito dal capo di gabinetto Rahm Emanuel «un inutile spreco, un relitto dell’era di Bush». Che in un quinquennio ci aveva investito quasi 400 milioni di dollari, permettendo un salto di qualità decisivo ai contestatori degli ayatollah. Si precisa dunque la strategia geopolitica del presidente democratico: dare precedenza assoluta a un riavvicinamento coi clerici di Teheran, a costo di sacrificare sull’altare della diplomazia i diritti umani e le lotte di libertà. Con l’evidente obiettivo di strappare un compromesso sul nucleare, prima che Israele scateni un armageddon.
La voce scomparsa

È la mossa che da Barack Obama non ti aspetteresti. Perché smentisce il santino che l’agiografia liberal gli ha cucito addosso. Ma il primo inquilino di Pennsylvania avenue è un giocatore di scacchi. Uno che decide a freddo puntando al lungo termine, senza badare troppo a sondaggi e umori del momento. Non si spiega altrimenti la decisione, tutt’altro che casuale, di sopprimere la voce Iran nella tabella degli aiuti esteri dell’amministrazione Usa, preventivo di spesa 2010

(www.state.gov/documents/organization/124295.pdf). Fino al 2009 compreso, nella sezione “Vicino Oriente”, la repubblica islamica d’Iran figurava appena prima di Israele e appena dopo l’Iraq (state.gov/documents/organization/101450.pdf). Nel nuovo giustificativo congressuale sono regolarmente presenti i 500 milioni in assistenza economica a Bagdad, e i 2,7 miliardi per l’esercito di Gerusalemme. Ma dei 65 milioni dedicati l’anno precedente ai perseguitati di Teheran si son perse le tracce. Eppure le risorse non mancano: circa 200 nazioni di ogni continente beneficiano di un totale di 32 miliardi di dollari in sostegno americano (6 in più rispetto al 2008 e 1 dal 2009). Erogati sotto cinque grandi capitoli tematici: Sicurezza, Governo giusto e democratico, Investire sulla gente, Crescita economica e Assistenza umanitaria. Solo per la categoria del governo giusto, nella quale ricadeva l’Iran, lo stanziamento ammonta a 2.8 miliardi. Tra i beneficiati ci sono le vittime di pseudo democrazie come Cuba, Burma, Bielorussia o Sudan, e il budget riservato al Vicino Oriente è salito di 15 milioni.
La motivazione

Esplicita, se non altro, la giustificazione offerta dal capo staff di Obama, Emanuel. Che ha spiegato come «in un momento di tumulti in Iran, gli Usa non devono prendere le parti di nessuno. Fomenterebbe l’instabilità». Aggiungendo: «Come reagiremmo se l’Iran finanziasse trasmissioni in inglese per convincere gli americani a intraprendere la jihad?». D’altronde secondo lui la cancellazione degli aiuti evita «uno spreco di risorse, che si possono impiegare meglio altrove», e costituisce «un passo verso la responsabilità fiscale». Manco fosse la scelta di una brava massaia. In realtà, se proprio si voleva risparmiare, gli esborsi inutili erano altri. In particolare i 20 milioni di dollari pubblici (non ancora assegnati) dell’agenzia per lo sviluppo (Usaid). Distribuiti annualmente, col pretesto di propagandare la causa iraniana, ad ong, college, fondazioni e filantropi americani e occidentali. Insomma a tutti meno che agli attivisti che in Iran vivono e rischiano la pelle. Il modulo per la richiesta parla chiaro: «programmi a sostegno di soggetti politici (iraniani) non verranno considerati».

Anonimo ha detto...

L’Iran democracy program (Idp) nacque ufficialmente nel febbraio 2006, con la richiesta da parte di Condoleeza Rice di 75 milioni al Congresso. Ne furono approvati 66,1. In media il bilancio del programma ha superato i 60 milioni annui. Ma il primo finanziamento da 4,5 milioni risale al biennio 2004-2005 nell’ambito del Mepi (mepi.state.gov/62704.htm).
Il programma

L’Iniziativa di partnership nel Medioriente con cui W. Bush, fedele alla Freedom agenda, sognava di democratizzare l’intera area. Anche per riparare ai golpe targati Cia (in Iran nel’53), attraverso rivoluzioni di velluto sul modello di Libano, Kyrghisistan, Ukraina e Georgia. Fondamentale per il lancio dell’iniziativa si rivelò la figlia del vicepresidente Cheney, Elizabeth, grazie al suo ruolo di assistente al segretario di stato, e agli assegni neocon dell’International Republican Institute. Scopi dichiarati dell’Idp, «promuovere democrazia, diritti umani, legalità, rafforzare la società civile, aumentare la libertà d’informazione e la capacità del popolo iraniano di organizzarsi attorno a battaglie politiche nella società e nel governo, (..) stimolando l’applicazione di codici, leggi e convenzioni esistenti, come il diritto a un giusto processo o il monitoraggio indipendente delle elezioni». Fra gli altri canali su cui investire figuravano sul fronte dei finanziamenti alla propaganda mediatica, quelli alle trasmissioni satellitari in farsi di Voice of America, captate da 15 milioni di iraniani, e di Radio Farda e Radio Free Europe/Liberty. Dimostratesi indispensabili per informare i protagonisti delle ultime proteste.
Soldi all’Onda

Ma internet e tv non bastano. Molto più efficace si è rivelato il sostegno diretto ai gruppi formali e informali dell’opposizione interna (futura Onda verde in testa), che ha assorbito circa la metà del budget. Operazioni borderline ad alto rischio, condotte dietro il paravento del National endowment for democracy o del National democratic Institute, piuttosto che con Usaid e Freedom House. Spesso in parallelo ad azioni coperte della Cia, quali il finanziamento e l’equipaggiamento degli affiliati alla Mujahideen Khalq Organization o dei militanti di Jundullah, e dei rispettivi santuari in Iraq e Pakistan. Ad esempio nel 2008, su 60 milioni totali, 30,2 sono stati assegnati a questo fine dal Dipartimento di Stato. Senza l’obbligo di un rendiconto dettagliato, per non mettere in pericolo i destinatari dei fondi. Il cui utilizzo, a vantaggio della resistenza sul campo, ha suscitato malumori nella comunità di originari iraniani residenti negli Stati Uniti. I quali, in evidente conflitto di interessi, ambivano ad essere loro gli unici araldi della battaglia per la libertà in patria. Gli hanno fatto eco le solite icone intellettuali slegate dalla realtà, come la Nobel Shirin Ebadi, che ha affermato: «La miglior cosa che Washington possa fare è lasciare soli i riformisti iraniani: la democrazia non si importa». L’ex responsabile dell’Idp, Denehy, ha replicato definendo “risibile” l’ipotesi che il programma scatenasse la repressione. E ha incassato la solidarietà di un dissidente vero, l’ex leader degli studenti del Vahdat, Akbar Atri. Incaricatosi di respingere le critiche del Niac, in quanto «frutto di individui che a stento han visitato l’Iran».

Chi certamente non si lamenta del ”provvidenziale” stop al finanziamento dei propri avversari, è la cricca degli ayatollah. Poco sorpresi dal dietrofront obamiano. La svolta era nell’aria, almeno dal recente licenziamento del più seguito polemista di Voice of America, Mohsen Sazegara: troppo netto nel denunciare i misfatti di Basiji e Pasdaran. E se invece alla fine avesse ragione Henry Kissinger? L’ex segretario di stato attribuisce ad Obama una «volontà di rendere invisibile qualunque cosa deciderà di fare in Iran». Però dal sottotraccia al nulla il passo è breve.

Anonimo ha detto...

Esplicita, se non altro, la giustificazione offerta dal capo staff di Obama, Emanuel. Che ha spiegato come «in un momento di tumulti in Iran, gli Usa non devono prendere le parti di nessuno. Fomenterebbe l’instabilità». Aggiungendo: «Come reagiremmo se l’Iran finanziasse trasmissioni in inglese per convincere gli americani a intraprendere la jihad?». D’altronde secondo lui la cancellazione degli aiuti evita «uno spreco di risorse, che si possono impiegare meglio altrove», e costituisce «un passo verso la responsabilità fiscale». Manco fosse la scelta di una brava massaia. In realtà, se proprio si voleva risparmiare, gli esborsi inutili erano altri. In particolare i 20 milioni di dollari pubblici (non ancora assegnati) dell’agenzia per lo sviluppo (Usaid). Distribuiti annualmente, col pretesto di propagandare la causa iraniana, ad ong, college, fondazioni e filantropi americani e occidentali. Insomma a tutti meno che agli attivisti che in Iran vivono e rischiano la pelle. Il modulo per la richiesta parla chiaro: «programmi a sostegno di soggetti politici (iraniani) non verranno considerati».

Anonimo ha detto...

BASTAAAAAAAAAAAAAAA!!!!!
VIVACOSSIGA sono io solamente
non iscriverti al blog se devi solo copiare cazzate
BASTAAAAAAAAAA
MODERATORE se ci sie batti un colpo fati sentire la tua voce
dov'è sei???
BASTAAa

Anonimo ha detto...

Da ora in poi VIVACOSSIGA verrà usato solo ed esclusivamente per le interviste, gli scritti e gli interventi dell illustre senatore a vita,come questa qui sotto riportata ,tutto il resto sarà da considerarsi falso ed opera dell importunatore.

Con Reverenza

VIVACOSSIGA

Anonimo ha detto...

«Chi poteva davvero immaginare che una sintonia così forte ad esempio con la Russia, vedi il dossier energia, o con la Libia, versante gas, non desse fastidio a qualcuno?».

Torniamo al «Guardian»: gli sherpa Usa avrebbero preso il controllo dell`agenda del G8 in programma da oggi all`Aquila, per evitare caos e ritardi.

«Hanno preso fischi per fiaschi».

In che senso? «La conference call a cui alludono, svoltasi effettivamente alcuni , giornifa, aveva come obiettivol`organizzazione del G20, non del G8. Quindi, hanno preso di mira il coordinamento britannico.

Insomma, c`è stato «fuoco amico», visto che hanno sparato contro il loro governo.

Ma non finisce qui, la lista di errori è lunga».

Continui.

«Tutto il mondo ha capito, apprezzato, questa sorta di miracolo che intendiamo compiere, portando i Grandi del mondo nella terra del dolore, nonostante fosse già tutto pronto nella splendida sede della Maddalena. E cosa fa di contro il giornale inglese? Sbeffeggia, offende la sensibilità italiana davanti a una tragedia, con insulti che vanno respinti con disprezzo. Senza contare che viene preso di mira pure il sistema collegiale del G8».

A cosa si riferisce? «Il Guardian, non nuovo a infortuni del genere, dimentica che al G8 si lavo- ra insieme. Non c`è un capo e la presidenza di turno regola il traffico, semmai propone, ma non decide da sola».

In definitiva, si prenderebbe di mira il premier per colpire l`Italia? «C`è una grande rete, fuori e dentro il nostro Paese, di nemici dell`Italia, Paese che viene invidiato. E si tende a colpire entrambi, anche perché il presidente del Consiglio ha una caratteristica che non viene, diciamo così, gradita».

Quale sarebbe? «II fatto fortuna nella vita, è amato dalla gente. in più, è l`unico leader al governo che ha vinto anche le elezioni amministrative, perse invece da Zapatero e Brown, non vinte da Merkel e Sarkozy».

Circola voce che stiano per uscire altre fotografie, magari all`estero, allo scopo di mettere in imbarazzo Berlusconi.

Teme possano venire pubblicate nelle prossime ore, con il summit in corso? «Sono mesi che tentano di attaccarlo con strumenti giudiziari, prostitute, interviste comprate. E in futuro arriveranno magari fotomontaggi. È stato fatto quanto di più vergognoso e nefando possibile. Cosa può succedere d`altro? In ogni caso, gli italiani sono troppo intelligenti per cadere nel tranello».

Sempre in tema vertice, s`è ipotizzato un «Piano B» in caso di terremoto? «Non se n`è mai parlato, non esiste.

Ma è una vergogna che ci sia qualcuno che speri nell`arrivo di una bella scossa del quinto o sesto grado.

Questi signori facciano il tifo a casa loro».

Vincenzo La Manna

Anonimo ha detto...

Dov’erano, ministro Frattini?
«Erano in Transatlantico e nei corridoi del PdL a borbottare contro Berlusconi, a preparare la successione, a dirsi un giorno sì e uno no: domani arriva il colpo decisivo e si dimette».

Tutti con un palmo di naso.
«Non voglio dire in quali ambienti, ma anche qualcuno che gli deve tutto...».

Intende Gianfranco Fini?
«Fini è presidente della Camera dei deputati, una figura istituzionale».
A sentirlo parlare, sembra che Franco Frattini non aspettasse altro che la fine del G8 per togliersi questo sassolino dalla scarpa. Quando vuole, anche il nostro azzimato ministro degli Esteri sa dire pane al pane.

Anonimo ha detto...

Circola voce che stiano per uscire altre fotografie, magari all`estero, allo scopo di mettere in imbarazzo Berlusconi.

Teme possano venire pubblicate nelle prossime ore, con il summit in corso? «Sono mesi che tentano di attaccarlo con strumenti giudiziari, prostitute, interviste comprate. E in futuro arriveranno magari fotomontaggi. È stato fatto quanto di più vergognoso e nefando possibile. Cosa può succedere d`altro? In ogni caso, gli italiani sono troppo intelligenti per cadere nel tranello».

Sempre in tema vertice, s`è ipotizzato un «Piano B» in caso di terremoto? «Non se n`è mai parlato, non esiste.
Una vergogna vergognosa

Anonimo ha detto...

Cossiga: "Ogni volta che in giro c’è una fregnaccia dietro c’è Di Pietro"

Presidente emerito Francesco Cossiga, Scalfaro vorrebbe Berlusconi in Parlamento a cospargersi il capo di cenere sulle sue vicende private...
«Scalfaro è un cattolico di strettissima osservanza. Rigido lo è sempre stato, fa parte del suo temperamento. Quindi si può comprendere la condanna... Fin dall’inizio ha sempre accusato Berlusconi di una sorta di “invasione di campo” nella politica nazionale».
Scalfaro ritiene che, se il Parlamento chiama, un uomo di Stato abbia il dovere di rispondere presentandosi in aula.
«Un dovere esiste, se si tratta di affari di Stato. Non c’è alcun obbligo di andare in Parlamento per parlare di fatti privati».
Berlusconi però ne ha parlato addirittura in tv.
«Il Parlamento è un’altra cosa. Al massimo si può pensare che il premier ci mandi un uomo benvoluto da tutti, come Paolino Bonaiuti, a spiegare che quella in oggetto non è materia di discussione... ».
Nonostante nell’affaire si sia parlato anche della questione dei voli di Stato, utilizzati dagli ospiti di Berlusconi?
«Per questa vicenda la denuncia è già archiviata, lo Stato non ci ha rimesso un euro».
C’è chi ha sostenuto che ci sia stato un danno per l’erario.
«Questo qualcuno è Tonino Di Pietro: quando ci sono fregnacce in giro, di solito sono le sue. Ha sostenuto che la presenza di qualche passeggero in più comportasse un maggior consumo di kerosene...».
Forse sarebbe stato meglio mantenere la direttiva di Prodi che restrinse il numero degli aventi diritto.
«Per carità, quella direttiva fu fatta in modo confuso, dettata dalla fifa di Prodi per quella vicenda del volo di Mastella e Rutelli all’autodromo di Monza... Da allora io non ho più usato voli di Stato, per scongiurare che qualche interpretazione di comodo facesse correre rischi all’ufficio dei voli della presidenza del Consiglio o al comandante del 31° stormo».
Bene, e quali aerei usa?
«Qualche volta ho usato quelli di Berlusconi, a pagamento s’intende. Oppure quelli di Toto... D’altronde, su altre linee non mi lasciano volare, mi è proibito. Senza contare che, con gli uomini della scorta, costerebbe un botto».
Scalfaro s’è detto fervido ammiratore dello stile di Obama... Ma in fatto di morale, poi, i presidenti Usa non sono proprio questo grande esempio.
«S’è parlato fino alla noia del parallelo con il caso Clinton. Ma Clinton fu messo sotto accusa non per la relazione con la Lewinsky, quanto per le menzogne che aveva detto... in tv, non certo al Congresso».
Berlusconi non corre rischi.
«Berlusconi sta zitto da tempo, e come sa approvo pienamente questa scelta».
Scalfaro lamenta la frequentazione con certe signore che, dice, sono «spesso destinatarie di chi fa spionaggio in casa nostra».
«Non comprendo a quelli servizi si riferisce: quelli interni o quelli esteri? Perché per quelli esteri resto dell’opinione che l’Italia sia un Paese nel quale non c’è nulla da spiare».
E per quelli interni?
«Il complottismo è una delle malattie del Paese... Ma che le donne vengano utilizzate dai servizi è vero, il Kgb le addestrava in proprio».
Torniamo al desiderio di Scalfaro: vedere Berlusconi che «si cosparge il capo con un pizzico di cenere».

VIVACOSSIGA E BASTA!!!

Anonimo ha detto...

Circola voce che stiano per uscire altre fotografie, magari all`estero, allo scopo di mettere in imbarazzo Berlusconi.

Teme possano venire pubblicate nelle prossime ore, con il summit in corso? «Sono mesi che tentano di attaccarlo con strumenti giudiziari, prostitute, interviste comprate. E in futuro arriveranno magari fotomontaggi. È stato fatto quanto di più vergognoso e nefando possibile. Cosa può succedere d`altro? In ogni caso, gli italiani sono troppo intelligenti per cadere nel tranello».

Sempre in tema vertice, s`è ipotizzato un «Piano B» in caso di terremoto? «Non se n`è mai parlato, non esiste.
Una vergogna vergognosa

Anonimo ha detto...

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(°,°)
( U )

Anonimo ha detto...

Così la legge In Gran Bretagna "piratare" i telefoni cellulari è considerato un reato sulla base della stessa legge che regola le intercettazioni telefoniche e altre forme di raccolta di informazioni, il Regulation of Investigatory Powers Act 2000, noto come Ripa. La norma stabilisce che le intercettazioni sono illegali salvo nel caso in cui siano effettuate dalla polizia o da servizi di intelligence dietro un preciso mandato e allo scopo di garantire la sicurezza nazionale, prevenire crimini gravi o salvaguardare l’economia del Paese. È inoltre considerato un reato ottenere accesso a informazioni in sistemi di comunicazione, come messaggi vocali, senza l’autorizzazione di un giudice. Non esistono deroghe all’accesso di dati esclusivamente da parte di polizia e intelligence.

Anonimo ha detto...

Segnalo a Minnanom, Mauroc e vc che ho messo un ultimo commento a http://centrodestra.blogspot.com/2009/07/psicopatologia-del-no-global-per.html

Segnalo poi, riguardo all'argomento di questo post, questo sito:
http://www.cielilimpidi.com/

buona giornata

Luigi