mercoledì 8 luglio 2009

Ora Lerner e D'Alema scoprono Santa Maria Goretti. Camillo Longone

Lasciar stare i santi è una regola che da cattolico praticante e militante non mi sognerei mai di violare. Però sui distributori di santini rivendico il diritto di scherzo. Gad Lerner (su La Repubblica), monsignor Mariano Crociata (dal pulpito) e Massimo D’Alema (ovunque si trovi) fanno a gara per elogiare il modello-Santa Maria Goretti: i politici, secondo loro, dovrebbero imitare la modestia e la castità della dodicenne che nel luglio del 1902 scelse di farsi uccidere anziché stuprare. Credo non sia necessario rammentare la figura di questa ragazzina marchigiana, emigrata con la famiglia nella pianura pontina al tempo ancora malarica. La prima volta che conobbi la sua storia la commozione si mescolò, devo ammetterlo, con la perplessità: sono uomo pratico e a una figlia consiglierei il primum vivere. Ma se la Chiesa l’ha proclamata santa significa che Dio ha apprezzato più di me il suo comportamento, realizzando attraverso di lei vari miracoli. Quindi chino umilmente il capo, senza però smettere di sentirmi più vicino ai campioni del cattolicesimo immoralista, ovvero di una religione non basata sulla morale (una morale sono capaci di inventarsela tutti, anche Eugenio Scalfari), ma su Cristo: Sant’Agostino che scrisse «Ama, e fa’ ciò che vuoi» e San Filippo Neri la cui tipica, simpatica esortazione era «State buoni se potete». E non vorrei tirare in ballo la prima meravigliosa enciclica di Papa Benedetto XVI, la Deus caritas est in cui è stampato qualcosa di inaudito, qualcosa che ribadisce la Chiesa come l’unica istituzione erotofila che ci sia: l’eros non è mai totalmente disgiunto dall’agape, scrive Ratzinger; anche in ciò che viene definito volgarmente sesso può nascondersi, si nasconde, il segreto dell’amore. Che Lerner e D’Alema non siano ferratissimi in encicliche è comprensibile, giustificabile, più grave che a contraddire il Santo Padre sia monsignor Crociata, segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana. Comunque nulla di sorprendente: Crociata è un sacerdote cattolico che si veste da pastore protestante e parla come un puritano, proprio come se appartenesse a quella setta eretica, di stampo calvinista, con cui da tempo si denominano i braghettoni e i beghini, gli ossessionati dai cosiddetti peccati della carne. All’apice della loro parabola, nell’Inghilterra del XVII secolo, i puritani riuscirono a imporre la chiusura dei teatri e dei locali di divertimento, come forse vorrebbe fare monsignor Crociata per contrastare il da lui deprecato «libertinaggio». Ma il prelato trapanese (esperto di dialogo con l’islam, inesperto di dialogo coi cattolici) conosce il significato della parola? Dai resoconti dell’omelia pronunciata nella casa di Santa Maria Goretti, a Borgo Le Ferriere (Latina), non si direbbe. Del resto è normale, non credo che De Sade sia molto presente nelle biblioteche dei seminari. Io invece l’ho cominciato a leggere da ragazzino alla biblioteca comunale di Reggio Emilia, magari ne so qualcosa in più. Il libertino non va confuso col donnaiolo, il libertino può essere etero, omo o anche asessuato, il libertino può essere un sadico o un masochista o un marito fedele alla moglie essendo il libertinismo innanzitutto mentale. I libertini sono all’origine filosofi o parafilosofi francesi vissuti fra Sei e Settecento secondo i quali, tenetevi forte: 1) Dio non esiste; 2) le religioni sono superstizioni; 3) l’uomo è un animale, nient’altro che un animale. Chi frequenta la storia delle idee e non parla per sentito dire riconosce come eredi dei libertini Corrado Augias e Piero Angela e Aldo Busi e Michel Onfray e Piergiorgio Odifreddi e Margherita Hack e Stefano Rodotà, non certo, tanto per essere chiari, Silvio Berlusconi. Nel lungo e tristo elenco non ho volutamente inserito Lerner né D’Alema di cui non ho ben chiaro il presente status (non ho capito quanto e se ancora pratichino le religioni d’origine, l’ebraismo per il primo, il comunismo per il secondo). So soltanto che sono due acerrimi anticristiani, gorettini solo all’occorrenza, per orrendo machiavellismo: D’Alema complotta sotto i baffi mentre Lerner imputa a Berlusconi addirittura dei «festini», con un linguaggio da questura anni ’50. Sono nella realtà scagliatori di prime pietre, e di seconde, e di terze... Specialisti di caccia al capro espiatorio, l’unico rito che conoscono bene è quello del linciaggio. (il Giornale)

7 commenti:

Anonimo ha detto...

Il moralismo è l arma dei miserabili

VIVACOSSIGA

Anonimo ha detto...

allora se da politico stuprassi una minorenne non avresti da ridire niente?

che belpaese di merda

Anonimo ha detto...

Osservazioni del CNDCEC sulle nuove procedure di valutazione in materia di conferimenti non in denaro nelle Spa


Le novità introdotte dagli artt. 2343-ter e 2343-quater, in materia di conferimenti non in denaro nelle Spa, minano il principio fondamentale della certezza dell'effettiva formazione del capitale sociale, consentendo di utilizzare una valutazione fatta da un "esperto", che può essere anche non professionista redatta anche solo il giorno prima. In questo modo, viene aggravata la posizione degli amministratori della società, i quali sono responsabili della scelta del metodo di valutazione.
Per tale ragione, si auspica il "ripristino" del sistema ordinario ex art. 2343 c.c.
lunedì 29 giugno 2009

Anonimo ha detto...

Non "paga pena" il commercialista che entra nello studio associato trasferendo con sé anche i propri assistiti
Non interessa al fisco - almeno per quanto riguarda la determinazione del reddito da lavoro autonomo - se il professionista, senza alcun corrispettivo, sceglie di costituire, insieme ad altri colleghi, uno studio associato, portando con sé la propria clientela. La risposta non cambia nel caso tale apporto sia preso in considerazione nella determinazione delle quote di partecipazione agli utili.
Il chiarimento, nella risoluzione n. 177/E del 9 luglio.

Il problema è stato sollevato da un professionista che, insieme ad altri colleghi (avvocati, dottori commercialisti ed esperti contabili), vuole esercitare la propria attività in forma associativa e chiede se questa scelta comporti ripercussioni fiscali sul singolo socio; precisa che nessuno dei componenti riceverà compensi per l'operazione effettuata e che i profitti del nuovo organismo saranno determinati in base al contributo di ognuno.

Il dubbio nasce dall'interpretazione del comma 1-quater dell'articolo 54 del Tuir, introdotto con il Dl 223/2006, il quale stabilisce che "i corrispettivi percepiti a seguito della cessione della clientela o di elementi immateriali comunque riferibili all'attività artistica e professionale" concorrono alla formazione del reddito di lavoro autonomo.

I tecnici dell'Agenzia, per rispondere al quesito, chiamano in causa la circolare 8/2009, con la quale le Entrate hanno già avuto modo di precisare che non si rileva alcun reddito da sottoporre a tassazione nell'ipotesi in cui non sia prevista remunerazione per la "vecchia" clientela portata dal libero professionista al momento dell'adesione all'associazione, così come al momento dell'eventuale recesso.
Ipotesi che ritroviamo nell'interpello esaminato.

Non fanno differenza le quote ridistribuite secondo il "peso professionale" di ognuno. Per la quantificazione delle somme da assegnare ai soci, infatti, diversi sono i fattori determinanti: esperienza, attività professionale, bagaglio di conoscenze. La maggiore partecipazione alle quote di utili non può essere considerata come corrispettivo dell'apporto della clientela.
In pratica, con il modello associativo, si modifica soltanto l'organizzazione dell'attività esercitata, che diventa più efficiente e meno dispendiosa, ma non cambia il tipo di rapporto "personale" tra il singolo professionista e il suo assistito, unico elemento che appare veramente essenziale nell'attribuzione dei compensi.
Anna Maria Badiali

Anonimo ha detto...

Camillo Langone si chiama BESTIA!!!
neanche copiare i pezzi degli altri...

Vincenza ha detto...

All'autore dell'articolo vorrei dire che Maria Goretti non ha scelto fra la morte e lo stupro, ma fra un'atto sessuale (che però per la "ragazzina" era un atto senza amore) e la morte.

Se chi l'ha uccisa avesse voluto stuprarla non si sarebbe posto il problema di chiederglielo: l'avrebbe stuprata e basta.

Forse quello del giovane assassino era un desiderio ossessivo, non lo so: credo che negli anni del carcere abbia chiarito molto bene come siano andate la cose. Visto che è anche grazie alla sua testimonianza oggi riconosciamo la santità di Maria Goretti.

Infine vorrei le dire che certo un padre preferirebbe vedere la figlia stuprata piuttosto che morta. Ma un uomo (anche se padre)non sa cosa significa per una donna lo stupro, e in tale condizione di ignoranza, sarebbe più onesto consigliare di difendersi.

Anche se ultimamente mi pare che una sentenza ha ridotto la pena di uno stupratore che alla fine aveva ucciso la sua vittima: perchè se lei non si fosse difesa lui non l'avrebbe uccisa.
Il punto di vista di un uomo su questi argomenti è sempre riduttivo su questo argomento.

Grazie.

Anonimo ha detto...

Da ora in poi VIVACOSSIGA verrà usato solo ed esclusivamente per le interviste, gli scritti e gli interventi dell illustre senatore a vita,come questa qui sotto riportata ,tutto il resto sarà da considerarsi falso ed opera dell importunatore.

Con Reverenza

VIVACOSSIGA