martedì 9 febbraio 2010

Fiat, facciamola finita e togliamoci questo peso prima e meglio possibile. Milton

“La Fiat non ha mai preso un soldo dallo Stato nel corso degli ultimi anni di gestione” Se non ci fossero in gioco i destini di qualche migliaio di famiglie ci sarebbe da sbellicarsi dalle risate. Tra paradosso e comicità il Presidente di Fiat Montezemolo, la scorsa settimana, ha scambiato l’aula magna della Luiss per il palcoscenico di Zelig e con una performance degna di Checco Zalone, ha discettato di semantica facendo una dotta distinzione tra aiuti di Stato ed incentivi ai consumatori. Tecnicamente una castroneria senza fine, per non parlare della faccia tosta.

Ecoincentivi, rottamazioni, mobilità lunghe, compensazioni crediti/debiti d’imposta, utilizzo della cassa integrazione come buffer operativo per i diversi picchi di produzione, e chi più ne ha, più ne metta. Ma anche se dimenticassimo questi “aiutini”, solo negli ultimi tre anni, ben 290 milioni di euro sono andati a Fiat come contributi per produzioni in aree depresse e per ricerca ed innovazione. Insomma, Montezemolo è un simpatico burlone, un burlone che però ha guidato con maggioranza bulgara gli industriali italiani, è attualmente Presidente di Fiat e di mille altre cose e vorrebbe, secondo alcuni, essere, prima o poi, a capo del Governo. In poco parole, la classe dirigente italiana… siamo proprio un Paese senza speranza!

Detto ciò, vediamo cosa sta succedendo. Da anni Fiat produce in Italia meno autovetture di quanto ne venda e da anni, al contrario di Spagna, Francia e Germania, il saldo import/esport di auto nel nostro Paese è negativo. Fiat ha lasciato l’Italia ormai da tempo e forse è il caso di prenderne atto e la famosa frase di Giovanni Agnelli “quello che è bene per la Fiat è bene per l’Italia” non ha certamente più valore, sempre ammesso che ne abbia mai avuto.

La strategia di Marchionne è chiara: mendicare aiuti di stato più possibile in ogni angolo del mondo e approffitare della crisi per tagliare i costi, scaricandoli sulle comunità locali e i rispettivi stati. E’ entrato in Chrysler senza pagare una lira, ha incassato gli aiuti (pardon incentivi!) miliardari di Obama e nel frattempo sta mandando a casa quasi metà della forza lavoro della casa americana, in attesa che la cinquecento sfrecci veloce per le strade dell’Arizona (!), … sarebbe, più o meno, come vedere un mollusco svolazzare da un albero all’altro. Avrebbe voluto fare lo stesso con Opel, prenderla quasi gratis e intascare gli aiuti (pardon incentivi!) del governo tedesco, ma è andata male. Insomma, una sorta di mega questua planetaria sulle spalle dei contribuenti di mezzo mondo.

L’Italia in questa strategia non può che avere un ruolo marginale. Raccogliere più “aiutini” possibile e piano piano chiudere. Le vendite Fiat in Italia hanno margini bassi, sia perché compete in un segmento non particolarmente remunerativo, sia perché il costo del lavoro e dei servizi, hanno raggiunto livelli proibitivi. Non ha senso avere qui una presenza produttiva significativa, sarebbe irrimediabilmente diseconomica.

Quindi che fare? E’ inutile forzare Fiat a rimanere. Che l’Italia si liberi progressivamente di Fiat, di questo annoso fardello, si sospendano per sempre tutti, ma prorio tutti gli “aiutini”, e si concentrino risorse e sforzi per favorire riqualificazioni industriali credibili e sostenibili per i siti coinvolti.

Ma attenzione Fiat non pretenda di scaricare interamente ancora una volta la propria responsabilità sociale sulle tasche dei cittadini, favorisca le riqualificazioni industriali e le relative opportunità di occupazione. Per una volta restituisca al territorio parte di ciò che ha preso e poi, ognuno per la sua strada. (l'Occidentale)

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