La partita conclusa ieri, in Cassazione, porta il nome apparente di David Mills, ma diversa era la posta reale: Silvio Berlusconi. La sentenza delude quelli che speravano di condannare il secondo, per il tramite del primo, lascia aperto un procedimento penale destinato ad autodistruggersi e impone una nuova agenda politica, in tema di giustizia. L’avvocato Mills la sfanga, salvo dover risarcire la parte civile, che, per ironia della storia, è quella presidenza del Consiglio oggi abitata dal suo cliente di un tempo. Ma chiusa una partita se ne apre un’altra, tocca al governo dare le carte, e c’è da sperare che giochi con la testa, senza il solito appellarsi alla fortuna o all’isteria.
Oggi in molti scriveranno che la Cassazione ha considerato Mills copevole, ma prescritto il reato, sicché deve ritenersi colpevole anche Berlusconi, che, però, non era parte in causa. La situazione è ancora più grottesca di quel che sembra: per effetto (perverso) del lodo Alfano, ovvero della sospensione del procedimento contro Berlusconi, e quale conseguenza della successiva sentenza d’incostituzionalità, il presunto corrotto e il presunto corruttore hanno avuto due processi diversi, di cui uno, quello a Mills, appena concluso, e l’altro, quello a Berlusconi, appena iniziato. Non occorre essere giuristi per rendersi conto che è una situazione da manicomio, che si sarebbe potuta evitare se la legge fosse stata fatta in modo meno superficiale, talché, oltre a renderla costituzionale, si fosse provveduto a sospendere anche i procedimenti a carico dei coimputati. E non occorre essere studiosi, bastando il buon senso, per aver chiaro che non è ragionevole vedersi condannare in un processo nel quale neanche si è imputati, quindi non ci si è difesi. Questo, però, è quel che stava succedendo.
La Cassazione fischia la scadenza del tempo: datando il reato al novembre del 1999 si constata l’intervenuta prescrizione. Se è vero per il corrotto, lo è anche per il corruttore. Anziché condannato, Berlusconi è prescritto per interposto Mills. E’ vero, non c’è, per Mills, l’assoluzione nel merito. Ma così come non si può essere un po’ incinte, neanche si può essere un po’ colpevoli. O lo si è, o non lo si è: senza sentenza di condanna, vale l’innocenza. (Si tenga a mente questo principio, lo tenga a mente il governo, cui oggi fa comodo, perché torneremo a parlare di mafia, e vedremo che le cose non sono poi così chiare).
Adesso, però, non c’è più bisogno di correre per evitare che il presidente del Consiglio sia condannato con una sentenza copia e incolla. L’anno in più che rimane (dato dalla sospensione ottenuta) non basta certo a chiudere tre gradi di giudizio. Le vie delle procure sono infinite, ma l’immediatezza del pericolo è venuta meno. Non ci sono alibi, non ci sono scuse: ora la riforma della giustizia. Ora, subito, perché dovrà essere discussa, perché coinvolge profili costituzionali e, quindi, quel che manca alla fine della legislatura è poco più del tempo necessario.
Le direzioni di marcia le abbiamo tante volte indicate e dettagliate: separazione delle carriere e avanzamento per merito, abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale, certezza dei tempi, sveltimento delle procedure (con la digitalizzazione si possono fare miracoli), pene da non elevare ma da far divenire certe, depenalizzazione e decarcerazione delle pene. Questa è la partita vera, che va giocata nell’interesse di tutti, dei cittadini come del mercato, senza piegarsi davanti alle pressioni corporative, senza avere tremori politici. Queste sono riforme serie, sulle quali chiamare alla collaborazione la sinistra in grado di starci, vale a dire capace di rendersi indipendente dal giustizialismo fascistoide che l’affligge.
Guai, invece, a giocare ancora tante piccole partite di cortile, che hanno incenerito troppe energie, massacrando la giustizia e rendendola quel colabrodo che ogni anno si offre al pubblico ludibrio. Le polemiche sulla sentenza di ieri evaporeranno entro la fine di marzo, ma la malagiustizia non svanisce e la lasciamo in eredità ai posteri. Questo è il tempo d’agire, prima che la giostra ricominci.
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3 commenti:
La cosa più scandalosa della sentenza di prescrizione mills è l assoluta mancanza di rispetto della legge da parte del giudice :
Art. 129. codice procedura penale
Obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità.
1. In ogni stato e grado del processo, il giudice, il quale riconosce che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero che il reato è estinto o che manca una condizione di procedibilità, lo dichiara di ufficio con sentenza.
2. Quando ricorre una causa di estinzione del reato ma dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere con la formula prescritta.
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Il punto è molto semplice :
il reato andava mandato in prescrizione e il cittadino non giudicato,
in quanto il giudice non può giudicare chi non è sotto sua giurisdizione ne il cittadino difendersi da accuse cui non potrà più rispondere .
GIULIO MILLS, DAVID ANDREOTTI
Benché il problema sia stucchevole, sia per la sua chiarezza, sia per le innumerevoli volte in cui è stato discusso, per la prescrizione riguardante David Mills è ricominciato il carosello di parole della sinistra. Essa vorrebbe dimostrare l’indimostrabile e cioè che:
La prescrizione corrisponde alla 1) affermazione della colpevolezza dell’imputato con la 2) esclusione della condanna.
In realtà essa corrisponde alla 1) affermazione della non-evidenza dell’innocenza dell’imputato con 2) estinzione dell’eventuale reato per il passaggio del tempo.
Al riguardo basta leggere l’art.129 comma 2 del codice di procedura penale, il quale statuisce: “Quando ricorre una causa di estinzione del reato ma dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere con la formula prescritta”, invece di applicare la prescrizione. Se invece applica la prescrizione se ne deduce che “dagli atti NON risulta evidente che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso”.
Infatti nella sua requisitoria il Procuratore Generale presso la Cassazione Gianfranco Cioni ha richiesto l’applicazione della prescrizione e non l’assoluzione con formula piena perché «Non vi sono i presupposti per il proscioglimento nel merito di Mills». “Nel merito”, per chi non è abituato al linguaggio dei giuristi, significa “nel caso specifico, considerando i fatti che ci sono noti”. Il procuratore ha dunque detto: “non posso chiedervi l’assoluzione di Mills perché non sono sicuro che sia innocente: dunque applicate la prescrizione”. Viceversa non avrebbe potuto dire “sono sicuro della colpevolezza di Mills ma voi proscioglietelo per la prescrizione” perché l’art.129 non prevede la dichiarazione di colpevolezza dell’imputato cui è applicata la prescrizione. Lo prevede solo un fantastico articolo del diritto processuale penale inventato dai vari giornalisti di sinistra, con alla testa D’Avanzo e Travaglio.
Al riguardo tutto è stato più ampiamente spiegato a proposito del processo a Giulio Andreotti (1) e chi vuole può trovare in quella sede più ampie argomentazioni giuridiche.
Qui si possono solo aggiungere alcuni corollari.
Quando si giunge alla prescrizione, prima di cercare l’eventuale colpa dell’imputato, bisogna constatare una non eventuale ma concreta ed evidente colpa dei giudici. La legge ha previsto la prescrizione affinché un cittadino non sia tenuto nell’ansia di una condanna, e di una grave lesione di immagine, per anni ed anni: dunque concede un ampio margine agli inquirenti e ai giudicanti, ma poi pone un termine ultimo. Se la magistratura non riesce ad arrivare ad una sentenza neanche approfittando di questo ampio margine, è essa la prima colpevole, non l’imputato.
Nel caso Mills la scorrettezza dei giudici – oggi sanzionata nientemeno che dalle Sezioni Unite della Cassazione, cioè con sentenza cui dovranno in futuro attenersi tutti i giudici in casi analoghi – è stata solare. Essi hanno voluto reputare – per spostare in avanti il momento della commissione del fatto, in modo che non si avesse la prescrizione – che il reato attribuito al Mills sarebbe stato commesso quando egli avrebbe cominciato ad utilizzare la somma che è stato asserito avrebbe ricevuto, e non quando Mills ha avuto la disponibilità del denaro o quando si è avuto l’eventuale accordo corruttivo. Sarebbe come se Tizio pagasse Caio, assessore comunale, per scavalcare gli altri in un appalto comunale, un anno dopo Caio cominciasse a spendere il denaro ricevuto per la corruzione e i magistrati dicessero che il termine per la prescrizione decorre da questo secondo momento. Un assurdo tale che il lettore normale, leggendo, si chiede se ha capito bene. E tuttavia su questa base si è avuto un processo Mills che è durato per anni, che è arrivato in Corte d’Appello ed ora in Cassazione.
E non è l’unica stranezza di questo processo. I magistrati di Milano hanno inventato un’ulteriore fattispecie giuridica, la “corruzione susseguente”. Nell’esempio di prima: Caio fa attribuire un determinato appalto a Tizio, che non vi ha diritto, e in seguito Tizio gli fa un regalo. Ora i casi sono due: o Tizio gli ha promesso il regalo, e si ha l’accordo corruttivo, momento da cui decorre la prescrizione; oppure Tizio non ha promesso niente a Caio e allora non si è avuta la corruzione. Ma questi semplici ragionamenti erano troppo difficili da capire, a Milano.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
26 febbraio 2010
(1) http://pardonuovo.myblog.it/archive/2010/01/10/andreotti-mafioso-o-no.html
P.S. Il risarcimento che è stato imposto a Mills di versare somiglia moltissimo all'affermazione di colpevolezza di Andreotti per il tempo su cui operava la prescrizione: un contentino ai giudici dei precedenti gradi di giudizio, per non squalificarli clamorosamente.
Tuttavia sarebbe bello poter sperare che i giudici successivi non stravolgano la legge per salvare la faccia ai colleghi. Infatti, come si può essere obbligati a versare un risarcimento per un reato che lo stesso giudice non può affermare nel dispositivo? Se sbaglio, sono pronto a riconoscerlo.
Gianni Pardo
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