La prossima sarà una domenica inutile: anzi, peggio che inutile. Costretti a lasciare l’automobile in garage per l’intera giornata a seguito di un’iniziativa demagogica assunta dai sindaci delle maggiori città del Nord, milioni di concittadini subiranno in silenzio questo ennesimo sopruso, che per varie ragioni appare insensato.
Il sindaco milanese Letizia Moratti e quello torinese Sergio Chiamparino, promotori di questa giornata ambientalista, hanno provato a giustificare la decisione sostenendo che fermare gli automezzi sarebbe importante per salvaguardare l’aria e rispondere a una situazione intollerabile (sia a Milano che a Torino i limiti di legge riguardanti il PM 10 sono stati superati più di trenta volte dall’inizio dell’anno). Ma lo stesso primo cittadino del capoluogo piemontese ha poi dichiarato, senza giri di parole: “Il blocco del traffico non è una misura che strutturalmente può contrastare l’inquinamento, ma è importante farlo in modo coordinato su una vasta area”.
Non serve, ma va bene lo stesso.
Stupisce tanta leggerezza, anche se il comportamento degli amministratori è in parte comprensibile alla luce del fatto che essi sono “sotto ricatto”: da anni l’Italia ha adottato limiti rigidissimi, che è impossibile rispettare, e in questa situazione i sindaci rischiano ogni giorno di finire sul registro degli indagati. Come infatti è accaduto poche settimane fa e come potrebbe succedere di nuovo. Oggi si bloccano le automobili, insomma, nella speranza che questo serva, domani, a bloccare le inchieste.
È triste però che di queste cose non si discuta e che nessuno si domandi se i limiti (ben più ampi) adottati da altre legislazioni europee mettano a rischio la salute o, più semplicemente, non rappresentino una soluzione più equilibrata a un problema – quello dell’inquinamento – che in realtà è in via di risoluzione grazie allo sviluppo di tecnologie meno inquinamenti e alla trasformazione della nostra economia da prevalentemente industriale a largamente terziarizzata.
Negli ultimi cinquant’anni a Parigi la concentrazione di “fumo nero” nei mesi più freddi, ad esempio, si è ridotta dell’80%: oggi, insomma, è solo un quinto di quanto non fosse negli anni Sessanta. Una stessa trasformazione si è avuta da noi e chi ricorda lo smog milanese dei decenni scorsi lo sa bene. Come ha sottolineato un paio di anni fa Francesco Ramella, “nel corso degli ultimi quindici anni la concentrazione nell’aria di tutti i maggiori inquinanti nel capoluogo lombardo si è drasticamente ridotta: il biossido di zolfo è passato da 38 a 5 μg/m3 (-87%); il biossido di azoto è diminuito da 115 a 60 μg/m3 (-48%); l’ossido di carbonio è stato abbattuto da 3,9 a 1,3 μg/m3 (-67%) le polveri totali sospese sono state ridotte da 140 a 59 μg/m3 (-58%)”.
C’è un’altra considerazione da farsi. Il blocco del traffico è una grave lesione a un diritto fondamentale, quello di muoversi. Sorprende leggere che, di fronte alla diffusa consapevolezza dell’inutilità dello stop che avrà luogo domenica prossima, molti già sostengano che la cosa vada ripetuta nei giorni feriali. La sensazione, ma non si tratta solo di una sensazione, è che agli occhi dei politici le nostre libertà non siano nulla e che di noi si possa fare quello che si vuole.
Solo stupidità? Non è così.
Da un certo punto di vista, è facile riconoscere quale sia il vero significato di una decisione altrimenti ingiustificata. Per cogliere dove voglia davvero condurre tale iniziativa basta leggere la conclusione del documento con cui Legambiente ha dato il proprio sostegno all’iniziativa di Moratti e Chiamparino: “sappiamo che non basta fermare le auto un solo giorno all’anno, ma l’adesione alla giornata di decine di sindaci di città importanti, affiancati dai sindaci di città più piccole che prendono contemporaneamente simili decisioni, ha certamente una grande importanza, simbolica ed educativa”.
Ecco, l’ultimo aggettivo è fondamentale: lorsignori ci vogliono “educare”. Sindaci, ambientalisti, presidenti di Regione e funzionari delle varie agenzie pubbliche preposte a vigilare sull’aria non intendono limitarsi a svolgere il loro lavoro, ma puntano a dirci cosa si deve fare, e cosa non si deve fare. E in qualche caso vogliono che noi si sia partecipi di quella medesima angoscia che avvertono di fronte alla notizia che in Kenya va calando il numero degli elefanti o che la temperatura globale – anche se soltanto nei dati truffaldini dell’Ipcc – va crescendo.Non dobbiamo sorprenderci di questo, poiché da anni quanti frequentano i primi anni della scuola dell’obbligo sono educati al culto della Madre Terra, condotti nei giardini pubblici a piantare alberelli, stimolati in tutti i modi a buttare il vetro nelle campane della raccolta differenziata. La fabbrica del buon cittadino ecologista lavora a pieno regime.
D’altra parte, nessun potere vive senza un’ideologia che lo sorregga, perché è difficile dominare l’uomo usando sempre e solo la forza. Ma è assai più agevole governare se lo si fa in nome di qualche “divinità” (più o meno dichiaratamente tale) e, per giunta, avendo a cuore il benessere di tutti: panda inclusi. Se non si parte da qui è difficile comprendere questa insulsa domenica senza macchine, in cui il ceto politico cerca di trovare una qualche ragione di autolegittimazione appellandosi a un confuso intruglio ideologico in stile New Age.
Alla fine, come spesso capita, tutto si risolverà comunque in una rapina. In fondo, anche gli incentivi con cui finanziamo la grande industria vengono solitamente giustificati con argomenti “ecologici”. E così oggi il movimento dei sindaci padani vuole che – finiti gli scherzi di un carnevale tardivo rispetto al calendario – dalle chiacchiere si passi ai fatti: e già si annunciano richieste di ulteriori imposte che penalizzino l’automobile. I molti miliardi di euro che ogni anno sono sottratti ai titolari di autovetture, evidentemente, non bastano.
Ma lamentarsi sarebbe ingiusto: in fondo, tutto questo è fatto per il nostro bene. (IBL)
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