Non so se iniziare segnalando la vergogna di una Corte Costituzionale che continua a calpestare la Costituzione, oppure ricordando le mie capacità divinatorie. Difatti, il 23 novembre 2008, dalle colonne di questo giornale, commentando la scandalosa elezione di Giovanni Maria Flick a presidente della Corte, feci due previsioni: il suo successore sarà Francesco Amirante, cui seguirà Ugo De Siervo. Centrate. Facevo anche una terza previsione: dopo De Siervo, nell’aprile del 2011, eleggeranno presidente Paolo Maddalena. E così andranno le cose, a meno che non si verifichi un auspicabile sussulto di dignità, o un non augurabile intervento della natura. Tutto questo non sarebbe possibile se i custodi della Costituzione la rispettassero.
Leggiamo l’articolo 135 della Costituzione, quinto comma: “La Corte elegge tra i suoi componenti (…) il presidente, che rimane in carica per un triennio, ed è rieleggibile (…)”. Non c’è scritto che rimane in carica “un massimo” di tre anni, ma che presiede per un triennio, rinnovabile. I Padri costituenti avevano le idee chiare, tanto è vero che aggiunsero, per prudenza e conoscendo il pollame italico: ferme restando le scadenze dei mandati. Tradotto: se eleggete presidente uno che sta per andare via, non per questo rimane in carica altri tre anni. Quindi: può essere eletto solo chi ha almeno tre anni di mandato davanti. Meglio sei, per contemplare l’ipotesi del rinnovo. E così è stato, fino agli anni novanta, epoca di disfacimento istituzionale. In chiusura di secolo è partito il malcostume di mandare in pensione il più alto numero possibile di giudici costituzionale con il titolo di presidente emerito (30.000 euro al mese, macchina e autisti a vita, e diritto d’insegnare dove gli pare). Grazie al positivo prolungarsi della vita, avremo più presidenti emeriti che giudici costituzionali.
Il criterio dell’anzianità di servizio è incostituzionale, ma è anche rivelatore di una misera decadenza della più alta Corte a luogo di connivenza carrieristica, quindi di cortigiani. Quando elessero presidente Flick (14 novembre 2008), già ministro prodiano e destinatario di nomine dalemiane, deprecai il disgustoso spettacolo della presidenza trimestrale, feste di Natale comprese. Egli decise di replicare, invitando a leggere il discorso d’insediamento. Qui si trova scritto: “l’elezione del giudice anziano (…) è prassi largamente prevalente rispetto alla regola del triennio, posta dai Padri Costituenti”. Che è la puntuale, arrogante e anche insensibile conferma della mia denuncia: calpestano il dettato costituzionale.
Tutto questo i signori giudici lo sanno benissimo, al punto che quando fu eletto Amirante ci fu una solitaria scheda bianca (a parte quella dell’interessato, spero), mentre ieri De Siervo è prevalso per un solo voto su Alfonso Quaranta (che scade nel 2013). La vergogna, insomma, comincia a farsi strada e, chissà, potrebbe minacciare l’elezione di Maddalena. A quel punto, però, neanche Quaranta avrà più tre anni davanti. In ogni caso, li ritroveremo tutti fotografati in smoking e farfallino, intenti a sporchettare in una qualche prima musicale e teatrale, avendo conquistato il loro posto nel cafonal costituzionale.
Questi giudizi che mi cascano dalla penna, con il groppo in gola per l’amore che portiamo al diritto e alla Costituzione, ma a stento trattenendo un’indignazione che reclamerebbe un linguaggio più crudo e ruvido, prescindono completamente dal fatto che questi protoemeriti sono de sinistra. Affari loro. Di una cosa, però, sono sicuro: se non lo fossero non ce ne staremmo solitari, a scriverne in questi termini, se non lo fossero ci sarebbe una qualche cattedrina di diritto costituzionale che non se la farebbe sotto nell’additare lo sconcio. Invece, tutti zitti, questi maestri di viltà.
In ultimo, e venendo ai contenuti della breve presidenza De Siervo. Insediandosi ha preso la prima decisione: l’udienza sul legittimo impedimento, originariamente fissata al 14 dicembre, è spostata all’11 o 25 gennaio. Perché, ha detto, è bene evitare un “eccessivo sovraccarico mediatico in un clima esterno infuocato”. Ora, a parte l’italiano oramai flesso alle esigenze di una lingua imbastardita e non dicente, e a parte che il clima di gennaio sarà più sereno solo nella fantasia politicante di chi crede di potersi permettere discorsi alla Nazione, faccio osservare che il richiamo al contesto esterno è esattamente ciò da cui i fortissimi privilegi di quei giudici dovrebbero tenerli lontani, mentre parlarne, con tanta compiaciuta conquista della ribalta, equivale ad alimentarne le fiamme.
Ove mai esistesse, la politica dovrebbe reagire. Tutto, invece, scorrerà nel vuoto mentale e morale di una classe non meno arrivista e priva di senso delle istituzioni. Sicché mi resta la speranza che ad indignarsi siano i cittadini, o, almeno, quanti fra loro hanno conservato un ricordo di quella cosa polverosa e brodolante cui ancora ci sentiamo legati: il senso dello Stato.
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2 commenti:
ma chi parla di anticostituzionalità? voi berlusconiani? NO DAI NON FATECI RIDERE DAI!!!!
Non parlerei di anticostituzionalità, bensì di inopportunità.
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