La lettera inviata dal Presidente della Repubblica, indirizzata ai presidenti delle Camere e a quello del Consiglio dei ministri, è totalmente e insanabilmente difforme da quanto stabilito dalla nostra Costituzione. Se solo disponessimo di un mondo politico non dimentico della cultura e non dedito solo alla faziosità, se solo avessimo cattedre ove siedono coscienze e non solo quiescenze, questo rilievo sarebbe oggi fatto da molte e diverse parti. Invece tutto tace, lasciando spazio al politicantismo e al conformismo tremolante.
Il Presidente della Repubblica non può mandare lettere, non può interferire con il processo legislativo, non può limitare la sovranità del Parlamento. La Costituzione descrive gli strumenti che può utilizzare, ma chiarisce anche quel che non può fare. Noi, da tempo, siamo abbondantemente fuori dal seminato costituzionale.
Il decreto legge, così detto “milleproroghe” (che già solo il nome fa orrore), fu controfirmato da Giorgio Napolitano, che ne constatò la necessità e l’urgenza. Dopo di che è passato alla competenza del Parlamento, che deve provvedere alla conversione. Il nostro processo legislativo prevede che i decreti legge, quindi norme già entrate in vigore, possano essere emendati, modificati, nel corso della conversione (si approntano poi gli strumenti per rimediare agli eventuali rapporti giuridici nati in vigenza del vecchio testo). A me non pare ragionevole, riterrei più lineare approvare o respingere quei decreti, senza poterli modificare, ma questa è un’opinione personale, restando immutata la regola. Che, oltre tutto, Napolitano conosce bene, per averla praticata da parlamentare e amministrata da presidente d’Aula. Sta di fatto che il Senato ha modificato il decreto e, con il solito cattivo andazzo, lo ha rimpinzato di norme neanche coerenti fra di loro. Il Presidente della Repubblica può, in questo caso, azionare due strumenti: a. non controfirmare; b. inviare un messaggio alle Camere, il che comporta un gesto formale e la controfirma del ministro guardasigilli. Mandare una lettera ai tre destinatari prima ricordati, curandosi di passarne immediatamente il contenuto alla stampa, non è solo irrituale, è direttamente e gravemente incostituzionale.
E, si badi bene, quello colpito non è il potere esecutivo (che s’è subito dichiarato concorde), ma quello legislativo. Quella menomata è la sovranità parlamentare. Ed è gravissimo.
Napolitano, nell’improvvida lettera, ha chiarito di non potere utilizzare il primo strumento, ovvero negare la controfirma, perché, in quel caso, il decreto sarebbe decaduto. Ma ha anche aggiunto che, da ora in poi, non si farà più di questi scrupoli. Il che rappresenta una ulteriore minaccia al Parlamento: o le modifiche ai decreti saranno concordate con il Quirinale, oppure le conversioni saranno inutili. Il governo, in un certo senso, si frega le mani, perché c’è un solo modo per assicurare al Presidente che i testi convertiti siano uguali a quelli proposti: presentarli chiusi e mettere subito la fiducia. Bel risultato, un capolavoro!
Nel merito, però, Napolitano ha ragione: il testo partorito dal Senato è un obbrobrio. Ma proprio per questo ci stava tutto un bel messaggio al Parlamento, concepito senza la stizza che trasuda da ogni parte della lettera e seguendo tutti i crismi costituzionali.
Desidero aggiungere una cosa, con presunzione e ponderazione: sono pronto a sostenere queste cose davanti a qualsiasi costituzionalista, o cattedratico vario, sicuro che nessuno potrà accampare alcuna valida tesi che porti a conclusioni diverse. Proprio per questo rivolgo ai lettori un invito, triste: guardatevi attorno, leggete, e scoprirete che queste cose, in modo così chiaro, nessuno ha il coraggio e la lucidità di dirle. E’ questo il lato davvero preoccupante, di questo lungo e straziante tramonto costituzionale.
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1 commento:
il povero giacolone necessita di legge sulla giustizia!
tutti simpatizzanti pdl queste persone che hanno avuto a che fare con la giustizia. mah!
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