lunedì 21 marzo 2011

Proviamo a fare chiarezza su Fukushima e sul nucleare italiano. Ezio Bussoletti

Ventimila morti accertati, per ora, e forse molti di più ancora sconosciuti aspettano di essere ritrovati ed identificati; una sfortuna terribile ma anche una buona dose di imperizia ed errori hanno aggravato una situazione che già la natura aveva pesantemente condannato.

Il Giappone lo tsunami lo conosce; da sempre, insieme ai terremoti, questi fenomeni accompagnano la vita quotidiana del popolo del Sol di Levante. Ma, ancora una volta, ecco che una serie di concause ha fatto saltare tutte le previsioni mettendo il paese in ginocchio, come non succedeva dalla fine della seconda guerra mondiale ed ecco che ai danni naturali si sono aggiunti quelli prodotti dall’uomo: la crisi della centrale di Fukushima. Questi giorni le notizie si sono accavallate e, spesso, i media invece di rappresentare un punto fermo, dando certezze, si sono arrampicati su interpretazioni fumose, non fondate sui fatti, con l’unico risultato di far nascere inutili paure nell’opinione pubblica persino in Italia. Al resto ci hanno pensato i politici, almeno qualcuno, capaci di dire tutto ed il suo contrario a distanza di ore nell’inseguimento del consenso emotivo invece di svolgere un ruolo di rassicurazione e di chiarificazione di quanto stava accadendo.

Ma proviamo almeno noi a chiarire le idee e ragionare con pacatezza invece di dover ascoltare frasi come quelle che hanno circolato del tipo “ecco la dimostrazione che il nucleare è obsoleto”, “ è necessario un ripensamento” e via dicendo.

Prima di tutto analizziamo i fatti. La centrale di Fukushima, basata sulla tecnologia americana delle centrali ad acqua bollente, era quasi a fine vita, con circa quaranta anni di esercizio e, quindi, realizzata negli anni 70’ e progettata 10 anni prima. Questo vuol dire che i suoi livelli di sicurezza erano al di sotto di quanto si fa da anni in Europa e nel resto del mondo ed ancora più bassi delle nuove centrali di terza generazione che si prevede (dovrei dire si prevedeva?) di costruire in Italia.

La sua posizione sul bordo del mare, in una zona ad alto rischio sismico come è il Giappone, era avvenuta costruendola con sistemi antisismici che hanno perfettamente funzionato dal punto di vista ingegneristico, infatti tutti i manufatti hanno perfettamente retto al terremoto. L’errore è arrivato sulla “previsione” della forza dei potenziali tsunami che si potevano generare al nord del Giappone. Sino al 10 marzo scorso la forza e la posizione dei terremoti rispetto alla costa, mai così vicini come quello verificatosi, faceva prevedere delle onde potenziali non superiori ai 5 metri di altezza. Da qui la costruzione di un muro di contenimento delle acque di 6 metri. La natura però non è stata d’accordo: il sisma si è prodotto molto più vicino alla costa di quanto fosse mai stato previsto e le onde hanno raggiunto gli 8 metri con punte anche di 10 metri. L’inondazione della centrale è stata inarrestabile e pesante. Ecco il primo errore: una previsione di rischio troppo ottimista che ha determinato l’inizio del dramma a causa dell’inondazione degli impianti. Il secondo, conseguente del primo, è non aver pensato a piazzare i gruppi elettrogeni e le pompe di circolazione dell’acqua di raffreddamento non al suolo ma a vari metri più su; il risultato è stato che tutti i sistemi sono andati in corto circuito portandosi appresso i danni conseguenti dell’arresto della centrale, dell’evaporazione dell’acqua nel nocciolo e nelle piscine di stoccaggio delle barre di combustibile non più utilizzabili ma ancora fortemente cariche di radiazione.

Le esplosioni di idrogeno e la distruzione, anche parziale, dei tetti delle singole unità sono il derivato di un altro fenomeno ben conosciuto: quando un reattore si surriscalda al suo interno si sviluppa idrogeno; normalmente esiste una sorta di camera di compensazione che assorbe il gas facendolo ricombinare con l’ossigeno per trasformarlo in acqua. Il sistema non ha funzionato e l’idrogeno si è espanso facendo saltare i coperchi superiori dei contenitori esterni. Il perché non è ancora noto, errore di progettazione o altri problemi dovuti all’allagamento precedente? Lo sapremo a bocce ferme quando sarà possibile effettuare un’analisi completa di quanto è accaduto.

L’ultimo errore, certo il più grave, è stato quello di aver voluto salvare la centrale a tutti i costi cercando di farla ripartire. Quando i noccioli delle unità hanno cominciato a scaldarsi rapidamente ci potevano essere due scelte: convogliare acqua di mare verso le turbine per raffreddare tutto l’impianto sacrificando il funzionamento futuro delle macchine ma tenendo la temperatura bassa oppure, bloccare ogni singolo reattore, isolandolo, cercando di raffreddarlo singolarmente nonostante si stesse scaldando da due ore dopo l’arrivo dello tsunami. Scelta, quest’ultima, dettata dalle procedure, che però non prevedevano un’inondazione di quella portata, e che si basava sulla speranza di fare ripartire le macchine come se nulla fosse accaduto. La logica economica ed il poco coraggio hanno prevalso determinando i danni seri che si sono prodotti, soprattutto sull’ambiente e la popolazione circostante.

Oggi, grazie anche alla calma dell’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica, AIEA, è possibile avere un quadro preciso degli avvenimenti e delle prospettive, non rosee ma certamente meno drammatiche di quello che ci hanno fornito i media in questi giorni stimolando paure ancestrali invece di attenersi ai fatti.

Staremo a vedere e seguiremo l’evoluzione degli eventi: se le cose continueranno nella direzione che hanno preso oggi, pian piano si arriverà a ricontrollare, nei limiti del possibile, la centrale bloccando i danni che continua a produrre.

Una pausa di riflessione è necessaria anche da noi, ma non per chiederci se continuare (dovremmmo dire rientrare) nel nucleare, ma piuttosto di come gestire la situazione ed i suoi sviluppi. Alla luce di quanto è avvenuto e di quello che si sente affermare, dovremo chiederci se sono state scelte le persone giuste per programmare e gestire operazioni di una complessità non indifferente come quella della realizzazione delle centrali nucleari nel nostro paese. E, soprattutto, bisognerà chiedersi come imparare ad affrontare eventuali imprevisti.

In questi giorni si è udito di tutto, dall’opposizione come dalla maggioranza di governo. E così non si va da nessuna parte, né serve esorcizzare qualcosa che è apparso nettamente non essere conosciuto da chi avrebbe dovuto invece conoscerlo.

Non possiamo ignorare da una parte la sicurezza della generazione 3 dei reattori e, dall’altra, che l’Italia è circondata da centrali elettriche che usano combustibile nucleare. Urlare no al nucleare non cambia la situazione e le eventuali radiazioni non si arrestano alle Alpi se continuiamo a rimanere un paese denuclearizzato, come alcuni amerebbero fossimo, anche se pur sempre inquinato da petrolio e carbone. (l'Occidentale)

2 commenti:

Gaetano ha detto...

Simo sicuri che il Giappone sia così lontano?
http://orahovistotutto.blogspot.com/

maurom ha detto...

Pare di no!