Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società».
Anche in questo articolo si ritrova l’uso mitologico del verbo riconoscere e un illiberale dovere di solidarietà fra i cittadini. Ma la norma è sopratutto importante perché caratteristica dell’utopismo socialistoide dei costituenti. Inoltre è una di quelle che più si prestano a fraintendimenti.
Essenziale al riguardo è
l’esame del concetto di “diritto”. Esso può essere oggettivo, nel
senso di “insieme di norme”, oppure soggettivo: un potere che la
legge dà al singolo per chiedere allo Stato di fare qualcosa in suo favore. Per
esempio obbligare il debitore a pagarlo, il ladro a restituirgli ciò che gli ha
sottratto, e via dicendo. In tutti i casi è necessario che qualcosa
si possa imporre con la forza: un ordinamento giuridico senza uno
Stato che sia in grado di dargli concreta applicazione sarebbe solo un libro dei
sogni.
Interessante è pure il
concetto di interesse legittimo. Mentre il diritto soggettivo è dato al singolo
nell’interesse del singolo, l’interesse legittimo è quello che il cittadino può
avere a che lo Stato applichi le proprie leggi. Per esempio, se in un concorso
si è stati scavalcati da qualcuno che aveva minori titoli, si può ricorrere non
perché si abbia un diritto soggettivo alla vittoria, ma perché lo Stato ha leggi
e regolamenti riguardanti i concorsi e la loro corretta applicazione può essere
utile al concorrente ingiustamente escluso. Lo Stato interverrà nel proprio
interesse (la correttezza dei concorsi) ma il cittadino - portatore
dell’interesse legittimo - ne beneficerà.
In quale categoria può
rientrare il “diritto al lavoro”? Ad escludere che si tratti di un
diritto soggettivo basta il fatto che il disoccupato non può rivolgersi al
giudice per ottenere un posto di lavoro. Né può ricorrere al Tribunale
Amministrativo per obbligare lo Stato a dargli un posto di lavoro, come se
disponesse di un interesse legittimo. E allora, in che senso la Costituzione
parla di “diritto al lavoro”?
L’inevitabile, sconsolata
constatazione è che la nostra Costituzione usa alcune parole con un senso
puramente politico, per non dire demagogico. L’affermazione per cui: “una madre
ha diritto all’affetto dei figli” ha un senso umano ma non giuridico. Ella non
può rivolgersi al giudice per obbligare i suoi figli ad essere affettuosi con
lei. E nello stesso modo il lavoro è qualcosa che “sarebbe giusto avere”, non
qualcosa che si ha il diritto giuridico di avere. Purtroppo, questo equivoco ha
alimentato infinite rabbie e infinite frustrazioni, per esempio –
comprensibilmente – nel disoccupato ignorante di diritto. Se si
voleva solo dire che lo Stato farà, giustamente, il possibile per
eliminare la disoccupazione, questo bisognava scrivere. E anzi, non bisognava
scriverlo: chi mai farebbe il possibile per aumentarla?
Fra l’altro questa
esagerazione letteraria si pone in contraddizione col secondo comma. Se il
diritto al lavoro effettivamente esistesse (tanto che basterebbe riconoscerlo)
non ci sarebbe nessuna necessità di “promuoverne le condizioni”. Lo Stato
infatti non promuove il diritto alla libertà di parola, quella libertà
la assicura. Se invece si limita soltanto a “promuovere le condizioni”
del “diritto al lavoro”, con ciò stesso riconosce che esso non è né concreto né
effettivo. Dunque non esiste. Se poi si intende
parlare di un “diritto teorico”, i lavoratori saranno felici di sapere che, a
fronte di un diritto teorico avranno diritto a un salario altrettanto teorico.
È anche vero che non si
tratta dell’unico caso di stravolgimento della parola “diritto”: c’è tutta una
“letteratura” che, seguendo una sciocca tendenza
sociologica, ama decorare con al parola “diritto” le esigenze che reputa
particolarmente meritevoli di tutela. Gli incompetenti e i sentimentali parlano
di diritti degli animali, diritti del malato, diritti dei bambini. In realtà,
gli animali non possono essere portatori di diritti perché non hanno personalità
giuridica. I malati non hanno diritti e interessi legittimi in quanto tali ma in
quanto cittadini. I bambini infine sono cittadini come gli altri, già favoriti
da speciali tutele in quanto minorenni. Basta applicarle.
In conclusione, il famoso
“diritto al lavoro” è soltanto un’espressione da comizio, se si è
ragionevolmente convinti che fra gli ascoltatori non ci siano laureati in
giurisprudenza. (il Legno storto)
3 commenti:
MAURO
Molto interessanti tutti gli articoli che hai postato, ma, in nessuno di questi si parla della cosiddetta "primavera araba".
Distrazione?
...
Nel post precedente c'è un dibattito aperto sulle "offese" a Maometto: scrivi la tua sulla "primavera araba" e vedrai che ti risponderanno.
Grazie della visita.
grazie MAURO!
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